Concerto di Sogni
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 25 Concerto di Bimbi
 C'era una volta....
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luisa camponesco
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I racconti della nonna - Martina e l’anello

La nonna si stava sistemando la mantellina sulle spalle, quando Gaia, la nipotina, con suo bel pigiamino rosa le si avvicinò:
- nonna mi racconti una favola? Tu ne sai tante
- E’ vero cara, sai anche a me le raccontava la nonna e magari un giorno tu le racconterai ai tuoi nipotini.
Gaia le si sedette accanto
- incomincia nonna, dai sono pronta
La nonna sorrise a quell’angelo di nipotina ed incominciò.
“C’era una volta, in un paese lontano una famiglia di contadini, era numerosa e quindi bisognava lavorare sodo per sfamare tutte quelle bocche.
Il lavoro dei campi duro e faticoso ma per fortuna i tre figli maschi davano una mano al padre, mentre la figlia Martina aiutava la mamma nelle faccende domestiche.
Martina era proprio bella, aveva i capelli color del sole e gli occhi azzurri come il cielo, quando cantava tutti si fermavano ad ascoltarla. Nella fattoria c’erano molti animali, mucche, galline, conigli, tutti conoscevano la ragazza e quando usciva a portar loro da mangiare le galline le correvano incontro e i conigli saltellavano nelle loro gabbiette.
Ogni giorno trascorreva sempre nel medesimo modo ma Martina non si lamentava, vedere la mamma sollevata dalle fatiche la rendeva felice. Un giorno mentre si recava al pozzo a prendere l’acqua vide una vecchia seduta sul ciglio del sentiero, aveva un’aspetto piuttosto malandato. Martina si avvicinò:
- posso fare qualcosa per lei? – chiese
La vecchia alzò il capo
- Mi basta un po’ di acqua – rispose
Martina corse al pozzo e riempì una brocca, poi nella tasca del grembiule aveva un po’ di pane e formaggio che pensava di mangiare più tardi
- Prenda anche questo
- Ma non ne avrai più tu – commentò la donna
- Non importa io sono forte e resisto alla fame – Martina sorrise
La donna mangiò avidamente il pane e formaggio e bevve l’acqua, Martina la osservava contenta di aver fatto qualcosa di buono.
La vecchia dopo esserci rifocillata si alzò con l’aiuto del bastone e prima di allontanarsi disse:
- Dovresti farmi un ultimo favore, sei così cara e gentile, mi fido di te. Dovresti conservare questo oggetto per me e ridarmelo al mio ritorno.- così dicendo consegnò un anello con incastonata una pietra rossa come il fuoco.
- Ma mi raccomando non devi perderlo è molto prezioso, se non lo ritroverò al mio ritorno allora saranno dolori per te e la tua famiglia.
La donna se ne andò lasciando Martina senza parole e con un anello in mano, perplessa e anche un po’ preoccupata per quella responsabilità, la ragazza, si avviò verso casa.
Nella sua cameretta pensava ad un luogo sicuro per nascondere quel prezioso oggetto, non trovando niente di meglio lo nascose sotto il materasso.
Passarono diversi giorni, nel villaggio si preparava una gran festa, tutti partecipavano sfoggiando gli abiti più belli in particolare i giovani, si sarebbe ballato fino a sera. Anche Martina voleva andare, sarebbe stata un’occasione per incontrare persone della sua età, non aveva molti abiti belli, anzi non aveva che pochi abiti e tutti usati per il lavoro della campagna, ma qualcosa di bello ora lo possedeva anche lei. Sollevò il materasso e ammirò ancora una volta quell’anello se lo mise al dito e quando venne il giorno della festa indossò il vestito più bello che aveva e quell’anello sembrava brillasse più del solito.
Alla festa Martina si divertì moltissimo, ma quell’anello aveva suscitato l’invidia di tutte le ragazze del paese che pensarono bene di portarglielo via. Infatti approfittando di un momento di confusione creato proprio da loro con un po’ di spintoni e gomitate riuscirono nell’intento.
Solo alla sera la ragazza si accorse della scomparsa dell’anello, disperata pensò di averlo perso per la strada e allora la rifece diverse volte guardando per terra con attenzione, ma nulla purtroppo, rassegnata tornò a casa.
Dopo qualche giorno la vecchia signora che le aveva affidato l’anello tornò per riprenderselo, a Martina dovette confessare di non averlo più
- Ti avevo avvertito – disse la donna - ora saranno dolori
Il giorno successivo una grandinata distrusse tutto il raccolto, un fulmine si abbattè sul granaio e lo incendiò, Martina non sapendo cosa fare confessò tutto ai genitori, la madre di mise a piangere e il padre infuriato la cacciò di casa dicendole:
- Hai messo in pericolo tutta la famiglia per la tua vanità
La ragazza raccolse le sue poche cose, fece un fagottino e lasciò la casa con cuore in pezzi, rimproverandosi per la sua imprudenza.
Non sapeva dove andare e incominciò ad incamminarsi senza una meta, poi stanca si sedette, quando:
- Cosa ti succede ragazza? - Un uomo anziano si era avvicinato, Martina non l’aveva mai veduto,
– Coraggio racconta – continuò
La ragazza era talmente disperata che raccontò tutto
- Mia cara ragazza, devi ritrovare quell’anello, altrimenti la sfortuna perseguiterà la tua famiglia
- Ma come faccio a ritrovarlo??- Martina era proprio disperata
- Rifletti, ti sei chiesta perché quella vecchia ti ha consegnato quell’oggetto prezioso??
- Si certo ma non ho trovato risposta
- La risposta è semplice, ti è stato dato perché hai compiuto una buona azione, invece chi te lo ha rubato ne ha commessa una cattiva, allora corri in paese e scoprirai la verità.
Dopo aver detto questo il vecchio si incamminò per la sua strada . Martina volle seguire il consiglio di quell’anziano signore e si diresse in paese. Il paese era in subbuglio, era successa una cosa strana, la figlia del notaio era stata colpita da una strana malattia, era diventata tutta rossa e andava dicendo che era colpa dell’anello di Martina che era stregato, da quando se lo era messo al dito non era più riuscita a toglierselo. Quando i paesani videro la ragazza arrivare incominciarono ad urlare che era una strega e aveva fatto un incantesimo a quella brava figliola del notaio.
Stavano per metterla in prigione quando il vecchio signore che Martina aveva incontrato prima disse:
- Aspettate amici, se è vero che la ragazza ha fatto un incantesimo saprà anche annullarlo
Tutti ammisero che aveva ragione e allora, quasi di peso, la portarono alla casa del notaio. Nel frattempo in quella casa tutti si affannavano attorno all’ammalata , il dottore non sapeva più cosa pensare e l’anello non voleva saperne di sfilarsi dal dito.
Appena la ragazza vide Martina si mise ad urlare
- Eccola la strega è leii - e giù a piangere. Il notaio nel vederla andò su tutte le furie
- Fuori questa strega da casa mia –
- Ma ci pensi un po’ – disse il vecchio – forse è la sola persona che può aiutare sua figlia. Poi si avvicinò a Martina e le sussurrò in un orecchio:
- Prova a sfilarglielo
Martina obbedì, ma l’anello non si muoveva, anzi l’altra ragazza urlava anche di più
- Forse – continuò il vecchio – se tu dicessi come hai avuto l’anello …….
- Me lo ha regalato lei – disse subito – perché sapeva che era stregato. Ma dopo aver detto questo l’anello si strinse di più al dito e lei divenne ancora più rossa.
- Forse non è la verità – continuò l’anziano signore – vuoi rimanere rossa per tutta la vita?
Dopo questa affermazione la figlia del notaio, a bassa voce quasi impercettibilmente disse:
- L’ho rubato e vorrei non averlo fatto
Immediatamente l’anello scivolò per terra e alla fanciulla ristornò il colorito roseo.
- Prendi il tuo anello e vattene ora – disse il notaio e Martina non se lo fece ripetere due volte.
Era necessario ora trovare la vecchia donna e rendergli ciò che era suo, vagò a lungo la giovane, per un giorno e una notte chiedendo a tutti se avessero visto un’anziana donna vestita di nero poi , quando men se lo aspettava eccola, col suo bastone giungere per la medesima strada, Martina le corse incontro
- Ecco il tuo anello, l’ho ritrovato
- Puoi anche tenerlo se vuoi, pensa potrebbe renderti ricca e felice
- No, grazie non lo voglio – con determinazione glielo rese .
Riprese il cammino, con il suo fagottino al braccio, incominciava a sentire fame e istintivamente si diresse verso casa e con sua grande sorpresa vide i campi rigogliosi, gli alberi carichi di frutta e il granaio ricostruito. Era ancora a bocca aperta per la meraviglia quando:
- Martinaaaa – sua madre le corse incontro e la abbracciò, seguita dal padre e dai fratelli - bambina mia quanto ci sei mancata . La ragazza profondamente commossa per l’amore che i suoi cari le dimostravano pensava che nessuna ricchezza al mondo poteva valere tanto.
Intanto un uomo e una donna anziani osservavano a distanza la scena e soddisfatti ripresero la loro strada.
La vera ricchezza è quella che ti viene dal cuore".
La nonna terminò così la sua storia e Gaia, sorridendo si addormentò fra le sue braccia.


Edited by - luisa on 26/01/2004 18:53:30

Edited by - luisa on 16/03/2004 14:17:49

luisa camponesco
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Il castello del bosco incantato

La nonna rimboccava le coperta a Gaia, aveva acceso una piccola abat-jour fatta ad angioletto.
- allora nonna questa sera cosa mi racconti?
La nonna si accomodò sulla poltrona, si sistemò il plaid sulle ginocchia e incominciò.
Questa sera voglio raccontarti la storia di Stellina e del castello del bosco incantato.
- nonna perchè si chiamava Stellina? Chi era?
- si chiamava Stellina perché era nata nel cuore della notte e quando suo padre uscì dalla casetta per prendere della legna da mettere sul fuoco vide nel cielo una stella che brillava più di tutte.
Allora appena entrato in casa andò vicino alla moglie prese la bambina in braccio la avvolse in coperta calda, perché non prendesse freddo, poi uscì nel prato davanti alla loro casetta , alzò la bambina verso il cielo e disse:
- ecco lei si chiamerà Stellina, proprio come te piccola stella luminosa.
La stellina incominciò a mandare bagliori in tutte le direzioni e un raggio si diresse proprio sul viso della neonata e lo illuminò. Stellina incominciò a mandare in suoi primi vagiti, le fronde degli alberi si agitarono come fosse un saluto, un vento leggero sfiorò la bimba e il suo pianto raggiunse la stellina
- non piangere piccolina io ti proteggerò – sussurrò la piccola stella attraverso la sua luce
Il padre quando rientrò in casa disse alla moglie
- questa nostra figlia è protetta dal cielo – e posò la bimba accanto alla madre.
Passarono gli anni Stellina era diventata una bella ragazza, aiutava i genitori nell’accudire la piccola fattoria, coltivava l’orticello e non mancava mai la verdura fresca sulla loro tavola, spesso era talmente abbondante che la donavano anche ai vicini.
Venne un giorno però che la mamma si ammalò, vennero chiamati molti dottori ma nessuno sapeva come fare a curarla. Ma una notte Stellina fece uno strano sogno, vide una stella scendere dal cielo e trasformarsi in una bella signora
- se vuoi aiutare la tua mamma dovrai andare nel bosco, quello oltre il fiume cercare i fiori di roccia
- ma è impossibile – disse Stellina – mai nessuno è ritornato da quel bosco, tutti si sono persi e non hanno più trovato la strada del ritorno e poi non ho mai saputo dei fiori di roccia
- non preoccuparti io ti sarò vicina e i fiori di roccia sono fiori bianchi che fioriscono solo di durante la luna piena, tu dovrai coglierli e farne una tisana da far bere alla tua mamma vedrai che guarirà.
Al mattino Stellina ripensò a quel sogno, la mamma continuava a peggiorare e la ragazza prese la sua decisione sarebbe andata a cercare i fiori di roccia.
Così di buon mattino, prima che il sole sorgesse si diresse verso il bosco oltre il fiume.
Aveva paura, ma l’amore per la mamma era più forte. Il bosco era proprio davanti a lei, ricordava tutte le storie che le avevano raccontato, di tutti quelli che non erano più tornati indietro.
Fece un grosso respiro, come quando si stà per tuffarsi in acqua e si incamminò.
Una nebbiolina azzurrognola la avvolse, era tutto molto strano ma era davvero bello.
C'erano enormi fiori profumatissimi di tutti i colori e gli uccellini cinguettavano in maniera armoniosa, alcuni cerbiatti brucavano tranquillamente incuranti della sua presenza.
Stellina incominciò ad avanzare cautamente, le fronde degli alberi si piegavano al suo passaggio.Certo, pensava, era molto strana questa cosa.Riprese a camminare, molti sentieri andavano in direzioni diverse, lei ne prese uno, le sembrava impossibile che un luogo così bello fosse anche così misterioso.
Giunse infine davanti ad una enorme siepe molto spinosa che chiudeva il sentiero, era un ostacolo davvero insormontabile. Stellina incominciava a scoraggiarsi e stava per tornare sui suoi passi quando improvvisamente si aprì un varco, incuriosita lo attraversò e si trovò nel più bel giardino che avesse mai visto, c’erano perfino alberi carichi di frutta, a dire il vero la ragazza incominciava a sentire un po’ di fame e quella frutta era irresistibile e stava per cogliere una mela succosa quando un vento leggero le sussurrò:
- non farloooo – la ragazza ritirò subito la mano
- che ci fai nel mio giardino?? – Stellina sussultò, a parlare era stato un bellissimo giovane accompagnato da un grosso cane che ringhiava
- non volevo rubare- si scusò la ragazza
- e allora cosa ci fai qua? – replico il giovane con una espressione cattiva
La ragazza spiegò che cercava i fiori di roccia per la sua mamma ammalata
- ti dirò dove potrai trovarli ma dovrai venire con me
Stellina seguì quel giovane tanto bello ma tanto arrogante. Il giardino finiva in un lungo viale che conduce ad un magnifico castello. La ragazza rimase a bocca aperta
- allora vuoi muoverti? Non ho tempo da perdere
Lo seguì piena di timore ma non aveva scelta. Entrata nel castello vide parecchie persone che lavoravano ma erano davvero strane non avevano sul volto alcuna espressione, il giovane la prese per un braccio e la trascinò via per condurla in un grande salone con una tavola imbandita
- immagino avrai fame, mangia pure quello che vuoi
Stellina era affamata e stava per addentare una coscia di pollo quando…
- non farloooo, non mangiare nulla di quello che vedi altrimenti non potrai più andare via – era una vento leggero come quello di prima che le sussurrava all’orecchio
- grazie ma per adesso non ho fame
- allora vorrai riposarti, i fiori di roccia fioriscono con la luna piena. Ti farò accompagnare in una camera mentre aspetti la sera.
Chiamò un servo
- seguilo! lui ti mostrerà la tua stanza.
Alla ragazza pareva di conoscere quel servo ma non ricordava dove poteva averlo incontrato
- è molto che lavori nel castello? – chiese
Nessuna risposta, il viso dell’uomo rimase impassibile, poi aprì una porta e le mostrò la camera.
La stanza era bellissima il letto enorme ed invitante lo tastò era morbido, non come quello che lei aveva a casa fatto di foglie secche. Il ricordo di casa le fece rammentare il motivo per cui si trovava lì. Pensò di riposare un po’ prima che giungesse la sera.
- non dormireeeee, altrimenti non potrai più lasciare il castello- di nuovo quell’alito di vento che sussurrava nel suo orecchio.
Stellina aveva molto sonno ma decise di ascoltare quella voce e tenne gli occhi ben aperti.
Il sole tramontò e nel cielo incominciarono ad apparire le prime stelle, il padrone del castello aprì la porta della camera
- non hai dormito? – era davvero furioso – tu non mangi tu, non dormi nessuno mi ha mai fatto questo, sarai punita.
Chiamò le guardie e la fece buttare nel pozzo che si trovava al centro del giardino
- quando avrai voglia di mangiare chiama. I miei servi ti faranno uscire.
Stellina si guardò attorno aveva paura ed era infreddolita, allora si inginocchio e pregò il suo angelo custode che la aiutasse.
La luna splendeva nel cielo, era talmente grande che pareva lo occupasse tutto ed ecco che una stellina apparve vicino alla luna e uno dei suoi raggi la raggiunse dentro il pozzo.
- presto sali lungo il mio raggio non avere paura non ti farò cadere
La ragazza prese fra le mani quel sottile filo di luce e si sentì trascinare verso l’alto. Appena fuori dal pozzo il vento le sussurrò
- presto cogli i fiori sono appena sbocciati ma non dureranno molto appassiranno presto.
Stellina si guardò attorno, infatti sulle rocce che delimitavano il giardino era spuntati dei bellissimi fiori bianchi. Senza indugio si apprestò a coglierli. Aveva appena colto il primo quando un urlo riempi l’aria
- TRADIMENTO! Presto guardie fermatela
Ma questa volta Stellina non si fece intimidire e colse più fiori che potè. Arrivarono le guardie dal volto senza espressione ma quando stavano per prenderla la piccola stella vicino alla luna mandò i suoi raggi come dardi luminosi e le guardie stramazzarono al suolo
- non puoi farmi questo – gridò il giovane che era sopraggiunto nel frattempo – non puoi distruggere il mio mondo
- io devo portare questi fiori alla mia mamma, altrimenti morirà – rispose la ragazza singhiozzando
- non ti lascerò portar via i miei fiori – il tono era autoritario
La ragazza stringendo i fiori fra le mani volse gli occhi verso l’alto e la piccola stella scese lentamente e si trasformò nella bella signora del sogno, la prese per mano e una bolla luminosa le avvolse e le portò in alto. Stellina vedeva scorrere sotto di sé il paesaggio, il bosco incantato poi finalmente la sua casetta, la bolla si posò delicatamente per terra
- corri ora vai a preparare la tisana vedrai la mamma guarirà
Stellina corse in casa e per la fretta si scordò persino di ringraziare, preparò la tisana e la fece bere alla mamma poi aspettò accanto al suo letto.
Alle prime luci dell’alba parecchie voci si levarono dal paese
- guardate! Sono tornati
La giovane si affacciò sulla porta e vide molte persone che uscivano dal bosco incantato e attraversavano il torrente, la ragazza riconobbe le guardie e i servi del principe cattivo, ma questa volta erano sorridenti e gridavano dalla gioia
- siamo liberi finalmente, l’incantesimo è rotto, torniamo a casa – la gente del villaggio correva loro incontro per abbracciarli.
- Stellina – chiamò della mamma. Stellina corse in casa, la mamma era in piedi vicino al letto ancora un po’ debole ma del tutto guarita.
La vita riprese e tutti era davvero felici, ma Stellina pensava spesso a quel giovane solo nel suo castello, perciò una mattina riattraversò il bosco incantato . Il bosco non era più cosi bello, i fiori non profumavano più. Il giardino era spoglio e il castello desolato, ma del principe nessuna traccia. Stava per andarsene quando…
- perché sei tornata?
- ero preoccupata per te
- nessuno si preoccupa per me da anni, tutti mi temono e mi lasciano solo
- ma non è con la magia che puoi tenere le persone vicino a te, ma con la generosità , l’affetto e la comprensione, nessuna magia è più forte della sincerità
Detto questo Stellina si girò per tornare verso casa,
- aspetta! – la voce del principe era però meno imperiosa ed arrogante – Tornerai?
- si – rispose la ragazza guardando il bel viso del giovane velato di tristezza.
Solo allora i due ragazzi si accorsero che nel giardino stavano sbocciando fiori nuovi.

Gaia si era addormentata e la nonna usci dalla cameretta in punta di piedi.


Edited by - luisa on 02/02/2004 18:48:18Vai a Inizio Pagina

luisa camponesco
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Il mago della foresta del nord

Gaia arrivò come sempre di corsa, la nonna stava facendo la sua maglia, depose gli aghi e sorrise alla nipotina:
- che storia mi racconti stasera?
- Questa sera ti racconto la storia del mago della foresta del nord. Devi saper che in tempo lontano lassù in alto vicino alla terra dei ghiacci c’era una bellissima foresta piena d’alberi giganteschi, di betulle di abeti e di fiori bellissimi.
Ma quella foresta era abitata anche da gnomi cattivissimi, facevano dispetti a tutti, animali e uomini, attraversare il bosco era una vera prova di coraggio.
Harald aveva una bella mandria di renne, erano la sua ricchezza ne andava molto fiero. Le conosceva una ad una le sorvegliava quando erano al pascolo e alla sera rientravano nel loro recinto. Il recinto era robusto e i lupi non potevano entrare e gli animali erano ben protetti. I giorni passavano le stagioni pure, arrivò un inverno freddissimo, il ghiaccio aveva ricoperto tutto gli animali non sapevano più dove andare a brucare.
La gente del villaggio era molto preoccupata senza gli animali che fornivano carne e latte avrebbero dovuto abbandonare le loro case ad andare verso sud dove c’era un clima più mite. C’era per un luogo dove cresceva un’erba fresca e verde ma quel pascolo stupendo si trovava al di là del bosco abitato dagli gnomi e per raggiungerlo era necessario attraversarlo.
Nessuno aveva il coraggio di farlo, allora Harald si fece avanti:
- Andrò io con le mie renne, attraverserò quel bosco e raggiungerò quel pascolo
La mamma era molto preoccupata e cercava di dissuadere il figlio da quell’impresa, ma la gente del villaggio invece lo incoraggiava, infatti molto sarebbe dipeso da Harald se fosse riuscito nel suo intento.
Così di buon mattino, il giovane radunò la mandria, riempì la bisaccia di viveri e si apprestò a partire, sua madre lo abbracciò e gli mise al collo un ciondolo
- Portalo sempre con te, mi raccomando ti proteggerà.
Harald lo osservò, rappresentava la figura di una renna bianca, lui non aveva mai visto renne bianche in vita sua, sicuramente non esistevano, ma volle comunque assicurare la madre
- Stai tranquilla mamma, lo porterò sempre con me
Iniziò così il suo viaggio, con la mandria davanti a sé la spinse verso il bosco degli gnomi. Man mano si avvicinava un vento gelido lo investiva e diventava sempre più forte, talmente forte che doveva piegarsi per non cadere. Anche le renne facevano fatica ad avanzare e a volte venivano addirittura trascinate indietro.
Poi com’era incominciato il vento finì e apparve il bosco, scuro misterioso, metteva i brividi. Harald raccolse tutto il suo coraggio ed iniziò ad avventurarsi in quella zona inesplorata. Le renne non volevano entrare, ci volle tutta la determinazione del giovane per costringerle ad avanzare. L’aria era immobile, qualcuno lo stava osservando, allora Harald si mise a cantare. Aveva una bella voce e la canzone era allegra, si rincuorò e continuò a spingere in avanti la sua mandria. Arrivarono in una grande radura, c’era un bel laghetto e un prato invitante, le renne si misero subito a brucare e ad abbeverarsi. Anche il ragazzo si sedette sull’erba, prese dalla bisaccia una pagnotta ed incominciò a mangiare. Solo allora si accorse che non faceva assolutamente freddo, anzi sembrava fosse esplosa la primavera. Intanto, nascosti dagli alberi gli gnomi osservavano la scena.

- Quell’uomo ha osato entrare nel nostro regno, senza chiederci il permesso, merita una punizione.
- Andiamo a chiamare Voghen il nostro re
Voghen era il più cattivo degli gnomi e sapeva molte magie. Quando seppe dell’intrusione del ragazzo e delle sue renne disse:
- Bene gli darò una lezione tale che nessuno uomo oserà mai più attraversare il nostro bosco.

Tutti gli gnomi sghignazzarono pensando allo spettacolo, era un bel po’ che non si divertivano più alle spalle degli uomini e adesso si presentava una bella occasione.
Harald ignaro di tutto continuava il suo pasto tranquillamente mentre le renne pascolavano. Ad un tratto sul più bello, mentre si faceva un riposino un grido.
- Ehiii tu ! cosa ci fai sul nostro prato?
Il giovane sobbalzò, era attorniato da brutti omiciattoli, con nasi bitorzoluti.
- Chiedo scusa, non sapevo che questo prato fosse di qualcuno – cercava di essere gentile
- Non è vero, tutti gli uomini sanno che questo posto è nostro e nessuno può passare di qui.
- Credetemi se avessi avuto scelta non sarei passato di qui. Ma devo raggiungere i pascoli del nord altrimenti la mia gente morirà di fame.
- Non ci importa nulla nè di te nè della tua gente, tu ora rimarrai qui per sempre insieme alle tue renne. Guarda cosa facciamo!
Voghen puntò una bacchetta in direzione delle renne e queste si tramutarono subito in statue di pietra.
- Adesso tocca a te.
Ma appena Voghen puntò la bacchetta contro Harald, il ciondolo che aveva al collo incominciò ad illuminarsi. Gli gnomi, che non amano la luce, fuggirono nella foresta. In mezzo a quella luce apparve una bellissima renna bianca.
- Presto Harald montami in groppa, prima che gli gnomi tornino.
Il ragazzo sali in groppa alla renna e via come il vento lasciarono la foresta. Quando finalmente si fermarono e il vento freddo del nord li investì. Harald incominciò a piangere:
- Ho perso le mie renne, la mia famiglia morirà di fame
- Forse no – rispose la renna – c’è ancora una possibilità.
- quale? – chiese pieno di speranza
- Dobbiamo convincere il mago della foresta del nord ad intervenire.
- E dove lo troviamo questo mago?
- Sò io dove trovarlo, coraggio risali in groppa – e partirono
Era notte fonda quando arrivarono davanti ad una capanna in riva ad un lago ghiacciato. Il giovane scese dalla renna:
- E adesso cosa devo fare? – ma quando si voltò verso l’animale vide, al suo posto, una ragazza dai capelli rossi.
- Adesso entriamo – disse sorridendo e vedendo il suo sguardo interrogativo
- Rivedrai la renna bianca al momento opportuno – lo rassicurò.
Nella capanna c’era un bel tepore, un enorme pentolone bolliva sul fuoco.
- Zio? - chiamò la ragazza
- Sei tornata finalmente! Lo sai che ho bisogno te, solo tu conosci quelle erbe per la mia pozione.
Un vecchio con la barba ispida apparve
- Chi c’è con te? Hai portato un uomo? Sai bene che non voglio aver nulla a che fare con loro.
- Zio lascia perdere i vecchi rancori. E’ passato tanto tempo ormai dimentica
- Non lo farò mai!
- Aspetta zio prima di dir no. Non sono stati gli uomini a cacciarti dalla foresta, ma gli gnomi.
- Tu come lo sai? – fu allora che il mago notò il ciondolo al collo di Harald – che ti ha dato quest’oggetto?
- Mia madre ma apparteneva a mia nonna. Gli occhi del vecchio si inumidirono
- Lo sapevo che era lei – disse la ragazza – la donna che hai amato da giovane, allora aiutali zio. Fallo per questo ragazzo che è nipote di quella donna che hai amato.
Il vecchio si sedette e per parecchio tempo non parlò, nessuno parlò. Il mago ricordava la sua giovinezza, poi all’improvviso:
- C’è un modo per liberarsi dagli gnomi, loro odiano la luce molto forte quindi……
- Quindi – riprese la ragazza che nel frattempo aveva capito – una forte luce li metterebbe in fuga.
- Non proprio – proseguì il mago – ma li farebbe dormire per millenni.
- E noi sappiamo bene come fare, vero zio? – la ragazza assunse un atteggiamento complice.
- Si ma è rischioso – guardò Harald – cosa sei disposto a fare per salvare il tuo villaggio?
- Tutto affronterò qualsiasi prova
- Bene perché quello che dovrai fare potrebbe costarti molto caro, dovrai cavalcare l’uccello di fuoco. Dovrai catturarlo e farlo volare sul bosco degli gnomi.
- Dov’è questo uccello di fuoco? – chiese Harald
- Al di là del lago di ghiaccio – rispose il mago – prendi questa corda è l’unica che non può bruciare.
Il mattino seguente il giovane si preparò ad attraversare il lago ghiacciato e la renna bianca lo attendeva. Insieme si avviarono a compiere quella missione. Il nido dell’uccello era situato in un isolotto nel centro del lago ed era l’unico luogo privo di ghiaccio, ma verde e con molta vegetazione.
- Cerca di non fare rumore mentre ti avvicini – suggerì la renna - altrimenti se si sveglia ti brucerà.
Harald seguì il suggerimento, si avvicinò cautamente, l’uccello dormiva ed era di un color rosso vivo. Con la mano che tremava, ma con decisione, mise la corda attorno al collo e sali sulle sue ali.
Quando il volatile di accorse della presenza del ragazzo incominciò a dibattersi le ali si incendiarono, aprì il becco e si alzò in volo. Harald aggrappato sul dorso dell’uccello cercava di resistere al calore e con l’aiuto della corda del mago lo diresse sopra il bosco degli gnomi. L’uccello sembrava impazzito cercava in ogni modo di liberarsi dell’ingombrante peso che aveva sulle ali. Ma stava già sorvolando il bosco e sbattendo le ali e migliaia di scintille scendevano come pioggia di luce. Tutta la foresta era illuminata. Gli gnomi non sapevano più dove fuggire e caddero in un sonno profondo, nelle loro casupole fra le radici degli alberi. L’uccello volava basso sfiorava la punta degli alberi, Harald perse la presa con la corda e cadde. I rami degli alberi attutirono la caduta, ma l’impatto col terreno lo lasciò stordito. Rimase per un po’ per terra senza capire cosa fosse successo e tenendosi la testa fra le mani, un vento caldo si levò improvvisamente e il bramito delle renne lo scosse. Erano tutte là e pascolavano come se nulla fosse accaduto e la foresta si riempì del cinguettio degli uccelli. Da lontano una renna bianca lo osservava e si allontanò in una nebbia di luce. Harald preso da una strana emozione si mise a correre verso il villaggio. Il ghiaccio era completamente sparito e sua madre gli corse incontro per abbracciarlo. Solo più tardi Harald si accorse di non avere più il ciondolo della nonna.
- Mamma ho perduto il ciondolo
- No Harald, non l’hai perduto, ora non hai più bisogno della sua protezione.
Tutto tornò come prima, i pascoli verdi e gli uomini fecero nuovamente la legna nel bosco degli gnomi.


Gaia non era soddisfatta.
- Nonna ma la ragazza dai capelli rossi che fine ha fatto??
- Harald la rincontrerà presto stanne certa
- E la sposerà?
- Credo proprio di si, ma si è fatto tardi Gaia è ora di fare la nanna
Gaia si stropicciò gli occhi e si incamminò verso la sua cameretta.


Edited by - luisa on 13/02/2004 15:10:34Vai a Inizio Pagina

luisa camponesco
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La chiave della felicità


Come tutte le sere, nonna e nipotina sedute sul divano, godevano il tepore del caminetto.
- questa sera Gaia ti racconterò una storia davvero strana. Gaia si accoccolò abbracciando i cuscini
- dai nonna ti ascolto
- Devi sapere che una volta, tanto tempo fa – la voce della nonna si fece bassa e misteriosa e Gaia si strinse di più ai cuscini.
Tanto tempo fa c’èra un artigiano, molto ma molto bravo, che costruiva balocchi. I più bei giocattoli di tutta la zona si trovavano nel suo negozio. Venivano da tutte le parti a comperarli. Entrare nel suo negozio, pareva di entrare in un mondo fantastico, sia i grandi che i piccini non sarebbero più usciti tanto erano affascinati dalle sue opere.
Il lavoro era cresciuto parecchio e da solo l’artigiano che si chiamava Teodoro non ce la faceva più, quindi un bel giorno mise sulla sua vetrina un bel cartello.

Cercasi apprendista giocattolaio


A dire il vero si presentarono in molti, ma Teodoro, tentennava, il suo lavoro era importante e aveva bisogno di qualcuno bravo che amasse i giocattoli ed avesse molta pazienza.
In quello stesso giorno il giovane Enrico percorreva quella stessa via. Era in viaggio da molti giorni ed aveva finito le scorte di cibo che aveva nella bisaccia e la fame cominciava a farsi sentire, il profumo di una panetteria la fece aumentare, passando davanti alla vetrina vide in bella mostra focacce, pasticcini e varie forme di pane appena sfornato, incominciò a deglutire quando il padrone lo vide e lo scacciò a malo modo.
- Vattene via di qua straccione!
Enrico si allontanò subito, a dire il vero anche un po’ offeso, nessuno gli aveva mai detto cose simili. Il suo stomaco continuava a reclamare quando vide il negozio di giocattoli e quel cartello ben in vista. Tentare non costava nulla e timidamente entrò.
- Buongiorno – disse – ho letto il cartello, io sto proprio cercando un lavoro nel caso avesse ancora bisogno….
Teodoro sospirò, in realtà non aveva ancora trovato il garzone che faceva per lui.
- Cosa ne sai di giocattoli ragazzo? – chiese
- Non molto direi, ma imparo in fretta e il lavoro non mi spaventa.
- Ma dicono tutti così poi combinano solo pasticci - Teodoro scuoteva la testa.
Enrico capì e si avviò sconsolato verso la porta, quando si rammentò di una cosa
- Ecco io non ho mai fatto giocattoli veri e propri, ma quando ero in montagna insieme a mio nonno ho imparato ad intagliare il legno.
- Parecchi lo sanno fare, ma non ho ancora visto nulla che valesse un soldo bucato – rispose Teodoro.
- Aspetti le mostro qualcosa – mise a terra la sua bisaccia e frugò dentro, ne estrasse una piccola scultura e la mostrò al negoziante.
Teodoro la prese e la osservò con attenzione. Enrico interpretò il silenzio che seguì come una risposta negativa e con un sospiro prese la sua bisaccia e si avviò all’uscita quando:
- aspetta! – Teodoro aveva ancora la scultura in mano – l’hai fatta tu?
- Si signore proprio io
- Saresti capace di farne una simili ora qui in negozio?
- Ma certo signore
- Bene lì c’è del legno e uno scalpellino dimostramelo!
Enrico si sedette su di uno sgabello e incominciò a lavorare, intanto Teodoro non smetteva di ammirare la piccola scultura che rappresentava una cerbiatta mentre allattava il suo piccolo. La fattura dell’opera era talmente bella da lasciare senza fiato, i particolari erano curatissimi, sembrava una statuetta uscita dalle mani di una fata. Enrico lavorava in silenzio cercando di dare il meglio della sua bravura e poco dopo mostrò al giocattolaio il suo lavoro, una nuova statuetta che raffigurava un orsacchiotto. Il risultato era semplicemente fantastico perfetto e fatto in poco tempo. Uno strano brontolio fece capire a Teodoro che il ragazzo doveva avere una gran fame.
- Credo tu abbia fame, vai nel retro della bottega, nelle dispensa troverai del pane e formaggio.
Enrico non se lo fece ripetere due volte e mangiò a sazietà, quando tornò nella bottega il signor Teodoro gli disse:
- penso di provarti per un po’ vediamo come saprai costruire giocattoli, ma intanto se non sai dove andare a dormire potrai rimanere qui, ti sistemerò nell’angolo vicino al camino
Ad Enrico pareva di sognare, aveva finalmente trovato un lavoro. Quando venne la sera, sdraiato sul suo pagliericcio, dopo aver detto le sue preghiere, si addormentò era stata una giornata davvero

importante. Sognò quella notte, un sogno davvero strano, si ritrovò in montagna con il nonno che intagliava una chiave di legno e quando l’ebbe finita gliela diede dicendo:
- Con questa chiave, ragazzo mio, potrai aprire tutte le porte.
Al mattino si svegliò col profumo del pane appena sfornato, Teodoro gli diede anche una bella tazza di latte
- Coraggio ragazzo adesso diamoci da fare.
Mentre Enrico si sistemava al tavolo di lavoro, dalla tasca della giacca scivolò per terra una chiave di legno, si chinò a raccoglierla, era la medesima chiave vista nel sogno, ma era sicuro di non averla mai avuta, la mise in tasca prima che Teodoro la vedesse, poi riprese il lavoro. Il pensiero di quella strana chiave lo turbava. La giornata finì ed Enrico si apprestò ad andare a dormire la stanchezza lo fece addormentare profondamente. Sognò di trovarsi davanti ad una porta chiusa ma sapeva di poterla aprire, aveva la chiave, infatti la inserì nella toppa ed aprì. Si trovò in una stanza colma di bellissimi giocattoli, non ne aveva mai visti di così belli in vita sua. Cerano trenini, pupazzi, cavallucci a dondolo e tanti altri. Incominciò a prenderne uno alla volta e portarlo fuori dalla porta e dopo la rinchiuse accuratamente.
Il mattino seguente appena destato si stropicciò gli occhi, poi li spalancò di colpo. Tutti i balocchi che aveva visto nel sogno erano tutti davanti lui. Pensò di sognare ancora e si diede dei pizzicotti, provò dolore, quindi era sveglio. Stava rimirando un trenino quando arrivò Teodoro
- Cos’è accaduto? – esclamò stupefatto
- Hai lavorato per tutta la notte?- continuò ed intanto prese ad esaminare i manufatti
- Ma come hai fatto? Sono davvero magnifici li esporrò subito in vetrina.
Nel giro di poche ore una moltitudine di persone vennero ad acquistarli e a chiederne ancora. Molti se ne andarono delusi, perchè erano finiti.
- Pensate di farne ancora per domani? – chiedevano
- Sicuramente – rispondeva Teodoro
Teodoro era soddisfatto
- Enrico hai proprio fatto un bel lavoro, mi aspetto molto da te, bravo!
Enrico non sapeva cosa rispondere ed era anche un po’ spaventato, si domandava cosa sarebbe accaduto l’indomani.
Quella notte Enrico sognò nuovamente la porta chiusa. Usò le chiavi e la aprì. Questa volta nella stanza vi erano bambole di ogni grandezza, in porcellana, damine, contadine, alcune si muovevano meccanicamente. Anche questa volta Enrico le prese ad una ad una e le portò fuori dalla stanza.
Al mattino le bambole erano tutte in bellavista nel negozio. Teodoro non stava più in sé dalla gioia. In poche ore furono vendute tutte e le richieste di giocattoli aumentavano. La cosa continuò per alcuni giorni, Enrico sognava la porta portava fuori i giocattoli che andavano a ruba.
Una notte però, il ragazzo sognò la porta, come al solito, ma aprendola stavolta la trovò vuota, nessun giocattolo. La mattina seguente Teodoro restò sconcertato non trovando nessun balocco da vendere e i clienti che già attendevano di entrare.
- Cosa facciamo ora? – chiese – dimmi cosa è successo?
- Non so che dirle signor Teodoro, ma è successo
Enrico si guardò bene di parlare di quella strana chiave e dei suoi sogni. La giornata passò e non si vendette nemmeno un giocattolo. Durante la notte Enrico sognò ancora quella porta chiusa, ma questa volta non cercò di aprirla, al contrario si svegliò di colpo, prese scalpellino e martelletto e incominciò a lavorare il legno come faceva quand’era col nonno in montagna. Sembrava che le sue mani volassero mentre scolpiva, limava e dipingeva. Era quasi mattino quando si addormentò. Teodoro rimase piacevolmente sorpreso, i balocchi erano ben fatti e ben curati. I clienti tornarono presto e comperarono tutto. Anche la notte successiva Enrico sognò la porta chiusa, ma anche questa volta non la aprì invece si destò e incominciò a lavorare per addormentarsi verso mattina. Anche questa volta i giocattoli si vendettero in un momento, Teodoro faceva affari d’oro.
Una notte però Enrico sognò la solita porta, ma all’improvviso, questa si aprì da sola, il ragazzo entrò con cautela, non c’erano giocattoli ma invece:
- Ciao Enrico! – il nonno lo guardava sorridente – adesso ragazzo puoi restituirmi la chiave, non ne hai più bisogno.
- Ma nonno mi avevi detto che poteva aprire qualsiasi porta!
- È vero ma adesso ha aperto la porta più importante, hai aperto la porta della fiducia. Tu hai ritrovato quella in te stesso, nelle tue capacità.
Il nonno tese la mano e Enrico gli diede la chiave.
- Continua a costruire giocattoli. I tuoi giocattoli daranno gioia a tanti bambini e anche a te.
Poi la porta si chiuse sola, Enrico si svegliò e dopo un attimo di esitazione, riprese a lavorare. Più i giorni passavano e ormai tutti sapevano quanto fosse bravo. Un giorno Teodoro gli si avvicinò dicendo:
- Adesso sono sicuro che la mia bottega è in buone mani io posso finalmente riposarmi, la bottega è tua Enrico te la lascio. Tu ora continuerai la mia opera. Tieni! Eccoti le chiavi del negozio.
Mise le mani in tasca ed estrasse un bella chiave e la diede ad Enrico. Il ragazzo la prese e si accorse che era uguale alla chiave che il nonno gli aveva dato. Gli occhi si inumidirono al ricordo dell’amatissimo nonno. Mentre Teodoro se ne andava soddisfatto lui si guardò attorno stringendo la chiave che apriva le porte della felicità.

La nonna sorrise guardando Gaia che nel frattempo si era addormentata con la boccuccia semiaperta. Forse anche lei sognava porte magiche da aprire.




Edited by - luisa on 29/02/2004 12:56:30Vai a Inizio Pagina

luisa camponesco
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Il castello sulla nuvola




-Stasera Gaia ti racconto una storia davvero fantastica stammi a sentire.
Gaia spalancò gli occhi e si accoccolò sul divano.

La principessa camminava nervosamente nella stanza, ogni tanto si affacciava alla finestra, il mondo lo vedeva dall’alto, bello e misterioso. La sua vecchia balia le raccontava storie fantastiche, di animali, di boschi incantati e delle persone che lo abitavano. Lei Rosabella la principessa non aveva ma visto nulla di quella terra che stava lì sotto, fantasticava e un giorno, ne era sicura l’avrebbe finalmente vista e corso su quei prati verdi cha a volte scorgeva dall’alto.
Suo padre il Re Fortebraccio e sua madre la Regina Ricciolidoro, da parecchio tempo avevano lasciato la terra per vivere sulle nuvole. Dicevano che la terra era diventata troppo pericolosa e volevano proteggere la dolce principessa. Un mago loro amico costruì loro il bel castello su di un’isola fatta di bianchissime nubi.
Ma la principessa si annoiava, tutta sola in quelle grandi stanze, non aveva amici, nessuno della sua età e quando si affacciava ad una delle finestre a volte non riusciva a vedere proprio nulla.
Una sera, mentre la sua balia la pettinava disse:
- Lo sai, cara balia, darei qualsiasi cosa pur di passare almeno un giorno su quella terra che c’è là sotto.
La balia inorridì nell’udire quelle parole.
- Per carità principessa, che nessuno senta quella che hai detto ora. – si guardò attorno con una certa ansia, ma non vedendo alcuno si tranquillizzò.
Ma qualcuno aveva udito ciò che la principessa aveva detto e pensò di farne buon uso. Infatti, una vecchia cornacchia si era posata sul davanzale della finestra nell’attesa di riprendere il volo.
Appena la principessa si coricò, la cornacchia volò via, tornò giù sulla terra. Dopo aver sorvolato prati e colline si fermò sul davanzale di una brutta, ma immensa fattoria. Il proprietario era un omone grande e grosso dall’aspetto trasandato e con un carattere irascibile. Comandava tutti a bacchetta, faceva lavorare i suoi contadini tutta la giornata nei campi e guai a chi si lamentava.
Però gli mancava una moglie, infatti, diceva sempre:
- A chi lascerò un giorno tutti i miei averi? Non certo a questi zoticoni di contadini.
Ma era anche esigente, la voleva bella, intelligente e magari nobile. Nessuna delle fanciulle del paese gli andava bene, a dire il vero con gran sollievo delle fanciulle, nessuna lo avrebbe sposato volentieri, tanto era brutto e grosso e arrogante. Quando vide la cornacchia sul davanzale della finestra della cucina, prese una scopa e si apprestò a scacciarla.
- Non farlo!!! Gracchiò, altrimenti non saprai mai cos’ho da dirti.
- Cosa mai potrebbe dirmi una vecchia cornacchia come te!
- Visto che mi tratti così, parlerò della principessa Rosabella a qualcun altro – fece per prendere il volo…
- Aspetta, aspetta ! cos’hai detto? Principessa ? Dove? – l’omaccione era incuriosito
- Certe informazioni costano – la cornacchia capì di aver risvegliato la sua curiosità.
- Cosa vuoi cornacchia, per questa informazione – ribadì.
- Fammi un po’ pensare – la cornacchia prese tempo e cominciò a zampettare avanti e indietro.
- Sbrigati cornacchia a dirmi cosa vuoi in cambio non posso aspettare molto.
- Allora voglio cibo in abbondanza, tutti i giorni e un bell’albero per riposare, un albero tutto mio, queste sono le mie condizioni.
- Le accetto – rispose
- Bene, la fanciulla in questione è bellissima e dolcissima, vive in un castello sopra le nuvole
A questa uscita l’uomo scoppiò in una risata
- E pensare che stavo per prenderti sul serio, vattene cornacchia prima che cambi idea e ti prenda a scopate.
- Fai male a non credermi, pensa che quel castello ora sta proprio passando sopra la tua terra.
In effetti un’enorme ombra si stava estendendo e copriva tutto il sole, l’uomo rimase pensieroso.
- Portami una prova dell’esistenza di questa principessa e io ti crederò:
Così dicendo rientrò in casa. La cornacchia riprese il volo e raggiunse il castello sulle nuvole, cercò la finestra della camera della principessa.
Appena la scorse volò dentro e si posò sul bordo del letto, si avvicinò piano piano e con il becco slacciò un nastro rosso che raccoglieva i capelli, poi volò via.
Con il nastro nel becco tornò dal contadino.
- Eccoti la prova – disse la cornacchia – chi mai potrebbe portare un simile nastro se non una leggiadra fanciulla?
Il contadino prese il nastro, lo osservò con attenzione
- Hai ragione cornacchia, solo una bella fanciulla può avere un nastro di seta come questo. Se me la porterai ti darò quello che ho promesso. – rientrò in casa portando con sé il nastro.
La cornacchia soddisfatta raggiunse in volo il bosco vicino.
- Venite sorelle ho qualcosa da dirvi! – gracchiò
In men che non si dica uno stormo di cornacchie nere calò dall’alto.
- allora! Quali novità ci porti?
- Non ci credereste mai. Quello sciocco di contadino vorrebbe sposare la principessa del castello sulle nuvole, in cambio ho chiesto cibo, e un albero tutto per me.
- Ma sei impazzita – disse una di loro – una principessa vale molto di più di un albero e di un po’ di cibo.
- Certo sorelle, lo so bene, ma se chiedevo di più non avrei ottenuto nulla, quando gli porteremo la principessa noi ci prenderemo molto di più…
- Porteremo hai detto? Vuoi dire col nostro aiuto?
- Certo da sola non potrei
- Ma come faremo?
- Seguitemi e lo scoprirete. Detto questo la cornacchia prese il volo seguita da tutte le altre...

Raggiunsero il castello sulle nuvole ed entrarono nella camera della principessa. Rosabella che dormiva e non si accorse di nulla.
- Ora statemi a sentire – disse la brutta cornacchia – senza far troppo rumore, ognuna di voi prenda nel becco un lembo del lenzuolo e insieme la solleveremo e la porteremo fuori di qui.
Infatti così fecero. La principessa non si destò neppure, le cornacchie la portarono in volo giù sulla terra nella fattoria del contadino e la adagiarono sul morbido prato.
Il mattino seguente, il contadino appena destato, uscì per recarsi nei campi e con gran meraviglia scorse la bellissima principessa ancora addormentata sul prato. Si avvicinò per contemplarla.
“Aveva ragione la cornacchia” pensò non c’era sulla terra fanciulla più bella, ma quando la principessa si destò sbattendo gli occhi e vide la faccia del brutto contadino emise un urlo.
- Cos’hai da gridare ragazza? – disse l’omaccione – dovresti essere contenta di essere qui e sposare un uomo ricco come me!
Nell’udire questo la fanciulla si mise ad urlare ancora di più.
- Voglio tornare a casa mia – gemeva – forse è solo un brutto sogno, dov’è la mia governante? Dov’è il mio letto?
- Smettila di frignare ed entra in casa, indosserai altri abiti, più adatti ai lavori domestici.
E senza troppi complimenti, la prese per un braccio e la trascinò via. La povera Rosabella non credeva ai proprio occhi, doveva essere un incubo, in men che non si dica fu costretta ad indossare un grembiulone e lavare una montagna di piatti.
Il contadino era proprio soddisfatto, aveva trovato una moglie bella proprio come voleva lui, ma quando uscì per andare a lavorare trovò un esercito di cornacchie sulla sua proprietà, una vera invasione, allora preso in mano un badile incominciò a menar colpi a destra e a manca. Le cornacchie si spostavano solo per un attimo poi ritornavano come se nulla fosse stato.
- Andate via brutte bestiacce – continuava a dire.
- E’ inutile che gridi – ribadì la cornacchia – hai voluto la principessa? E allora adesso devi tenere anche noi, senza il loro aiuto non avrei potuto portartela.
Il contadino gemette e rientrò in casa. Nei giorni che seguirono, le cornacchie devastarono tutti i suoi campi e il suo raccolto e inoltre Rosabella si rifiutava di fare i lavori di casa e come non bastasse, il re e la regina del castello sulla nuvola saputo ciò che era accaduto alla loro figliola mandarono fulmini e grandine sulla fattoria
Alla fine, esasperato scacciò Rosabella dalla casa considerandola fonte di tutte le sue disgrazie.
La povera principessa incominciò a vagare per prati e per boschi, ma passato il primo momento di smarrimento incominciò ad apprezzare le bellezze della natura. Nel suo castello sulla nuvola non c’era nulla che assomigliasse a quello che la circondava, il profumo dei fiori, il canto degli uccelli e nel suo vagare giunse ad un villaggio, incominciava ad avere fame, il profumo del pane appena sfornato le fece avvicinare alla casa. Una donna intenta nel lavoro la vide attraverso la finestra e sorridendo le andò incontro porgendole una bella fetta di pane fragrante.
- Mia cara devi essere affamata – disse la donna – vieni nella mia casa ti darò del latte da bere.
La principessa non se lo fece ripetere due volte.
- Mi spiace che non posso darti di più, i nostri campi sono pochi e i raccolti scarsi. Purtroppo tutta la terra migliore appartiene ad un contadino grosso ed avaro a noi sono rimaste le briciole.
Rosabella sapeva di chi stesse parlando, ma preferì non dire nulla. Rimase qualche giorno ospite fra quella gente gentile e generosa.
Quando il mago amico del padre si presentò a lei dicendole:
- Sono venuto a prenderti i tuoi genitori sono preoccupati vieni ti porto a casa
- Aspetta mago vado a salutare queste brave persone che mi hanno accolto senza chiedermi nulla.
E così fece ma promise di tornare. Il mago trasformatisi in candida cicogna fece salire la principessa sulle sue ali e la riportò nel suo castello. Appena arrivata a casa e abbracciato i genitori disse:
- Padre vorrei che tu aiutassi le gente di quel villaggio, rendi rigogliosi i loro campi così avranno raccolti abbondanti.
-Lo farò figliola, farò piovere quando sarà necessario e li proteggerò dalla grandine e dal vento. Ma come vuoi che punisca il cattivo contadino?
- Non devi far nulla padre – disse la principessa– ci stanno già pensando le cornacchie - e la sua risata argentina riempì le grandi stanze del castello.

- Che bella nonna questa storia, ma poi la principessa è tornata in quel villaggio?
- Ma certo e parecchie volte, anzi hanno fatto anche una bella festa con tutta la gente, danze e canti e tanta allegria.
- E il brutto contadino ?
- Lui ha dovuto andare via, lasciare la sua terra, le cornacchie lo facevano diventare matto, ma i campi della gente del villaggio era sempre più belli e davano tanti frutti. Ma adesso bambina è ora di andare a nanna.




Edited by - luisa on 07/04/2004 09:23:51Vai a Inizio Pagina

   
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