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luisa camponesco
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Inserito - 27/11/2007 :  14:52:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Greyhound

Storie comuni di gente comune in viaggio attraverso l’america

La corvette del ’62 frenò ad un isolato dalla stazione degli autobus.
- Devi scusarmi Melissa ma non posso andare oltre, se ritardo ancora una volta rischio di perdere il lavoro.
- Hai già fatto molto ti ringrazio Luke io ed Eric ce la caveremo.
Luke aiutò Melissa a scaricare i bagagli mentre Eric, cinque anni, li stava a guardare. Aveva riflettuto molto prima di intraprendere quel viaggio, contato e ricontato i dollari risparmiati, il viaggio in treno sarebbe costato troppo per non parlare di quello in aereo.
-Buon viaggio Melissa telefonami appena arrivi! - Luke mise in moto la macchina di cui era molto orgoglioso, aveva impiegato mesi per metterla a posto e trovare i pezzi di ricambio e alla fine l’aveva mostrata a tutti giustamente compiaciuto.
Melissa lo guardò allontanarsi e le prese un nodo alla gola, poi Eric le tirò la manica del vestito.
- Mamma cosa facciamo adesso?
- Adesso facciamo un bel viaggio, andiamo dai nonni in California – le accarezzò la testa scompigliandogli i capelli. – Ma ora devi aiutarmi, porta questa borsa, non è pesante, io porto le valigie.
Eric ubbidì, la borsa era leggera ma voluminosa lui, piccolino, quasi scompariva dietro di essa e il suo camminare goffo strappò a Melissa un sorriso.
Dio solo sa quanto ne aveva bisogno, aveva lasciato il minuscolo appartamento in Hubbert street, consegnato e le chiavi alla proprietaria.
- Pensa di tornare? – chiese la donna soppesano le chiavi.
- Sinceramente non saprei cosa dirle.
- Beh, non posso tenerlo sfitto in eterno se non torna entro una settimana cerco un nuovo inquilino.
Aveva la sensazione di cadere nel vuoto, non vedeva i suoi genitori da quando, sei anni prima, se n’era andata per vivere con Marc nonostante la loro opposizione. Non l’avevano perdonata, quindi non sapeva come l’avrebbero accolta. Senza lavoro, senza soldi avrebbe dovuto ammettere il suo fallimento e dar loro ragione poi, guardando Eric, si rese conto che n’era valsa la pena.
La stazione era gremita di persone, dovette sgomitare per arrivare allo sportello per acquistare i biglietti.
- Due per Monterey.
- 180 dollari!
- Mio figlio ha solo cinque anni! – esclamò sgomenta Melissa.
- Avrà anche cinque anni ma occupa un posto come un adulto. Allora, cosa vuol fare?
Melissa aprì il portafoglio contò con cura il denaro mentre alle sue spalle la gente si spazientiva. Quei biglietti erano preziosi li nascose in una tasca interna della giacca insieme al denaro rimasto, poi preso per mano Eric e consegnato il bagaglio all’autista prese posto sull’autobus.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi e magari anche un po’ di silenzio ma i passeggeri incominciavano a salire, osservò la gente che si salutava, si abbracciava, qualcuno piangeva.
Melissa sospirò, a parte Luke nessuno era venuto a salutarla, i suoi amici si erano dissolti come la sua relazione con Marc.
- E’ libero? – la donna di colore indicò un posto vicino al loro, Melissa fece un cenno d’assenso. La nuova venuta si lasciò cadere pesantemente sul sedile.
- Finalmente sono piedi da ore e questo viaggio me lo sono proprio meritato. Vado a trovare mia figlia che vive col marito a Springfield, sono anni che non la vedo ….
Aveva voglia di chiacchierare sembrava un fiume in piena ma Melissa non aveva voglia di ascoltare, troppi pensieri affollavano la sua mente. Ripassava le frasi che avrebbe detto una volta giunta a destinazione, poi guardò suo figlio che si era addormentato con il suo aeroplanino stretto fra le mani. I suoi genitori non l’avevano mai incontrato, solo una fotografia inviata quando aveva pochi mesi. Nessuno aveva risposto a quella sua lettera.
- E’ suo figlio? Ma che sbadata non mi sono nemmeno presentata mi chiamo Zoe.
Tese una mano grassoccia, Melissa esitò prima di stringerla.
- Dal momento che faremo un po’ di strada insieme tanto vale conoscerci. A proposito lei dov’è diretta?
Melissa non aveva proprio voglia di parlare e pensò di cambiare posto ma purtroppo erano già tutti occupati.
- Andiamo a Monterey! – si costrinse a rispondere.
- Va dal marito!
- Dai miei genitori!
- Ahh capisco!
Finalmente l’autobus si mosse e per un instante calò il silenzio, ciascuno guardò dal finestrino per un arrivederci o forse un addio a Chicago. È incredibile l’emozione che si prova quando si parte, è come lasciare una parte di sé stessi. E in fondo è proprio così. Melissa di chiese se un giorno sarebbe tornata e poi, a far cosa? Stese le gambe sotto il sedile davanti sperando che Zoe stesse un po’ zitta. Pensò agli anni trascorsi in quella città, alle passeggiate, a quella piccola crociera sul Michigan.
- Certo che mia figlia non si aspetta una mia visita, voglio farle una sorpresa. – Zoe aveva ricominciato a chiacchierare Melissa si finse addormentata.
L’autobus divorava chilometri di strada con il suo carico umano, un bimbo si divertiva a correre nello stretto corridoio, qualcuno cantava sommessamente, altri ascoltavano musica attraverso le cuffie e Zoe cercava di parlare con chiunque volesse prestarle attenzione.
Springfield era la prima fermata .
- Mezzora di sosta! – urlò l’autista dopo aver aperto le porte.
- Eccomi arrivata. – Zoe si era alzata e preso il suo borsone. – E’ stato un piacere fare la sua conoscenza, le auguro buon viaggio e che il cielo vi protegga.
Melissa si sentì un po’ in colpa, quella donna era una brava persona, ma lei non era nello stato d’animo di far conversazione. Eric si svegliò.
- Mamma ho fame!
- Allora scendiamo.
Si sedettero ad un tavolino.
- Cosa vi porto? – la cameriera, grembiule a quadrettoni blu, notes e penna in mano, gomma da masticare in bocca, attendeva.
- A me un caffè e per il bambino un pancake con del miele.
- Posso? – l’uomo la guardava dall’alto, era un passeggero, salito con lei a Chicago, lo rammentava bene, teneva stretto la ventiquattrore come se contenesse chissà quali segreti.
- Si sieda pure. – Rispose Melissa con aria rassegnata.
- Penserà che sono il solito scocciatore, ma mi creda quando si fanno viaggi così lunghi in autobus parlare con qualcuno può essere una consolazione.
- Può essere, ma non sempre si ha voglia di conversare.
- È vero anche questo, vede io un tempo viaggiavo solo in aereo, poi le cose sono cambiate e il viaggio in autobus è il solo che mi posso permettere.
- Allora viaggia spesso?
- Oh si! Saint Louis, Tucson, Dallas. Tutti clienti da visitare periodicamente e lei non immagina quante persone si incontrano e si conoscono. Per esempio, la donna che era seduta vicino a lei, quella che le ha detto che andava a trovare la figlia, in realtà la figlia e il genero sono morti in un incidente d’auto anni fa. Lei non lo ha mai accettato, e periodicamente va nella loro casa, spalanca le finestre, prepara il pranzo e li aspetta fino a sera.
Melissa aveva sgranato gli occhi a questa rivelazione.
- Ognuno di noi è una storia, a volta ascoltarla può essere utile. Io mi fermo qui per stanotte ho del lavoro da fare e chissà forse un giorno ci rincontreremo. – Le tese la mano e Melissa gliela strinse ancora incredula.
- PRONTI SI PARTEEE!!!
La sosta era finita, pulì velocemente la bocca al figlio e salì sull’autobus. Notò i nuovi arrivi, una famiglia con due bambini occupò i sedili davanti dove prima c’era Zoe, un sorriso di circostanza e poi di nuovo in viaggio.
Ben presto Eric attirò l’attenzione di uno dei bimbi, più o meno della stessa età.
- Pablito stai seduto!
- Non mi da fastidio. – intervenne Melissa.
Il piccolo messicano era attratto dal giocattolo di Eric.
- E’ la prima volta che fa un simile viaggio per lui è tutto nuovo.
- Anche per mio figlio è la prima volta.
Le due donne si sorrisero e Pablito si sedette a fianco di Eric. Si misero giocare.
- Almeno si distraggono.
- Noi andiamo in California. - Melissa cercò di conversare, sentendosi ancora in colpa per non averlo fatto con Zoe.
- Noi a Santa Fe, mio marito ha trovato lavoro lì. Da un po’ di tempo ci spostiamo in continuazione e i bambini non riescono a farsi degli amici e nemmeno a frequentare regolarmente una scuola. Ma se vogliamo vivere non abbiamo scelta.
Melissa si guardò attorno, osservò le persone che le stavano vicino, e cercò di immaginare la storia di ciascuno, del ragazzo che sfogliava distrattamente un fumetto, di quell’anziana che non toglieva gli occhi dalla strada, o dall’uomo col cappello calato sugli occhi. Intanto Eric giocava con Pablito e ad essi si era unico anche un altro piccolo Il piccolo aeroplano volava da un capo all’altro dell’autobus sfiorando le teste di parecchia gente. Nessuno protestava anzi ben presto si trovarono tutti coinvolti.
-L’ho preso io! – Un uomo grande e grosso con tanto di barba brandiva il giocattolo e poi lo lanciò verso il fondo ad un altro passeggero. Il gioco era sfuggito di mano ai bambini ma in compenso si divertivano gli adulti.
Eric e Pablito, evidentemente annoiati, si addormentarono nonostante il baccano. Era già sera quando arrivarono a Saint Louis , la stazione, in passato, doveva essere stata splendida nel suo stile art dèco, oggi sembrava un fantasma, un’ombra di sé stessa. Melissa salutò la famiglia messicana e, con armi e bagagli cercò la coincidenza per Tulsa.
I sedili nel nuovo autobus erano più scomodi del precedente e pensare che dovevano trascorrervi la notte. Cercò di sistemare il figlio alle bene e meglio e coprirsi con un golfino.
Impossibile dormire, il vicino russava sonoramente ed emanava un insopportabile odor di birra. Le venne voglia di piangere, nessuno se ne sarebbe accorto.
Le tenui luci della notte erano frammentate dai fari delle macchine che provenivano dalla parte opposta. E lo stato dell’Oklahoma scorreva veloce col passare delle ore. I pensieri che si affollano nella mente, cupi come il buio della notte, domande con molte risposte, tutte possibili.
- I cattivi pensieri si dissolvono all’alba.
L’uomo seduto accanto a loro si era svegliato, mentre all’orizzonte una sottile linea rosa preannunciava il nuovo giorno. Un rigonfiamento sotto la giacca fece presumere la presenza di una bottiglia di birra o altro. Melissa cercò di ignorarlo anche se non era facile.
- Ci si abitua a tutto nella vita mi creda io ne so qualcosa. Vuole favorire?
Un termos si materializzò nelle mani dell’uomo.
- E’ solo del caffè, un po’ freddo magari, ma non ho altro.
Melissa sorrise per aver pensato a qualcosa di alcolico.
- Grazie, ma tra un po’ ci fermiamo e prenderò del latte anche per mio figlio.
- Se lo sapevo prima…..
- Prego? Non capisco. –
- Se sapevo di farla sorridere gli avrei offerto il caffè molto prima.
Gli occhi azzurri e penetranti dell’uomo la fissavano, non era vecchio come gli era parso la sera prima.
- Dovrebbe farlo più spesso, sorridere intendo!
Ripose il termos sotto la giacca e si perse ad osservare la strada.
- Faremo una sosta vicino Roswell. Se avessi più tempo farei una visita al museo degli alieni. C’è mai stata?
- Veramente no!
- Io si molti anni fa avevo portato……non importa. Meglio così. Il tempo è prezioso anzi è oro.
- Mamma! – Eric si era svegliato – Mi scappa la pipì
- Il gabinetto è in fondo ma se fossi in voi ci penserei bene prima.
- La ringrazio ma vedrò di cavarmela.
L’uomo si alzò per farla passare. Era più alto di lei e di parecchio, Melissa provò uno strano turbamento passandogli vicino, ma subito si riprese concentrandosi su suo figlio..
La stazione degli autobus era situata in una zona periferica, in lontananza si profilavano rilievi brulli e l’aria calda e secca metteva sete. Ancora mezzora di sosta, ed era solo a metà del viaggio. Le frittelle calde con la marmellata misero di buon umore Eric che mangiò avidamente.
- E’ proprio un bel bambino scommetto che suo padre ne è orgoglioso.
Gli occhi azzurri erano di nuovo su di lei.
- Suo padre non lo vede da quando è nato! – Melissa aveva ribattuto quasi senza pensarci, istintivamente.
- Allora mi permetta di dirle che è un uomo stupido. Un figlio è la parte migliore di noi.
- Lei ha figli?
- Uno! – aveva esitato prima di rispondere.
- Mi scusi non voglio essere inopportuna.
- Inopportuna? Qui, nel Nuovo Messico? Ma no, non si preoccupi, viaggiamo sul medesimo autobus, come dire che stiamo nella stessa barca.
- Perché c’è il disegno di un cane? – Eric indicava la fiancata del mezzo.
- Te lo spiego io. – rispose l’uomo. – Vedi, quello non è solo un cane è un levriero, e sai cosa fanno i levrieri?
Eric, con la bocca aperta, scosse la tesa.
- I levrieri corrono, corronoooo!!! – Prese il bimbo per mano e si diresse verso l’autobus fra i gridolini di Eric.
Di nuovo in viaggio, la strada si stendeva a perdita d’occhio, grandi saguari sembravano antichi guerrieri oranti. Eric era tutto intento ad ascoltare le storie che il nuovo amico gli stava raccontando.
- Vado a riprenderlo! – esclamò ad un tratto. – Vado a riprendermi mio figlio.
Melissa non volle indagare oltre, ma un nodo le prese la gola, si rese conto di quanto, suo figlio, avesse bisogno di un padre.
- Se accetta un consiglio da uno sconosciuto cambi a Palm Springs, c’è una corsa diretta per San Francisco. Arriverà prima.
A Melissa parve sentire una nota di rimpianto nella voce di quell’uomo di cui non conosceva nemmeno il nome. Deglutì senza rispondere.
Il sole era alto quando giunsero a Phoenix
- Ehi! Cosa ne dite di una bistecca alta tre dita e una montagna di patatine fritte?
- Siiii!! – Eric si mise a battere la manine.
- Coraggio allora andiamo.
Mangiarono con appetito, l’uomo raccontava storielle spiritose facendo ridere tutti. Alla fine si avvicinò a Melissa.
- Devo salutarla, io sono arrivato!
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento e si accorse di non essere preparata.
- Ohh! - Fu la sola cosa che riuscì a dire.
- Andrà tutto bene, ne sono sicuro, ma deve crederci, deve crederci. Anzi dobbiamo crederci altrimenti nulla avrebbe senso. – Le strinse la mano e si allontanò correndo.
- Mamma, dov’è andato Paul?
- Chi?
- Paul! – Eric conosceva il nome.
- Aveva degli impegni importanti però mi ha detto di salutarti.
- Lo rivedremo?
- Non lo so Eric, non lo so.

C’erano molti più posti liberi ora sull’autobus. Il bambino si divertiva a provarli tutti saltando da uno all’altro. Beato lui, avrebbe voluto tornare anche lei bambina, con la spensieratezza di quell’età. Momenti preziosi, che serbava nella memoria. Non sarebbero più tornati ma così è la vita, sperava solo che suo figlio potesse averne molti altri. Vivere un’ infanzia serena circondato da persone che lo amano. Controllò la tabella di marcia che si era fatta quand’era ancora a Chigago. Aveva dato retta a Paul ed ora stava percorrendo la valle di San Bernardino, aveva guadagnato parecchie ore di viaggio, ma questo la portava sempre più vicino al suo problema. Come l’avrebbero accolta i suoi genitori.

Ci pensò molti prima di decidersi a fare quella telefonata.
- Pronto! – rispose una voce di donna.
- Mamma, sono Melissa. – silenzio
- Mamma mi senti? – ancora silenzio
- Con chi stai parlando, Karen? – la voce di suo padre.
- Dice di essere Melissa.
- MELISSA!
- Mamma, papà posso tornare a casa?

Sentiva i loro respiri, tutti e due erano lì attaccati a quel telefono, non dicevano una parola, non potevano….. ……..stavano piangendo.







Luisa Camponesco

   
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