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 La stracittadina
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Renato Attolini
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Inserito - 09/12/2005 :  22:03:48  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
Domenica si gioca la “stracittadina” Milan-Inter, ma non voglio parlare di chi sarà il vincitore o di chi saranno i protagonisti e non sono spinto dalla passione e dal tifo (rossonero n.d.a.) quanto da una sorta d’amarcord che mi proietta lontano ai tempi della mia adolescenza quando a Milano il “derby” lo sentivi nell’aria, ne palpavi la consistenza quasi toccandola con mano. Erano i favolosi anni “sessanta”, quelli di Gianni Rivera e Sandro Mazzola che seguivano quelli quasi pionieristici quando nelle formazioni milanesi l’oriundo era considerato chi proveniva al di fuori dei confini lombardi. I tempi di Giuseppe Meazza al quale è intitolato l’attuale stadio di San Siro, che una volta fece disperare i suoi compagni di squadra perché alla vigilia di una “stracittadina” arrivò in ritardo ancora con i postumi di una notte brava, ma si fece perdonare segnando due goal. Ritornando a “quei sessanta o giù di lì” come cantavano i “Nomadi” erano i tempi in cui a Milano si parteggiava per i panettoni della “Motta” piuttosto che per quelli dell’ “Alemagna” o per le mitiche “scarpette rosse” della “Simmenthal” che disputava i derbies di basket con “All’Onestà e i tifosi del Milan e dell’Inter erano mescolati sugli spalti e non divisi in “Curva Sud” o “Curva Nord”. In quegli anni probabilmente poliziotti e carabinieri facevano a gara per essere di servizio allo stadio perché potevano vedere la partita senza pagare e nella peggiore delle ipotesi dovevano intervenire per sedare qualche scazzottata che faceva più folclore che paura. Ben diversa la situazione da oggi…
Il derby durava due settimane, la prima precedente la partita e la seconda successiva e i tifosi dopo essersi insultati in tutti i modi possibili finivano le litigate in allegria, proponendo scommesse dove i perdenti dovevano essere costretti a fare le cose più disparate. Il lunedì successivo le fabbriche e gli uffici rimbombano di discussioni animate ma anche divertenti. Erano i tempi i cui i tifosi del Milan venivano chiamati “casciavit” per la loro estrazione proletaria (i quartieri del “Giambellino” e “Lorenteggio” erano feudi rossoneri) e quelli dell’Inter “bauscia” per la loro vanteria e superbia. Differenziazioni che oggi fanno sorridere. Erano gli anni della televisione in bianco e nero e la palla quando era calciata, in video lasciava dietro di sé una scia come se fosse una cometa e quando gonfiava la rete l’emozione era ancora più grande. Telecronista allora era un certo Niccolò Carosio, che non faceva quasi nulla per nascondere la sua fede nerazzurra, ma quando giocava una squadra italiana contro una straniera si trasformava nel suo tifoso più sfegatato. Altri tempi, quelli, quando il calcio era considerato solo un gioco e non un “business” ed era vissuto con uno spirito goliardico. Purtroppo arrivarono periodi bui in cui il rosso e nero non erano uniti in una maglia di una squadra di calcio, ma divisi nelle piazze, nelle scuole e nelle fabbriche. Arrivarono tempi ancora peggiori e anche il calcio smise di essere un gioco. Adesso quando vedo in TV i volti paonazzi degli addetti ai lavori che si scambiano insulti acidi e velenosi, quando sento i resoconti alla domenica sera non di partite di calcio ma di bollettini di guerra, vorrei per un attimo chiudere gli occhi e tornare indietro nel tempo e sentire la voce di Niccolò Carosio che fremente urlava nel microfono: “E’ Rivera che imposta l’azione, passa a José Altafini, tiro…GOOL, anzi no, quasi GOL!”


   
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