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 Corsia 128
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luisa camponesco
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Inserito - 10/09/2009 :  19:36:47  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco



Corsia 128

Era sempre così all’inizio della notte, l’aria immobile; tutto era immobile, lo sapeva bene, lui, George Peer… accadeva sempre qualcosa quand’era di turno nella corsia 128.


Tutto ebbe inizio nell’agosto dell’anno precedente mentre si trovava in vacanza con la moglie. Il camper parcheggiato in prossimità del lago, Patricia sdraiata al sole si godeva la tranquillità del luogo, George la guardava pensando come, nonostante gli anni, avesse ancora un corpo snello e asciutto.
- La colazione è pronta!
- Come vorrei che il tempo si fermasse. – rispose Patricia stirando le membra.
- Ci torneremo il prossimo anno.
- Un anno è un’eternità!

Nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che sarebbe accaduto.
Una cappa grigia copriva la metropoli solo i grattacieli più alti emergevano da quella nebbia. Poco dopo lo svincolo dell’autostrada una macchina della polizia li fermò.
- Cosa succede? – chiese George
- Un autotreno proveniente da Dallas si è rovesciato sulla statale nord, il suo contenuto altamente tossico si è rovesciato sulla carreggiata. Dovete mettere queste mascherine entrando in città.
- Era meglio rimanere dove eravamo. – si lamentò Patricia.
George le sfiorò la guancia con un bacio.
- Cerchi di consolarmi?
- Assolutamente no!
Si avviarono verso il centro, stranamente silenzioso e deserto data l’ora di punta; poche macchine e nessun passante. Un automezzo della Guardia Nazionale li superò ad alta velocità. George iniziò a preoccuparsi. Nessuno dei due aprì bocca fino a quando non giunsero sotto casa.
Si tolsero la maschera dopo essere entrati nell’appartamento, Patricia osservò la città attraverso i vetri.
- Ho un brutto presentimento.
- Non uscire e non aprire a nessuno, vado in ospedale poi ti chiamo appena so qualcosa.

Poliziotti con tanto di maschera controllavano gli incroci principali, nessun negozio era aperto. Qualcosa di tremendo era accaduto.
George accelerò per giungere al più presto in ospedale. Il piazzale era gremito d’ambulanze e d’auto della polizia.
Ansioso di avere notizie, George attraversò correndo l’atrio e quasi si scontrò con Jason Palmer responsabile del pronto soccorso.
- Ma cosa è successo?
Per tutta risposta Jason gli lanciò un camice bianco e una solerte infermiere gli diede una mascherina.
Le barelle erano ovunque, nel corridoio e negli ambulatori, non si contavano più. Tutto il personale era impegnato al massimo, persino gli inservienti e gli addetti alla mensa facevano la loro parte.
- Per favore vorrei avere una risposta. -
- Purtroppo George non ne abbiamo e non sappiamo con cosa abbiamo a che fare.
Lamenti soffocati da un lettino attirarono l’attenzione di Gorge che si avvicinò e con sua grande sorpresa riconobbe il fratello di Patricia.
- Gary, sono io George!
Gary lo guardò, le pupille dilatate ma non riuscì ad articolare una parola. Con la mano fece un gesto eloquente.
- Presto dategli carta e penna, vuole scrivere.
Gary Bowan, ingegnere e direttore capo della General Elettric, aveva solo un anno più di Patricia, a dire il vero era stato proprio lui a farli incontrare dieci anni prima in quel pub durante i festeggiamenti per la vittoria dei Black Buffalos. Una serata indimenticabile che gli aveva cambiato la vita. Ora Gary era lì, disteso su quel lettino, incapace di parlare.
Con movimenti lenti della mano scarabocchiò sul foglio una frase apparentemente senza senso:“chiudete il pozzo”
- Per favore George vieni a darmi una mano! – urlò Palmer
Gli intossicati aumentavano di minuto in minuto, non si sapeva dove metterli.
- Dottore guardi qui! – Un’infermiera osservava con occhi sbarrati un paziente la cui pelle andava assumendo un color azzurrognolo.
- Potrebbe trattarsi di un agente chimico che aggredisce la pigmentazione facciamo un prelievo e mandiamolo in laboratorio.
Ipotesi su ipotesi ma la mente di George era altrove.
- Dove stava lavorando Gary Bowan al momento dell’incidente, qualcuno lo sa?
- Quello accanto a lui è un suo operaio. – rispose l’infermiera
George si avvicinò e gli sussurrò:
- Sono il dottore Peer cognato di Gary Bowan, è in grado di sentirmi?
L’uomo mosse gli occhi.
- Bene – continuò George - dove stavate lavorando quando è accaduto tutto questo?
L’uomo mosse la bocca e con uno sforzo enorme riuscì a mormorare: Tra Grafton street ed Echo Park Ave…. Poi perse i sensi.
Era un inizio.
- Devo andare sul luogo del disastro.
- Allora sbrigati George qui stanno diventando tutti azzurri.
Impossibile muoversi con la macchina, le strade intasate rendevano difficile anche il muoversi a piedi.
- L’elicottero del Centro Medico funziona?
- Ieri era in perfette condizioni- rispose il pilota
- Allora muoviamoci!
L’ascensore li condusse sul tetto e George pregò mentalmente.

Dall’alto la città pareva fosse stata investita da un ciclone, auto capovolte piante divelte corpi stesi sui marciapiedi.
- Se vuole scendere dottore, dovrà indossare la tuta protettiva.
Se n’era scordato e non era da lui, sempre attento sempre prudente. La nube tossica fuoriuscita dall’autotreno pareva concentrarsi su di un punto ben preciso.
- Forse abbiamo trovato la fonte. Faccia atterrare l’elicottero al centro della strada ma ben distante dall’incrocio fra le due strade, ma rimanga qui e in caso di pericolo decolli immediatamente.
- Ma lei dottore?
- Me la caverò!
Si sentiva impacciato a muoversi nella tuta ma si diresse verso il luogo indicato dall’operaio.
All’inizio non vide nulla, la nube tossica avvolgeva ogni cosa poi inciampò in qualcosa e vide la scala che conduceva all’interno di un pozzo.
Scese con cautela fino a toccare il fondo, così si accorse della strana fluorescenza azzurra. Fuoriusciva da una crepa, doveva prenderne un campione, cosa non facile, e poi si accorse di un fatto inquietante: la nube tossica interagiva con la sostanza azzurra, dando vita ad un elemento del tutto nuovo. Mentre raccoglieva un nuovo campione, qualcosa strisciò lungo la gamba. Un sottile filo azzurro, animato da vita propria, cercava di avvilupparlo, allora George ricordò le parole di Gary: chiudete il pozzo.

Erano tutti lì, riuniti a confabulare, ognuno diceva la sua. Le migliori menti della città discutevano suoi risultati delle analisi sei campioni portati da George.
- E’ un virus mutante, mutante in senso dinamico, cambia in continuazione, nessun antidoto fin’ora conosciuto è in grado di neutralizzarlo.
- L’infezione si sta diffondendo in modo esponenziale.
- La fonte è nel pozzo trovato da Peer.


Un anno era trascorso da questi terribili fatti, nessun antidoto era stato trovato ma la maggior parte degli abitanti aveva sviluppato anticorpi che avevano neutralizzato il virus.
La maggior parte, ma non tutti, per cui si era reso necessario la creazione di una struttura appropriata per isolarli finch’è non si fosse trovata la cura e la corsia 128 si era rivelata la più idonea. Un lungo corridoio, camere con porte blindate e sorveglianza continua.
Corsia 128, come il numero dei pazienti che ospitava. George aveva espressamente chiesto di fare il turno di notte, cosa che gli era stata concessa subito, gli sembrava, in questo modo, di essere più vicino alle persone che conosceva e in particolare a lei, Patricia, la donna della sua vita.
- Sono tutti tuoi - Bill Johnson del turno di giorno si alzò dalla poltrona – Chissà se un giorno riusciremo a tirarli fuori di lì.
- Ci riusciremo – mormorò George – Ci riusciremo.
Prese le consegne da Bill compresa una piccola arma ad energia a basso voltaggio. Episodi di aggressione erano frequenti ma il più delle volte erano altre le cose da affrontare.
- Fai attenzione George.
Bill si allontanò con le spalle curve come se un macigno vi pesasse addosso. Era questo l’effetto che produceva un turno di parecchie ore nella corsia 128.
Le ombre della sera avanzavano, le luci si accesero nei corridoi, George controllò attraverso lo spioncino la corsia prima di entrare. Lei non gli avrebbe fatto del male ne era sicuro.
Il corridoio appariva sfocato, ogni volta sembrava diverso mentre il suo cuore accelerava i battiti.
Un rumore ritmico proveniva da una delle stanze, come un martello sulla parete. Impugnata l’arma George si avvicinò; due individui, un uomo e una donna battevano i pugni su muro e questo prese a tremolare, a momenti pareva cedere poi tornava solido suscitando grida di disappunto.
Proseguì, cercava Patricia, non la vedeva da tre sere ed era preoccupato. Nella stanza 15 un uomo aggrappato al soffitto cantava una strana nenia ed in quella accanto ardeva un falò proprio nel centro.
Nessuno era riuscito a comprendere come potessero stravolgere le leggi della fisica.
Una donna lo vide e chiamò altri. George iniziò a correre.
Si rifugiò in una stanza, chiuse la porta, il respiro affannoso. Provò una fitta al centro del petto mentre dal corridoio giungevano urla e suoni inarticolati.
Il virus non aveva agito allo stesso modo sui contagiati, ma assumeva peculiarità in base al carattere degli individui, alcuni erano estremamente docili, altri più nervosi e per fortuna solo pochi si erano rivelati violenti, la sola cosa che avevano in comune era il colore azzurro della pelle.
Un rumore pacato, quasi un sospiro e George si accorse di non essere solo.
Rannicchiata in un angolo una donna gemeva.
Una sensazione, un groppo alla gola e George le si avvicinò. Un corpo perfetto e la pelle di un azzurro chiaro, quasi evanescente.
- Patricia! Patricia sono io, guardami!
Lo sguardo lontano perso in un modo che lui non conosceva e non ne faceva parte.
- Patricia guardami! – delicatamente le prese il viso fra le mani e lo rivolse verso di se. Le sembrò ancora più bella. – Cerca di ricordare amore mio.
Un lampo negli occhi, qualcosa di umano era ancora lì da qualche parte nella sua mente. Sedette accanto a lei ed iniziò a raccontare la loro storia. Una storia bellissima ma incompleta.
Patricia ascolta o almeno così sembrava, ogni tanto un movimento delle palpebre, una mano che si sollevava quasi a sfiorargli il volto.
- Torna da me Patricia.
Di nuovo quella luce negli occhi, un attimo per accendere la speranza.
Colpi furiosi alla porta ruppero la magia del momento. Erano tornati e tentavano di sfondare la porta.
- Patricia, non avrò paura se tu mi rimarrai accanto.
La donna si alzò e si diresse verso la porta, l’aprì. Quelli che un tempo erano uomini si fermarono; Patricia allargò le braccia e si fece largo fra loro, George la seguì, nessuno tentò di aggredirlo. Patricia lo proteggeva. Come in un sogno oppure in un incubo, George seguì la moglie nel corridoio circondato da esseri minacciosi, ma nessuno osava attaccarlo.
Si avvicinarono alla prima camera, quella in cui i due pazienti percuotevano la parete. Incredibilmente avevano creato un’apertura, un’apertura che dava sul nulla , dopo di che si presero per mano e scomparvero nel varco. Urla di gioia si levarono ovunque e, presi da frenesia, uno dopo l’altro lo oltrepassarono
Nella stanza ormai silenziosa, George e Patricia fissavano l’apertura e una sensazione dolorosa pervase la mente dell’uomo e con essa percezione del distacco di un distacco definitivo. Strinse la mano a Patricia e la trattenne, non doveva, non voleva perderla. Una lacrima azzurra scese sul volto di Patricia e i suoi occhi dicevano “devo andare via”
- Perché? Perché?
- Vado in mondo libero fatto apposta per noi.
- Questa è casa tua
- Non più, non più…..non più
Il portale si stava richiudendo e George ne fu felice, lei sarebbe rimasta.
Il volto di Patricia era una maschera di tristezza, George comprese il senso di solitudine che permeava la moglie, una solitudine così profonda da non poter essere sopportata.
L’amore rende egoisti. Se ne rese conto con grande sforzo, lasciò la mano di Patricia la quale dopo un ultimo sguardo riconoscente attraversò la porta dimensionale.
La parete tornò intatta, come prima.
Non pianse George lasciando la stanza, si diresse all’uscita senza fretta e gettò le chiavi sul tavolino.
Sulla città sorgeva l’alba di una giorno nuovo, George trasse un profondo respiro prima di andarsene
Inutile rimanere non c’era più nessuno su cui vigilare……..nella corsia 128







Luisa Camponesco

   
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