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Roberto Mahlab
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Inserito - 05/10/2006 :  21:05:30  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
"Vado io!", esclamo allo squillo del telefono dell'ufficio. La mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante è al computer a controllare i cambi del dollaro, con un'altra mano sta fotocopiando dei cataloghi e con un'altra ancora sta inviando un fax.
Alzare la cornetta è il minimo che possa fare per aiutarla, tanto più che mi trovo seduto a pochi centimetri dal telefono, mentre lei è a alcuni metri. Mi guarda storto :"ma và? rispondi tu? davvero? vuoi dire che alzi tu la cornetta a cui sei attaccato e mi risparmi di allungare la mia ennesima mano per rispondere anche al telefono?". Ovviamente all'altro capo del filo la voce di un cliente che dice :"ah, sei tu? senti, passami la tua segretaria per favore che devo parlare di lavoro". Eppure non mi sento incompreso, veramente io tento sempre di dare il meglio di me stesso e di rendermi utile al massimo.

La scorsa settimana per esempio bisognava andare all'ufficio estero della banca per ritirare dei documenti e io mi sono offerto volontario, anche perchè ho comprato un abbonamento annuale valido per i mezzi pubblici e lo sfrutto molto, mi piace andare in giro per la città e scoprire zone e quartieri e isolati e parchi e giardini che non ho mai visto, salgo ad una fermata di un autobus o di un tram e scendo al capolinea e poi torno indietro a piedi. La sezione estera della banca non è molto vicina al mio ufficio, ma ho scoperto che potevo minimizzare il tempo del percorso attraversando i corridoi di collegamento della metropolitana ed evitando alcuni incroci di grandi piazze. Insomma, ogni volta è un'avventura, trovo strade sempre diverse e sempre migliori. Nel grande salone della banca ci sono numerose scrivanie e mi invitano a sedermi di fronte ad una particolarmente carica di carte, mi sento un pò scomodo, l'addetta alle relazioni non pare accorgersene e mi invita ad avere pazienza, mentre sta digitando dei codici alla tastiera del computer per interrogare il cervellone della sede centrale riguardo ai documenti che devo ritirare. Io mi muovo sulla sedia per dare un'occhiata in giro, ci sono dei simpatici quadretti che decorano le pareti, disegni di spartiti musicali e schizzi di panorami. All'improvviso l'impiegata si mette a singhiozzare :"oh no! si è spento tutto, mi dispiace, adesso dovrò riaccendere e ripristinare il sistema, mi rincresce, dovrò farla attendere un pò". Tenta di far ripartire il tutto, ma non accade niente. Intanto anche i suoi colleghi del salone si lamentano della sospensione inattesa del servizio, pure i loro computers sono spenti. Alza la cornetta e chiama la sede, chiedendo se per caso ci sono lavori in corso oppure un guasto, ma la risposta che riceve deve essere evidentemente negativa, perchè l'espressione del suo volto diviene interrogativa. Io continuo a muovermi in modo inquieto sulla sedia, voltandomi verso una bellissima pianta di ficus benjamin in grande risalto vicino ad una finestra, valuto di comprarne una simile per metterla nel mio ufficio, così potrò essere incaricato di annaffiarla di modo da compiere una azione utile per l'umanità. "Oh, scusi!", dico rivolto all'impiegata, "le ho dato un altro calcio".
La donna riflette un secondo e poi avvampa, :"non mi ha dato nessun calcio" e china il capo sotto la scrivania, :"lei ha le scarpe sul server", esclama. "Ah, le tolgo subito, mi pareva di stare troppo comodo, non me ne ero accorto". "E' sicuro di non avere toccato con il piede il pulsante di accensione?". "Oh no, certo che no", rispondo con sicurezza, "ho solo sfiorato l'apparecchiatura". "Guardi che sono macchine sensibili". "Va bene, controllo, ma no, davvero, il pulsante mi pare proprio sull'acceso".
Lei si alza, gira attorno alla scrivania e si abbassa :"no, è sullo spento, lo ha spento con il piede", dice ad alta voce e tutte le persone della sala si voltano verso di me, alcune ticchettano con le dita sulle loro scrivanie, altre alzano lo sguardo esasperato al cielo e c'è chi si tiene la testa tra le mani.
"Adesso rimetto il tasto sull'accensione, lei si sposti di mezzo metro lontano dalla scrivania", mi intima la donna, "ci vorrà un pò di tempo prima che si riavvii il tutto e che possa rientrare nel programma e ritrovare i dati, almeno una decina di minuti, aspetta o torna un'altra volta?", mi chiede con quello che intravedo essere un filo di rimprovero. "Aspetto, certamente, me lo merito, così imparo, pensi che non me ne ero accorto e poi", aggiungo con il desiderio di incoraggiarla, "sa che ne combino spesso tanti di guai tanto che a volte nel mio ufficio mi danno incarichi non impegnativi e...", "ma ti mandano in giro da solo?", esclama lei all'improvviso, poi arrossisce imbarazzata, "era solo una battuta", "oh no, la capisco benissimo" e mi metto a raccontarle episodi che a me paiono piuttosto comici di guai combinati in giro per il mondo. Vedo la preoccupazione intrufolarsi sul suo bel volto, dopo un pò mi mette nelle mani i documenti e mi saluta per congedarmi. Io mi alzo e mi rivolgo a tutti :"bene, grazie e scusate e ci vedremo la prossima volta che arrivano delle informazioni per me, verrò volentieri". Mi parve di poter tagliare con il coltello il silenzio che invase la sala, tutti gli impiegati e i funzionari levarono nello stesso istante gli occhi dagli schermi dei computer e mi lanciarono sguardi di fuoco, mi parve di comprendere che nessuno, in quella banca di rilevanza nazionale, poteva permettersi di perdere decine di minuti preziosi a causa di un cliente che spegneva l'intero complesso sistema con un piede.

... "Chi si è appoggiato al pulsante con l'indicazione 'Armageddon'?", urlò in un evidente stato di panico il colonello Forrester rivolto ai tecnici della sala di controllo dei missili atomici del Norad, in Nebraska.
Osservai, con la freddezza abituale di un esperto programmatore di codici di lancio, che era stato il mio piede, a causa di un movimento provocato da una puntura di zanzara al ginocchio. Alzai la mano, ma la mia risposta fu assolutamente ovvia e non irrazionale come la domanda del colonnello :"sono stato io signore, mi dispiace, solo non capisco perchè lei si perda nel dettaglio di scoprire chi è stato a premere quel pulsante mentre il globo terrestre esploderà tra cinque secondi in una palla di fuoco".
Io credo davvero che occorra sempre rimanere razionali e non cadere preda di esagerati stati emotivi, altrimenti si perdono di vista le questioni importanti rispetto a quelle ininfluenti. Insomma, era per me motivo di orgoglio uscire comunque bene dalla faccenda e poi, per fortuna, non ci sarebbe stato un indomani per una lavata di capo...

Tornato in ufficio, raccontai la vicenda alla mia segretaria, divertito, anche se con il giusto rimorso e subito dopo le chiesi che cosa potevo fare d'altro per rendermi utile. Mi lanciò una sola occhiata e compresi e mi misi a sedere in assoluto silenzio e senza un solo movimento e lontano da qualsiasi oggetto esistente.

Il giorno successivo avevo appuntamento con una cliente per mostrarle il campionario dei nostri nuovi prodotti della collezione della prossima primavera, mi feci spiegare esattamente dove si trovava il suo ufficio e con quale mezzo ci si arrivava, segnai il luogo sulla mappa della città che presi con me, era davvero facile, quattro fermate della metropolitana ed ero arrivato :"non puoi sbagliare, scendi e ci sei...", "nessun problema, ho con me la cartina, alle dieci precise sono da lei". E in effetti alle dieci meno cinque scesi alla fermata della metropolitana, gettai uno sguardo sul vicino grande vialone e mi parve di riconoscere sulla destra il fabbricato in cui avevo l'appuntamento, ci ero venuto l'anno passato in macchina. Ma fu una sensazione fugace, perchè la mappa mi dichiarava che sbagliavo e che l'indirizzo cercato era verso sinistra. Mi incamminai, una strada senza vie trasversali, lunghissima, venti minuti fino ad un grande parco, attraversai un centro sportivo, angosciandomi sempre di più, non ero uso ad arrivare in ritardo agli appuntamenti e mi pareva strano continuare a camminare senza che la meta si palesasse. Così decisi di tornare indietro alla fermata della metropolitana e di ricominciare da capo, ripresi in mano la mappa e mi riavviai, sempre nella direzione che ritenevo corretta e mi ritrovai di nuovo nella via dall'altra parte della città, dieci minuti dopo.

... comunque quegli edifici di nuova concezione architettonica ai lati del viale erano un balsamo per gli occhi, il colore dei mattoncini marrone levigato, le ampie vetrate e le distanze tra le case così da permettere agli inquilini una vista a grandangolo senza interruzioni, i cancelli d'ingresso ricolmi di piante di gelsomini e rose, i prati dall'erba di un verde luminoso e gli alberi di ibisco. Proseguii incantato, mi avvicinavo alle montagne, la prima neve le ricopriva e le foreste di pini rilucevano ai raggi del sole del mattino, andai ancora avanti e superai i contorni di un grande lago, i piroscafi colmi di passeggeri, i cigni nutriti con croste di pane gettate dalle mani dei bambini dal moletto, attraversai pianure e paesi, i volti delle persone che incontravo mutavano, le lingue si alternavano, sbarre confinarie si levarono e mi vennero richiesti i documenti da doganieri, faceva sempre più freddo man mano che procedevo verso il nord, poi diedi un'occhiata alla mappa e mi convinsi a girare verso destra, mutazioni climatiche, tormente e cicloni, guglie di costruzioni in stile gotico, borghi che parevano sbucare da sceneggiature del secolo passato, acciottolati percorsi un tempo da carrozze trainate da cavalli e ora ricchi di ritrovi e locali con tavolini affollati di giovani, rincorsi una lunghissima strada ferrata, la steppa infinita, poi mi mancò il fiato all'aria rarefatta di vette di altezza celeste, scesi dalla parte opposta in un deserto e dovetti coprirmi il capo con la ventiquattrore per non rimanere bruciato, mi slacciai il colletto della camicia per non finire arrostito dalla temperatura, infine arrivò la notte ed ebbi freddo, ed ecco un villaggio di pescatori su una distesa d'acqua agitata che non poteva essere altro che un oceano, una famigliola dalla pelle gialla e dagli abiti orientali accendeva una candela alle porte di un monastero buddista...

Fu allora che cominciai ad avere i primi sospetti, avevo certo superato l'indirizzo del mio appuntamento di lavoro, dovevo prendere la classica decisione se continuare in quella direzione confidando nella rotondità del pianeta oppure tornare indietro, ma comunque era evidente che ero vittima dello scherzo di un essere interplanetario che spostava le strade e le rimescolava. Scartai una improbabile seconda possibilità, che cioè tenessi la mappa al contrario anche se decisi, seppur con sufficienza, di verificare. Per uno strano caso dell'imperscrutabile destino, girai la cartina dalla parte opposta e mi apparve il miracolo delle vie che si riallineavano. Di fronte all'evidenza, non potei fare altro che chiamare al cellulare la mia segretaria e pregarla di informare la mia cliente che ero sì sceso alla fermata che mi aveva indicato, ma per colpa della mappa stampata al contrario, ero finito dalla parte sbagliata e sarei arrivato con un pò di ritardo. "La mappa stampata al contrario o sei tu che l'hai tenuta al contrario? ma chi è che ti manda in giro da solo?", disse la mia segretaria e poi tacque per un attimo, evidentemente si era risposta da sola, era lei la responsabile, lei mi aveva mandato dalla cliente pensando che non avrei potuto sbagliare, non con quelle indicazioni, non un compito così semplice, non quella volta, non di nuovo. E mi rimisi in cammino dalla parte opposta, ripassai di fronte alla fermata della metropolitana e, a soli dieci metri da essa, si trovava il fabbricato che cercavo, l'impressione che avevo avuto scendendo dal mezzo pubblico e che non avevo voluto seguire, era quella giusta, avevo camminato per chilometri per allontanarmi dal luogo predestinato.

La mia cliente, su suggerimento della mia segretaria, non infierì e non mi chiese anche lei :"ma ti mandano in giro da solo?", però mi parve che lo pensasse, perchè appena le mostrai la mappa alla rovescia, me la tolse dalle mani e me la rimise diritta davanti agli occhi. Rimasi ammirato da come era riuscita a rimediare in un solo istante ad un errore di stampa così marchiano da parte della tipografia.
Quando fu il momento di accomiatarmi, la rassicurai che non avrei commesso errori nel ritorno, avevo capito che dovevo prendere la stessa linea della metropolitana nell'altro senso e sempre alla stessa stazione che si trovava pochi metri a sinistra rispetto al suo ufficio. Non mi rispose, si mise una giacchetta, raccolse le chiavi della sua auto e mi informò :"ti riporto io in macchina, altrimenti finisci chissà dove, non voglio avere responsabilità, lasciarti andare in giro da sol...", si morse la lingua e non capii che cosa volesse dire esattamente. Comunque mi accompagnò fino a sotto il portone del mio ufficio e io le fui molto grato, rimasi sorpreso per il fatto che rimase parcheggiata fino a che non mi vide entrare nell'edificio, :"strano", riflettei, "forse crede che non sia in grado da solo di tornare alla base di partenza", ma poi mi misi a ridere e scacciai l'aria con un gesto della mano, convinto dell'assurdità di un tale pensiero. Certo che non ricordavo che ci fosse una porta di garage davanti al mio ufficio, ma forse dovevo salire la rampa di scale, anzichè scendere nel sottoscala.

"Vado io!", ormai non sorprendevo più nè la mia segretaria nè i miei soci, il mio animo si beava sempre più di poter essere utile e nuovamente mi precipitai fuori, mentre mi mormoravano dietro :"ma... è lontano... e non hai preso neppure l'indirizzo...", ma ero già in strada. Camminai e camminai, attraversai ancora pianure e deserti, foreste e metropoli, popoli e tradizioni, avevano ragione, era lontano e non sapevo neppure l'indirizzo, un lungo percorso, la lunga strada verso dove, non lo sapevo.

Intanto stava tuonando e il cielo e la temperatura apparivano come durante un temporale estivo, un luminosissimo spicchio di luna faceva capolino da dietro delle bianchissime nuvole cotonate che contrastavano con il buio della notte ottobrina, il profumo della pioggia in arrivo si mescolava con quello delle foglie sugli alberi, era proprio un tempo da lupi, l'ideale per scrivere un racconto con una trama del mistero, tra realtà e fantasia.

Roberto Mahlab
I racconti dell'ufficio

   
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