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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Marisol e Francesco
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Renato Attolini
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Inserito - 23/12/2010 :  12:26:59  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
“Señor Francesco, si svegli…su! Despiertate por favor!”
La voce di Marisol, l’ausiliaria sudamericana mi raggiunge alle orecchie come una dolce cantilena. Apro gli occhi e vedo il suo viso giovane e carino che mi sorride: di tutte le ragazze che lavorano qui è la più gentile e per lei nutro un sincero affetto quasi come se fosse mia figlia. Lascio che compia le operazioni quotidiane di pulizia e poi appoggiandomi a lei mi alzo in piedi e guardo fuori.
Il giardino della casa di riposo è ammantato di neve caduta copiosamente nei giorni passati, il sole splende, il cielo è di un azzurro intenso e quando è di questa tonalità non posso fare a meno di pensare alle parole del Manzoni, quando riferendosi a quello della Lombardia lo definiva “così bello quando è bello”.
Apro la finestra e subito Marisol fa per bloccarmi:
“No señor, por favor, hace frio. Fa freddo.”
“Solo un ratito, Marisol.” E lei ridacchia del mio spagnolo, perlomeno delle poche parole che ho imparato grazie a lei.
L’aria frizzante e tersa delle prealpi varesine entra come un balsamo nei miei polmoni. Chiudo gli occhi e sento il mio vecchio e malandato corpo che sembra rinascere a nuova vita.
“Ascolta Marisol” le dico “dopo colazione mi copro molto bene e usciamo a fare due passi in mezzo alla neve, ti va?”
Lei annuisce e poco dopo c’incamminiamo sottobraccio nei vialetti del giardino, calpestando la neve ancora immacolata. La vicinanza di questa cara ragazza m’infonde un calore che non mi fa sentire il freddo pungente della mattina. Ciò nonostante, passati i primi momenti di benessere mi sento stranamente un po’ stanco tanto che chiedo a Marisol se possiamo sederci un attimo su una panchina e così facciamo.
Dopo qualche attimo lei rompe il silenzio che si era creato fra noi dicendomi:
“Mi parli un po’ di lei, señor, si le gusta.”.
“Cosa vuoi sapere, mia cara?” le rispondo con dolcezza.
“Non saprei, per esempio, qualcosa del lavoro che faceva, della sua famiglia, qualche ricordo interessante, ma prima una mia curiosità….”
“ E cioè?” dico io incuriosito a mia volta.
“Vede” fa lei “Qui gli ospiti sono in gran parte insofferenti, si lamentano sempre a volte sono anche un po’cattivi anche se noi cerchiamo di farli stare il meglio possibile. E’ chiaro che farebbero a meno di restarci e non sono venuti per loro volontà e d’altronde li capisco Lei invece è sempre tranquillo, non crea problemi di nessun tipo, ci tratta sempre bene. Come mai?”
“Beh innanzitutto non mi trovo male, perché mai dovrei lamentarmi?” quasi mi viene voglia di accarezzarla “E poi ormai questa è la mia casa, la mia famiglia, i pochi parenti rimasti si sono dimenticati di me e forse è meglio così piuttosto che vedere la seccatura dipinta sulla faccia dei familiari degli altri quando vengono a trovarli. Mi danno l’impressione che stanno compiendo un dovere e sembra che non vedano l’ora di andarsene al più presto. Mi sbaglierò, ma almeno nella maggioranza dei casi è così.”.
Lei scuote la testa in segno di disapprovazione non per quello che ho detto ma perché è d’accordo con me.
“Si ha ragione. Pensi che nel mio paese non esistono quasi le case di cura, un po’ perché non ci sono le possibilità economiche ma soprattutto perché noi teniamo in considerazione i nostri anziani. Spesso vivono con noi e se non è così comunque non li abbandoniamo mai, anche se sono malati, non perché siamo obbligati ma perché li amiamo come quando eravamo bambini: fanno parte della nostra vita.”.
“Già” esclamo “Voi sarete anche il “terzo mondo” in senso economico ma noi lo siamo in quello morale.”
Sul suo bel visino olivastro appare un sorriso dolce e la sua mano per un attimo prende la mia in un gesto di tenerezza.
“E del suo lavoro cosa mi racconta? Sappiamo tutti che è stato un giornalista, chissà quante cose avrà visto, me ne racconti qualcuna.”. Fa lei con simpatica insistenza.
Per qualche istante un’ondata di ricordi mi sommerge. Fisso la neve immacolata e la mia mente vaga nel passato e lo farebbe per chissà quanto tempo se la voce di Mariso non mi destasse dal torpore nel quale ero caduto.
“Señor Francesco, todo bien?”
“Si, si certo” rispondo sorridendo con un po’ di fatica. Il senso di spossatezza anziché andarsene sta aumentando e Marisol pare accorgersene.
“Vuole che rientriamo?” mi fa con premura.
“Ma no è una così bella mattina, perché starsene chiusi dentro?” e per non preoccuparla le parlo delle mie esperienze, rispondendo così alle sue domande.
“Se ti dovessi descrivere tutto quello che ho vissuto, non basterebbe una vita intera, ma facciamo così da oggi, giorno per giorno, ti racconterò qualche episodio della mia vita, ti va?”
“Oh, si!” esclama lei con entusiasmo.
“Adesso così su due piedi mi viene in mente un anno, il 1978, nel quale successero tante cose. Mi ricordo che la sera del fine anno precedente una non so come definirla, se “maga” o astrologa durante una trasmissione alla televisione predisse che quello che stava per nascere sarebbe stato un anno terribile a causa del terrorismo. Il nostro paese stava già vivendo un periodo d’estrema tensione per le azioni criminose di gruppi politici armati e sebbene io non abbia mai prestato attenzione a quelle “profezie da salotto” come le definivo io, dovetti ben presto ricredermi. La signora aveva colto nel segno perché effettivamente avvennero veramente tanti omicidi per mano dei terroristi, ma il fatto più eclatante fu il rapimento e l’assassinio del presidente dell’allora maggior partito italiano. Io e un mio collega passammo tutto quel periodo a Roma, in attesa di notizie da riportare negli articoli. Tutto il mondo ne parlò e ne fu sconvolto. Probabilmente quel politico era destinato a diventare Presidente della Repubblica e chi fu eletto in sua vece lo ricordò nel discorso inaugurale, il giorno della sua elezione. Era un ometto minuto, ma dal carattere di ferro che ben presto si guadagnò la simpatia e l’affetto di tutto il popolo italiano. Ancora oggi nessuno è stato tanto popolare quanto lui.”.
Un dubbio mi pervade. Scruto il volto di Marisol e le chiedo.
“Ti sto annoiando?”
“Assolutamente no! La prego continui” E’ la sua pronta risposta “M’interessa molto, io in quel periodo non ero ancora nata.”.
“Lo stesso anno, morì il Papa e io che ero appena tornato a Milano feci di nuove le valigie per la capitale. Anche quello nuovo suscitò immediatamente molti consensi, per la sua aria semplice e dolce. Sembrava più un parroco di campagna che un pontefice, ma la cosa strana, molto strana, che morì da lì a un mese.”.
“Sul serio?” esclamò Marisol”
“Sul serio mia cara. Si disse che il peso delle responsabilità fosse insopportabile per lui, ma di certo la sua morte fu un mistero. Sta di fatto che ne dovettero eleggere un altro e non mi dire che non ne hai mai sentito parlare.”.
“Certo che si! Juan Pablo Segundo, giusto?” sorrise lei “Come potrei altrimenti?”
“Eh già. Il giorno della sua proclamazione ero là in Piazza San Pietro e non appena lo intravidi e ascoltai le sue prime parole mi piacque immediatamente. Sai era la prima volta di un papa straniero e quando disse queste testuali parole. <Quando parlerò nella vostra…nella nostra lingua italiana, se sbaglio mi corrigirete!> ci fu un boato e un uragano d’applausi. Da quel momento entrò nei nostri cuori ma non solo degli italiani ma in quello di miliardi di persone e ci rimase fino alla sua scomparsa, anzi anche dopo, ancora adesso. E’ stato uno dei personaggi più gradi della storia contemporanea. Fu amato da tutti anche da chi non era cristiano.”.
Una lacrima scorre dalle guance di Marisol.
“Nel mio paese era adorato.” Disse asciugandosi il viso. “Certo però che fu un anno loco…pazzesco.”
“Eh già! Si dice che tutti gli anni che finiscono con l’8 portano grandi cambiamenti e quello non fu da meno.”.
Faccio una piccola pausa e Marisol incalza.
“Mi racconti ancora qualcosa, magari dentro, però, rientriamo che la vedo un po’ stanco.”.
“No stiamo qui ancora un pochino poi torniamo. Un'altra cosa che mai dimenticherò avvenne due anni dopo. Nel mio giornale c’era un giovane e brillante collega, veramente bravo e valente e i suoi articoli avevano tanto successo. Io lo conoscevo abbastanza bene, ogni tanto scambiavamo qualche parola ed era sempre affabile. Una volta scrisse un <pezzo> contro i terroristi che continuavamo a imperversare. Disse di loro: <non sono samurai invincibili> e quella frase divenne presto famosa. Purtroppo pagò con la vita il suo coraggio. Fu barbaramente assassinato qualche tempo dopo e seppure non fossimo in rapporti strettissimi per me, come per molti, fu un gran dolore. Ancora oggi ci penso spesso.
Marisol sembra sconvolta da quello che le racconto, eppure da dove viene lei non sono certo rose e fiori e questi problemi li hanno vissuti anche loro ma forse immaginava che qui nel cosiddetto “mondo avanzato” non esistessero.
Avrei ancora tantissime cose da raccontarle, per esempio l’attentato al Papa dell’anno seguente, ma un affaticamento sempre più pressante si sta impossessando di me. Guardo Marisol e la vedo veramente preoccupata, ho quasi l’impressione che mi stia accarezzando i capelli ma la cosa curiosa che mentre capisco che la sua voce sta aumentando di intensità, più grida e meno io la sento.
Adesso la neve mi avvolge come una coperta ma non sento freddo, solo una gran pace e vorrei dire a questa cara ragazza che purtroppo non potrò mantenere la promessa appena fatta di raccontarle ogni giorno qualcosa della mia vita e i suoi dolci occhi rigati di lacrime sono l’ultima cosa che vedo e riesco appena a mormorarle: “Muchas Gracias querida y buena suerte…”


   
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