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 L'uomo senza valigia
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Roberto Mahlab
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Inserito - 05/09/2006 :  17:26:58  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

O ero troppo stanco per prendermela, oppure fatalisticamente non ero stupito del realizzarsi del presentimento. Sapevo che non sarebbe arrivata a Pechino con me, gli altri passeggeri del volo proveniente da Singapore raccoglievano i loro bagagli uno alla volta dal lungo nastro trasportatore nero che si srotolava lentamente per una ventina di metri, io ero rimasto solo con la borsa da viaggio, con il minimo indispensabile, portata come bagaglio a mano. Mi rivolsi ad un addetto che con grande gentilezza si assicurava che tutto andasse per il meglio e gli riferii che la mia valigia, imbarcata all'aereoporto di Milano, con scali a Zurigo e Singapore, ventitre ore di voli diversi consecutivi, non si era presentata allo sbarco all'aereoporto della capitale della Cina.

Ma lo strano era che neppure all'ufficio bagagli smarriti erano meravigliati, il funzionario mi chiese semplicemente il tagliando di ricevuta della consegna all'origine e mi riferì che era arrivata una mail dall'Italia che informava che la mia valigia non era mai partita, per ragioni misteriose sarebbe stata caricata sul volo dell'indomani e sarebbe giunta a Pechino in tarda mattinata. Feci presente che non mi fermavo a Pechino e che all'uscita dell'aereostazione c'erano i miei fornitori ed amici che mi avvrebbero condotto in auto a Tianjin, cento chilometri a sud est. Mi assicurarono che era cura del servizio aereoportuale consegnarmela dovunque mi fossi trovato, me l'avrebbero portata in albergo appena possibile.

Non sapevo che l'avrei rivista solamente settantadue ore dopo, la sera della vigilia della partenza dalla Cina alla volta della Malesia.

Non mi persi d'animo, avevo trattative d'affari importanti e cene di lavoro, prima di dormire lavavo tutto quanto con acqua e sapone e asciugavo con pazienza con l'asciugacapelli nella stanza dell'albergo. Le telefonate all'aereoporto parevano rimbalzare contro un muro di gomma, il giorno dopo la valigia era effettivamente arrivata a Pechino, ma si doveva attendere che un funzionario si incaricasse di cercare un taxi speciale per portarmela a Tianjin, e così passò una seconda giornata e così l'acqua, il sapone e l'asciugacapelli lavorarono anche quella seconda notte.

La metropoli di Tianjin sorge vicina al golfo di Boahi, rientranza dell'oceano Pacifico, è una delle quattro più popolose città della Cina, in pochi anni, come conseguenza della liberalizzazione operarata dal regime relativamente a industria e commercio che ha condotto il paese a divenire membro dell'organizzazione mondiale del commercio con il tasso di crescita più elevato del pianeta, Tianjin ha trasformato le sue industrie, da pesanti conglomerati nelle mani dei gerarchi del governo comunista, a presenza di qualità di innumerevoli prodotti sui mercati internazionali. La città stessa appare irriconoscibile di anno in anno, da vie desolate e quasi sterrate sulle quali si affacciavano fatiscenti edifici senza servizi essenziali, con migliaia e migliaia di biclette come unici mezzi circolanti e utilizzate da milioni di persone spaventate e vestite con abiti grigi, a giganteschi snodi a quattro corsie, ponti, giardini e parchi, grattacieli, palazzi modernissimi, centro chiuso al traffico e saettante di insegne al neon, grandi magazzini ricchi di ogni mercanzia, le biciclette ormai appena sopportate da un traffico automobilistico superiore alle città europee, vetture ultimo modello guidate da rampanti uomini e donne d'affari vestiti elegantemente che nella pausa pranzo affollano i locali di catene di rinomanza mondiale comparse in ogni piazza, un grande numero di attività private e non più possedute dallo stato hanno fatto circolare il denaro, centuplicato gli investimenti, l'espansione parallela di tutto il paese ha addirittura obbligato la banca centrale a intraprendere mosse per la rivalutazione della moneta nazionale, una valuta che solo pochi anni orsono non valeva neppure la carta su cui era stampata.
Nello stesso tempo, come in tutte le crescite tumultuose, una fetta del paese è rimasta indietro, la ricchezza delle città e la povertà delle campagne hanno creato una corsa verso le metropoli degli strati bisognosi della società, non si contano i disordini scoppiati in tutta la Cina e la conseguente repressione degli scioperi in un paese che ha un governo assolutista che, senza la minima ironia, si dichiara comunista, eppure è agli ultimi posti del mondo per la presenza di sindacati rappresentativi. Un paese in mezzo al guado che ha percorso in pochi anni il cammino che altre nazioni e altri popoli hanno imboccato da decine di anni fino a giungere alla stabilità e al benessere diffuso. La crescita della Cina risente degli anni perduti, è come un grattacielo sorto senza profonde fondamenta, si riconosce che dietro allo splendore delle fantascientifiche costruzioni che svettano nel cielo, esistono dei fossati non riempiti.
Le prime crepe ad un sistema politico che rischia di diventare solamente un peso inutile ad un sistema economico che ha imboccato la strada della prosperità, sono state riconosciute anche dalla attuale nomenclatura del partito unico, nel mese di agosto il partito ha adottato una serie di regole che dovrebbero condurre alla creazione di un dibattito interno, fatto senza precedenti nell'imbalsamata oligarchia che teme, a ragione, di essere spazzata via dallo sviluppo, se non finge almeno una apertura politica.
Poco a poco, ma velocemente, la Cina sta riscoprendo gli antichi fasti dell'impero mandarino, libertà di commercio e governo centralizzato.


E fu proprio a riscoprire le vestigia dell'impero che i miei amici mi condussero l'ultimo giorno di permanenza : "la città proibita", la vasta residenza dei sovrani che governarono la Cina fino agli inizi del novecento, il palazzo imeriale da cui le dinastie Ming, dal 1368 al 1644, e Qing fino al 1911, accentrarono il potere sul gigantesco paese.

Una vera e propria tempesta di pioggia, vento e fulmini ci inseguì sull'autostrada da Tianjin a Pechino, Wang mi raccontava delle fabbriche i cui proprietari rifiutavano di assogettarsi ancora alle pretese delle corrotte compagnie di stato che facevano il bello e il cattivo tempo nei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti e assumevano gli ex impiegati di tali compagnie come addetti al marketing per l'esportazione, le famiglie proprietarie delle industrie erano originarie della Cina profonda e non conoscevano le lingue per poter trattare direttamente con il resto del mondo. Mi narrò come alcuni anni orsono aveva accompagnato un rabbino ad una fabbrica di inscatolamento di alimenti vegetali, l'uomo pio mangiava solamente alcune banane che aveva portato con sè, per non ledere il precetto sulla preparazione rituale del cibo, aveva mangiato solo banane per tutta la permanenza, fino al giorno del ritorno negli Stati Uniti. Il mio amico Wang era sempre stato incuriosito dalle varie tradizioni religiose, il comunismo non è riuscito ad estirpare completamente il credo religioso nel paese che ha resistito nell'animo di molti cinesi ed è riemerso dopo la fine delle persecuzioni, oggi i templi buddisti si spargono a macchia d'olio. Fu questa profondità che ci fece incontrare, Wang aveva un concorrente che cercava di portarmi via da lui come cliente, avvenne che Jing, questo il nome dell'altro uomo d'affari, volle visitare il Duomo di Milano nel corso del suo viaggio in Italia, ma notai che non gli interessava, che sbuffava all'interno e di fronte alle vetrate, gli chiesi il perchè e mi rispose che l'unica divinità in cui credeva era il denaro. L'anno dopo accompagnai Wang all'interno del Duomo, la sua curiosità fu insaziabile, volle che gli parlassi per ore delle fedi dei cristiani e degli ebrei, mi disse che cercava il cammino di una fede in cui riconoscere i suoi ideali di onestà e lealtà. Furono parole differenti pronunciate nello stesso luogo che mi fecero scegliere il mio corrispondente d'affari in Cina e Wang e io divenimmo in breve anche amici fraterni.

Se fino ad un paio di anni fa parcheggiare a Pechino era una ovvietà, oggi è una impresa solo un poco più improbabile di vincere alla lotteria. Girammo decine di volte attorno alla enorme piazza Tienammen, su cui il palazzo si affacciava, ma automobili di tutte le marche più prestigiose occupavano già ogni metro libero, centinaia di migliaia di biciclette si sono trasformate in altrettanti veicoli a motore.
Dopo innumerevoli giri, troviamo un piccolo spazio in un parcheggio a pagamento, tra Audi e Mercedes ultimo modello.
La coda alla cassa per l’ingresso nella città proibita è lunghissima e, insieme ai biglietti, ad ogni visitatore viene consegnato un apparecchio audio con una cassetta, nella lingua del turista, che lo accompagnerà per l’intera visita.
Il palazzo è circondato da un fossato colmo d’acqua, che nei tempi passati serviva a tenere lontani gli invasori, oggi è attorniato da alberi e panchine e anche qui la Cina si è adeguata al resto del pianeta, i turisti vengono infatti avvicinati da venditori di Rolex patacca e di cataloghi illustrati.
Due Suv neri si fanno strada a suon di clackson tra la folla dei visitatori, pochi paiono dare attenzione e alcuni addirittura sorridono ironicamente, si tratta di auto di funzionari del regime, tenacemente attaccati ai loro privilegi rispetto al popolo, convinti che davvero sia sufficiente organizzare la censura su un mezzo come internet per poter arrestare la valanga di informazioni che, dopo avere abbattuto il muro di Berlino, hanno iniziato a fare breccia anche attraverso la cortina di bambù dell’antico Celeste Impero. Certo è vietato avere antenne paraboliche per vedere la Cnn, ma i cinesi ormai viaggiano in tutto il mondo e conoscono benissimo i dettagli di ciò che accade.


Il palazzo imperiale è di forma rettangolare, su ogni lato delle alte mura perimetrali si apre una porta, sui quattro angoli sorgono le torri, l’interno è diviso in due sezioni, quella a sud era il luogo da cui l’imperatore esercitava il suo potere, quella a nord era dove viveva insieme alla famiglia reale. La costruzione dell’opera iniziò nel 1407, il quinto anno di regno del terzo imperatore della dinastia Ming e fu completata nel 1420, si narra che un milione di operai e centomila artigiani fossero stati necessari per erigerla con pietra e legname e la resistenza dei mattoni del muro esterno fu rafforzata con estratti di riso, il giallo è il colore predominante. Novemilanovecentonovantanove stanze compongono il palazzo, vasti cortili interni e giardini, statue di animali, vasi giganteschi, sale del trono, sontuosi arazzi testimoniamo di innumerevoli cerimonie che ebbero luogo in cinque secoli, gli editti imperiali, le decisioni sull’inizio di campagne militari. Oggi la città proibita è uno dei più vasti musei di Storia e di arte del mondo.

Gli imperatori cinesi erano considerati autorità indiscutibili, il loro ruolo era di giudici e comandanti militari, studiosi e patriarchi del popolo, mediatori tra il mondo terreno e il mondo dei cieli, secondo la tradizione di Confucio le azioni della natura e degli esseri umani si condizionano a vicenda e dunque è necessario un reggente virtuoso che possa mediare, portando pace e serenità alla nazione.
La cassetta registrata ci guidava lungo la Sala della Suprema Armonia, in cui erano celebrate le ricorrenze del Nuvo Anno Lunare e il Solstizio d’Inverno e attraverso la Sala della Cultura della Mente, in cui venivano sbrigati gli affari di ogni giorno.
Il problema fu che Wang e io eravamo spossati, perché si cammina per chilometri, e ci fermammo, mentre la cassetta andava avanti e la nostra guida virtuale arrivò alla fine del nastro mentre noi eravamo ancora all’inizio della visita.

Abbandonata ogni fretta, ci tuffammo nelle ricostruzioni delle cene imperiali, il sovrano mangiava da solo i tre pasti, all’alba, a metà giornata e al tramonto, otto piatti principali, quattro contorni, tre zuppe, riso e dolci, valore nutritivo, colore e gusto sagacemente mescolati e equilibrati. Ovviamente non erano tutte rose e fiori, il cibo dell’imperatore veniva assaggiato da un eunuco per assicurarsi che non fosse velenoso. Le enormi stanze con lenzuola di seta dove il sovrano si ritirava con la concubina di turno, le vesti damascate dai colori e tagli che avevano lo scopo di sottolineare l’affermazione del potere, le pratiche religiose che accoglievano i riti del Taoismo, del Confucianesimo e del Buddismo. Le sfilate di divisioni di soldati, le spedizioni di caccia, le lezioni di pittura, calligrafia e musica, i fuochi artificiali, la poesia, furono i passatempi di cinque secoli di imperatori Ming e Qing, cinque secoli in cui furono ammassati tesori immensi, spesso preda di sottrazioni ad opera degli invasori.

Una figura storicamente importante fu l’imperatrice Tzu Hsi, spietata nella repressione delle ribellioni dei signori della guerra e che si vantava di dominare su quattrocento milioni di sudditi, utilizzava i servigi della potente casta degli eunuchi per eliminare i suoi avversari.
Nel 1898 appoggiò la nascita del movimento dei Boxer, un gruppo di praticanti di arti marziali e accesi nazionalisti che consideravano nemici invasori sia gli occidentali che i cristiani, le loro violenze provocarono la reazione delle potenze europee che nel 1900 organizzarono diversi corpi di spedizione che conquistarono Pechino e depredarono i tesori del palazzo imperiale. Per lunghi anni le potenze occidentali occuparono le maggiori città cinesi e ancora oggi in diverse città, tra le quali Tianjin e Shanghai, ci sono strade su cui sorgono edifici concepiti nei diversi stili dagli architetti delle differenti nazioni europee.


La dinastia Ming fu sostituita al potere nel 1644 dalla dinastia Qing, le cui truppe scalarono agevolmente la Grande Muraglia che avrebbe dovuto invece tenerle lontane, originariamente era una tribù di nomadi provenienti dalla Manciuria e proprio da questa casata provenne l’ultimo imperatore, si chiamava Pu Yi e la sua vicenda fu immortalata nel famoso film di Bernardo Bertolucci. Sul letto di morte l’imperatrice Tsu Hsi, dopo aver avvelenato gli altri pretendenti al trono, lo impose al comando e Pu Yi si ritrovò a regnare già alla bella età di tre anni, ovviamente sostituito da reggenti non molto capaci, tanto che nel 1912 a cinque anni compiuti il piccolo sovrano dovette rinunciare al trono, anche se continuò a vivere nel palazzo della città proibita, soggetto alle attenzioni degli eunuchi che gli consentirono di incontrare altri due bambini, un fratello e una sorella, all’età di sette anni e finì in un litigio, come da adulto litigò addirittura con il suo paese natale, tradendolo e alleandosi con gli invasori giapponesi che lo ricompensarono nominandolo nel 1934 imperatore della Manciuria, invasa e occupata nel 1931. La resa del Giappone nel 1945 causò la sua abdicazione definitiva e una dorata prigionia in Unione Sovietica e anche i russi lo usarono fino a che lo rispedirono in Cina, dove fu imprigionato fino a che accettò di divenire collaborazionista del regime comunista e infine piombare nell’oblio.


Avvinti dalla Storia che ci circondava, Wang e io non ci accorgemmo che si era fatto tardo pomeriggio, alle sei le porte della città proibita venivano chiuse e i visitatori fatti uscire, correvamo verso la porta più vicina ma la raggiungemmo un istante dopo la sua chiusura e così fummo dirottati verso una uscita secondaria assai lontana da dove era parcheggiata la nostra auto e nel frattempo si scatenò il più furioso temporale della stagione. Ci incamminammo sul sentiero asfaltato tra le mura e il fossato, annaffiati dal passaggio delle Suv nere che trasportavano le autorità. E poi da quelle degli altri visitatori.

Al ritorno all’albergo di Tianjin una sorpresa, la mia valigia era arrivata, non serviva ormai più neppure aprirla, infatti poche ore dopo, all’alba del giorno successivo, saremmo partiti dalla Cina, diretti alle spiagge e le giungle della Malesia, da visitare nelle pause dal lavoro, naturalmente.

E io non ero più un uomo senza valigia. Anche se a ben riflettere da Milano a Zurigo a Singapore a Pechino in poco più di un giorno, nessun bagaglio avrebbe mai potuto starmi dietro.

Roberto Mahlab - A view from Asia - Concerto News System @2006


   
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