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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Il principe e il califfo
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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:38:33  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
I

Il battello scivolava tra le onde nel mare Adriatico, la tempesta faceva rollare lo scafo della "Selene" fino a squassarlo, la rotta fissa verso la penisola italiana, fino a quel momento erano stati fortunati, nessuna intercettazione da parte delle navi militari, con quel tempo era logico che anche gli italiani non credessero possibile la traversata, il comandante Rispov sudava freddo mantenendo fermo il timone, aveva accettato l'incarico solo perché in nessun altro caso avrebbe potuto mettere in tasca la somma che gli avevano offerto.
Dalla stiva le urla di terrore dei clandestini superavano anche il fragore della burrasca, ma per Rispov erano solo merce pagante, aveva smesso di occuparsi del benessere del suo prossimo da quel giorno da cecchino a Serbrenica, poi il cambio di identità e la discesa nella clandestinità del crimine organizzato. Nonostante avesse visto e compiuto le peggiori efferatezze, ugualmente quei due uomini in mimetica nera aggrappati a prua gli facevano gelare il sangue, il volto spietato, inumano, le due casse che circondavano con il loro corpo, quasi fossero bambini da accudire, certo curate ben più dei bambini africani che l'imbarcazione trasportava, inutile il tentativo delle madri di farli smettere di piangere.
Un lampo di temporale illuminò la riva e poco dopo la "Selene" schizzò sull'arenile, il contraccolpo spalancò la stiva e una trentina di uomini, donne e bambini si precipitò sul ponte, un anziano inciampò in una delle casse che si scheggiò sbattendo contro il corrimano, lasciando filtrare un grumo di polvere bianca, uno dei due uomini con la mimetica bloccò il profugo sotto di sé e attese che gli altri fossero scesi a terra, poi estrasse una corda e la avvolse attorno al collo della vittima, un rantolo e poi un suono sordo di tuffo in mare dalla parte opposta dello scafo, la corrente avrebbe portato lontano il corpo e dopo qualche giorno il suo ritrovamento sarebbe stato catalogato come una delle tante tragedie dell'immigrazione clandestina.
Un minivan attendeva i due uomini con le casse, la pioggia era battente e l'oscurità era interrotta solo da torce di segnalazione.
L'autista dell'automezzo e i due inquietanti fattorini non scambiarono una sola parola, era solo la prima tappa del percorso italiano del terribile esplosivo trafugato dai campi di battaglia della Bosnia.

Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:40:19  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
II

Italia

"Sei un bravo ragazzo Amir", la debole voce dell'anziana signora si rivolse con tono stanco ma grato al giovane di corporatura magra e di media altezza, dagli ambrati lineamenti tipicamente arabo mediterranei, che la stava aiutando a caricare sull'utilitaria i pacchi degli acquisti appena compiuti al supermercato locale.
"E' un piacere cara signora Danielli, ecco, mi dia il bastone, glielo tengo mentre sale in macchina e mi raccomando, niente sgommate ai semafori!". La signora arrossì e il suo viso affaticato si aprì in una risata :"ah birichino, chissà come ti fanno la corte le belle ragazze del paese!".

Amir la salutò con un gesto della mano e rientrò nel supermercato, da una settimana aveva ottenuto l'incarico di coordinatore delle merci in ingresso e un aumento di stipendio che gli aveva permesso di finire di pagare i libri per l'università. La sua figura allegra e i suoi sempre ben stirati pantaloni neri e le larghe camicie bianche erano divenute un segno distintivo dell'eccellenza con cui l'esercizio commerciale trattava i clienti.

Nella cabina di vetro posta nel parcheggio un uomo corpulento vestito con l'uniforme della vigilanza privata lo osservava scuotendo la testa, alla radio un annunciatore stava descrivendo nuovi atti di terrorismo avvenuti in medio oriente e parlava di legislazioni di emergenza allo studio in Europa, "non mi piacciono quelli, non mi piacciono proprio", borbottava la guardia mentre il grasso della carne nel panino che stava masticando gli colava sul mento.

Maria lo osservò invece con altri occhi che mostravano il suo cuore, da giorni usciva di casa ancor più presto del necessario per poter arrivare al suo lavoro nel chiosco di fiori dall'altro lato della via, da quando i loro sguardi si erano incrociati lei non riusciva più ad impedirsi di osservarne le delicate forme del viso e i dolci gesti di Amir le avevano riempito, poco a poco, i pensieri.
"Un fiore Maria? Oggi direi che e' giornata di rose!", la ragazza non si era accorta che il giovane arabo le era sbucato vicino e si portò la mano al petto a simulare un divertito spavento, "Amir, devi avere ormai una serra in camera tua!". "Sai Maria, mio padre aveva un giardino al mio paese e fin da piccolo mi insegnava i nomi dei fiori e come accudirli, un giorno mi nominò responsabile unico di un intero angolo, dovevi vedere come era gelosa la mia sorellina" e con un gesto deciso colse una rosa rossa da un vaso e con l'altra mano mise una moneta nella cassa. Lei si tolse i guanti da giardinaggio e appoggiò sul bancone le grosse forbici con cui aveva tagliato alcuni lunghi rametti di calicanto e sospirò, :"Questa non me l'avevi ancora raccontata, che ne dici della solita bibita di fine pomeriggio, così mi racconti dei progressi dei tuoi studi e poi tutto quello che vuoi, sai che mi fa molto piacere", "ma certo Maria, devo a te se non ho avuto difficoltà a stabilirmi in questo delizioso borgo, a trovare lavoro, siete un popolo accogliente e generoso e tu... sei radiosa oggi", aggiunse con convinzione.
E Maria lo era davvero, raramente chiunque passasse davanti al suo chiosco o la incontrasse per le vie non la guardava ammirato, era alta e fine, i lunghi capelli ramati e gli occhi azzurri come il mare, in paese molti discorsi volavano sul fatto che lei fosse sola, la ragazza non ci faceva caso, lei aveva promesso alla madre che si sarebbe sposata solo con un uomo speciale e per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad esaudire il suo sogno di felicità.

Il piccolo locale dove si recavano di solito era un ambiente caldo, ben frequentato e tranquillo, era noto per una lista di bevande molto particolare, decine di té e infusi di ogni frutto o fiore conosciuti, gli studenti dell'università della vicina città vi passavano il tempo a ripassare e talvolta coppie di fidanzati si tenevano lungamente per mano ai tavolini annusando aromi di gelsomino o di fiori d'arancio.
E lì Amir e Maria trascorrevano lunghe serate a narrarsi le rispettive vite, il giovane era dimagrito nell'ultima settimana e si fregava sovente gli occhi, :"e' incredibile quanti nomi devo imparare a memoria per il prossimo esame, ieri sono rimasto sui libri fino all'alba, sai per me e' complicato a volte pronunciare nella vostra lingua quanto conoscevo bene nella mia" e la fece ridere, come spesso lui sapeva volentieri fare, descrivendo un concetto in arabo e poi contorcendosi facendo finta di compiere uno sforzo sovraumano per pronunciare gli stessi termini in italiano.
"E dopo la laurea, tornerai al tuo paese o aprirai uno studio qui?", Maria glielo aveva già chiesto più volte con curiosità e ogni volta il suo cuore saltava un battito in attesa della risposta, "oh, c'e' ancora tempo per decidere, mi mancano un bel po' di esami e poi la pratica e...", ma Amir conosceva nel profondo dell'animo la ragione della domanda e si rendeva conto della gioia che anch'egli provava in compagnia della ragazza.
E questo lo raggelò.
"Bé devo proprio andare Maria, ci vediamo domani?", lei gli diede un leggero bacio sulla guancia e gli sorrise, :"a domani Amir, studia bene e riposa ogni tanto, se tu non mi avessi assicurato che te ne rimani chiuso in stanza a studiare, potrei pensare che quel tuo bel viso emaciato nasconda nottate in discoteca!".
"Ma... Maria!", rispose con finto tono scandalizzato lui, ma lei era già scivolata via con una risata.

Amir si sollevò con uno sbadiglio di stanchezza e passò al bancone per pagare la consumazione e ritirare la chiave della sua stanza che si trovava ai piani superiori del locale, la locanda era pulita e i proprietari persone esemplari, sempre precise e cortesi e il piccolo albergo ospitava sovente gli studenti dell'università della vicina città. La stanza era ricolma di libri, una piccola cucina a vista dove si preparava il té, ripose la rosa in un vaso dai pregiati fregi che già conteneva altri fiori, cambiò l'acqua e poi si accasciò sul divano letto, nascose la testa nel cuscino, ma non fu sufficiente per arrestare il dolore che provava all'altezza dello stomaco, singulti di pianto lo scossero fino a che la disperazione lasciò spazio a poche parole gridate :"Yasmin... Maria... no... no .... Yasmin... noooo...", prima di piombare in un sonno misericordioso.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:41:38  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
III

Nordafrica - quattro anni prima

Il cielo era azzurro e l'aria tersa, il villaggio di pescatori sul Mediterraneo si preparava alla festa, dalla casetta bassa vicina al molo proveniva il suono ritmico di un tamburello accompagnato da quello melodioso di un liuto, Amir era in piedi in mezzo al cortile, incredibilmente ricco di fiori profumati ad ogni angolo, respirava a pieni polmoni la brezza del mare, alzava le mani e il viso al cielo, si sentiva elettrizzato, era un uomo felice, non riusciva a crederci, tra poche ore avrebbe coronato il sogno d'amore, Yasmin veniva al suo villaggio con la corriera di mezzogiorno e si sarebbero sposati e avrebbero ballato fino all'alba tra la musica e la gioia di tutti gli abitanti. Aveva conosciuto Yasmin all'università, lui era professore di agraria, lei studentessa di legge, lui desiderava riempire di fiori il suo paese, lei voleva essere in prima linea nelle aule di tribunale per difendere i diritti dei cittadini, ora che le prime caute aperture democratiche parevano aver trasformato in un lontano ricordo il sanguinoso conflitto civile contro i fondamentalisti islamici. Fiori e legge, il matrimonio di Amir e Yasmin rappresentava un segnale del destino della nazione.
I pescherecci tornavano più presto del solito, le mogli dei pescatori erano state chiare con i loro mariti, guai a non essere presenti alla cerimonia, "ah, bei tempi quando le donne non comandavano!,", si era lasciato sfuggire sganasciandosi dalle risate un omaccione la sera prima all'osteria e sua moglie gli aveva fatto segno con la mano a coltello sulla gola. Scherzare si poteva finalmente, anche se i mostruosi omicidi di donne che non seguivano la pretesa regola coranica erano ancora vividi in tutto il paese, quante volte la televisione aveva mostrato la ferocia criminale degli integralisti. Ma il piccolo villaggio era rimasto un'oasi di tranquillità nella devastazione della guerra e oggi c'era solo il presente di cui esultare.

"Amir, vieni dentro, ti prenderai un'insolazione, non vorrai che Yasmin ti ritrovi cotto come un agnello allo spiedo!", "Madre, non riesco, sono troppo contento, sarò qui ad attenderla quando la corriera si fermerà di fronte", "Figlio mio adorato, sei la benedizione della nostra famiglia", mormorò la donna con il cuore gonfio di fierezza e richiudendo la serranda.
Amir e Yasmin si erano imbattuti l'uno nell'altra alla mensa all'aperto dell'università della capitale, lei era una ragazza bellissima, alta, fine e dai capelli ramati e gli occhi azzurri come il mare, una vera berbera, di temperamento selvaggio, come si divertiva a ripetere il padre che la amava come un tesoro prezioso, :"ma come farai a trovare un marito che ti meriti figlia mia!", concludeva invariabilmente e Yasmin gli dava un bacio in fronte, "padre, un giorno verrà per me un cavaliere e tu lo riconoscerai subito come il marito che mi merito, te lo prometto".
Il vento aveva fatto volar via i fogli su cui il giovane professore era chino e lui si era gettato a terra cercando di raccoglierli prima che fossero trascinati lontano, ricompose il fascicolo ma si accorse che la pagina più importante non c'era e sul suo volto si stagliò lo sgomento, era il disegno di un progetto di parco alla cui realizzazione aveva dato anima e corpo negli ultimi mesi.
"Tu vuoi questo per il nostro paese?", Amir rimase a bocca aperta quando la ragazza gli riporse il disegno.
Si reincontrarono ogni giorno dopo le lezioni nella caffeteria della facoltà, lui si vergognava, si sentiva indegno di esserle a fianco, lei si stupiva della sua timidezza, adorava sentirlo parlare dei suoi studi e lui adorava ascoltare lei esporre i suoi ideali. Fino a che lei gli chiese di descriverle il loro futuro e lui rispose :"vorrei che il domani avesse il colore del mare dei tuoi occhi".
E, come promesso dalla ragazza, il padre di Yasmin fu entusiasta della scelta della figlia. Le famiglie vivevano in villaggi diversi, ma non molto distanti, Amir presentò la sua promessa sposa alla madre e presto le nozze furono fissate. Sarebbe stata una cerimonia di cui la stampa locale avrebbe scritto per giorni e giorni, musica e amore avrebbero avvolto quel lembo di Mediterraneo nella pace e nella felicità. Amir, "principe" in arabo, Yasmin, il più profumato dei fiori.

Mezzogiorno, ma nessuna nube di polvere sulla strada appariva all'orizzonte, nessun segno della corriera, "forse si sono fermati all'incrocio della statale e il deserto, e' una giornata calda", si disse Amir. Venne la mezza, il villaggio intero era nelle vie, "ah, le donne, anche le nostre hanno appreso a comportarsi come in occidente, arrivano in ritardo!", rideva l'omaccione e la moglie digrignò i denti, "ma stai zitto, altrimenti d'ora in poi ti faccio aspettare due ore quando torni a casa per mangiare!", gli rivolse di rimando.
Una sensazione allo stomaco, gli premeva, lo stritolava, gli toglieva il respiro, Amir portò la mano alla bocca per trattenere un senso di angoscia, non comprendeva che cosa gli stesse accadendo.

Era la mezza. Una corriera si inserì a tutta velocità sulla statale costiera all'incrocio con le prime propaggini del deserto. Erano in ritardo e Yasmin fremeva, una imprevista perdita d'acqua aveva costretto poco prima il guidatore a fermarsi per far raffreddare il motore. "Figliola, non preoccuparti, Amir non ti ripudierà certo per un piccolo ritardo e poi in fondo, siamo o non siamo diventati liberi? le donne occidentali fanno attendere i loro uomini, non c'e' nulla di male se comincia ad accadere anche da noi!". "E tu come fai a saperlo?", ribatté pronta Yasmin prendendolo in giro, grata per le parole sempre affettuose che suo padre sapeva rivolgerle, rifugio sereno dell'indole prorompente della ragazza.
Un cammello bloccava la via e la corriera si arrestò. Un uomo era a terra vicino all'animale e non si muoveva. L'autista aprì il finestrino e sbuffò, poi raccolse una borraccia e scese, non era la prima volta che un mercante del deserto si sentiva male per il caldo. Anche alcuni passeggeri della corriera scesero e approfittarono per sgranchirsi le gambe. Yasmin si volse ad osservare il sole che divideva così chiaramente il colore del mare da quello delle dune del deserto, il colore del cielo dalla macchia lontana della cittadina di pescatori della costa.
Quasi se lo aspettava, l'eco dello sparo percosse per lunghi istanti il silenzio del luogo, :"fai solo che finisca presto, Ti prego", sussurrò, mormorando una preghiera.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:42:27  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
IV

Italia

Amir si svegliò di colpo, sudato e ansante, gridò e gridò, cadde dal letto, si trascinò per terra fino alla finestra della stanza, si sollevò e l'aprì, un panorama irreale, che non riconobbe, una cittadina europea ancora avvolta nel buio della notte, il campanile, le case di stile medioevale e i palazzi più moderni, le strade vuote. Fino a che ricordò e singhiozzò.
"Amir!", qualcuno bussava alla porta, con insistenza, "Amir, apri!". Il giovane si sciacquò il viso dal lavandino del cucinotto e girò la serratura, :"Rashid, la pace sia con te, grazie di essere venuto, ho avuto un incubo!". "Ti ho sentito gridare dalla mia stanza Amir, amico, la pace sia con te, è l'ora, la nostra guida ci attende, saprà indicarti la strada per lenire ogni tuo pensiero nefasto". E Amir lo seguì, come da molte notti a quella parte. Rashid portava vestiti larghi e ornati, come se ne vedono indosso agli uomini nelle tipiche cittadine arabe, aveva gli occhi spiritati, un inizio di barba che nascondeva la sua giovanissima età, :"neppure vent'anni", sospettava Amir. Scesero al piano terreno in cui si trovava il locale, li attendeva il proprietario che li condusse nel sottoscala, si guardò attorno e poi tirò fuori dalla tasca un pesante mazzo di chiavi.
L'Imam li attendeva in un salone ricoperto da tappeti sul pavimento e li invitò ad accomodarsi sui cuscini color amaranto, era una figura imponente, uno sfregio sulla guancia che intimidiva qualunque interlocutore, gli occhi gelidi, una barba lunga e appena un poco grigia, sul capo un copricapo nero, gli abiti lunghi e bianchi. In società era considerato uno degli esponenti moderati della comunità islamica e spesso le cronache dei giornali riportavano i suoi commenti sdegnati ogniqualvolta avveniva nel mondo un atto di terrorismo. Qualcuno diceva però che i suoi sermoni del venerdì nella vicina moschea erano alquanto diversi, ma erano solo voci, si rincorrevano e poi venivano smentite, del resto solo una piccolissima parte dei fedeli musulmani frequentavano quella moschea, la gran maggioranza era integrata nella cittadinanza lavoratrice.
"Fratelli, la notte vi ha portati, benvenuti, stanotte continueremo il discorso sugli apostati musulmani, i crociati e gli ebrei, Rashid, Amir e infine il più caro tra di noi", indicò il proprietario del locale, "un crociato che si e' pentito e adesso si chiama Ali Ahmed, siedi con noi e guarda". Sullo schermo di un piccolo televisore comparvero delle immagini di assalti all'arma bianca, di esercitazioni militari, di slogan, l'Imam accompagnava i filmati con commenti esaltati e spietati, :"noi siamo le punte di lancia dell'esercito del califfo, la guerra santa sconvolge già i territori dei governi arabi, le madrasse si sono fatte carico di spiegare la verità ai nostri bambini, i martiri, shaid, accorrono a migliaia nelle armate, cancelleremo Israele, taglieremo il cordone tra l'Europa e il grande satana americano, la jihad e' dovunque, non abbiate paura della morte, perché essa e' la porta verso il paradiso, una vita ancora più meravigliosa di quella terrena".
"Quando Imam, quando?", la voce di Rashid era emozionata, allucinata, :"trattieni il tuo desiderio di gloria ancora per poco o giovane eroe, il tuo nome sarà santificato nelle generazioni, attorniato dalle settantadue vergini del paradiso!".
"Anche io, anche io", fu la volta di Amir mormorare, il fiato corto, Rashid si illuminò in volto e lo abbracciò, era stato lui a convincere Amir a frequentare i sermoni dell'Imam, era stato lui a ricondurlo sulla via della vera fede.
Il religioso scoccò un'occhiata al proprietario del locale che annuì. Era tempo.
Amir svenne, la mancanza di sonno e la tensione avevano costretto il suo stesso corpo a prendersi cura di lui.

Il mattino dopo si risvegliò nella sua camera, ma non si preparò per andare al lavoro, non si rasò, chiamò nella stanza Rashid e parlarono a lungo, e così fu per un altro giorno. La curiosità di Amir pareva non avere fine e Rashid fu sconvolto dalla profondità delle rivelazioni che l'amico era in grado di trasmettergli sull'interpretazione dei testi sacri e all'alba del secondo giorno gli confidò che l'indomani sarebbe stato l'inizio della fine per gli infedeli. "Che significa Rashid?", Amir chiese con entusiasmo, "domani io andrò in paradiso e dopodomani sarò stato solo il primo di una lunga carovana", riprese Rashid, era euforico, "chi sono gli altri Rashid?", "arriveranno qui e conosceranno i loro obiettivi e...".
Rimasero senza fiato udendo due colpi alla porta, si guardarono l'un l'altro sorpresi, senza che nessuno sapesse prendere l'iniziativa. Amir fu il primo a riprendersi e disse a Rashid di nascondersi nell'angolo più buio della stanza, poi si avvicinò alla porta e l'aprì di un filo.
"Amir, come stai, non ti ho visto ieri al lavoro e mi sono preoccupata, ti ho portato la colazione, ho immaginato che non stessi bene, eri davvero stanco l'altra sera, ehi, che barba lunga!, mi fai entrare?", l'allegra voce di Maria e il suo volto stupendo furono un pugno nello stomaco per il giovane, che non lo diede a vedere.
"Vattene donna", la sua voce gelida saettò come una staffilata, “sto pregando, non vedi? Una donna deve stare al suo posto!"
Maria avvampò in viso, stupefatta, le ci vollero alcuni secondi per riaversi, ma nessuna parola poté sgorgare dalle sue corde vocali, osservò quel volto così duro, diverso dall'uomo che conosceva, le lacrime le colavano dagli occhi al mento, il cuore stava impazzendo per la velocità dei battiti, "vattene Maria, ti prego, vai", ripeté Amir con un mormorio, ma questa volta la sua voce era dolce e struggente, lei si sentì morire e fuggì via.
Rashid uscì dall'ombra e gli batté la mano sulla spalla con ammirazione :"così, così si comporta un uomo Amir, quelle non sono donne, sono da gettare!".
Amir scattò e le sue mani furono ad un attimo dal prendere Rashid per la gola, ma si trattenne senza che l'altro se ne accorgesse, :"Credimi Rashid, non ho provato neppure un briciolo di sensazione quando le ho detto quello che si meritava, adesso dobbiamo riposare, domani sarà un gran giorno".
Rimasto solo nella stanza, Amir si assicurò che l'altro giovane si fosse allontanato dalla porta, frugò in un cassetto sotto delle camicie fino a che trovò una leggera pistola con silenziatore che si nascose all’interno dei pantaloni e un telefono cellulare, digitò una dozzina di numeri e attese fino a che gli rispose una voce che disse solo :"Mehmet", "Domani", ribatté Amir e riattaccò. Poi si prese la testa tra le mani e si appoggiò allo stipite e avvertì con un senso di vertigine che il suo animo provava sollievo, dopo quattro anni.

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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:43:21  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
V

Nordafrica - quattro anni prima

La camionetta militare si arrestò di fronte alla casa di Amir, non una voce dalla folla degli abitanti del villaggio che si affollavano attorno ad essa. Balzò a terra un uomo in divisa, imponente come erano imponenti i suoi caratteristici baffi, si stirò l'uniforme ed entrò nel cortile, fece una decina di passi, si accorse del giovane che stringeva i pugni sul petto, gli si avvicinò ma per dei lunghi minuti non disse nulla, non riusciva, altre volte era stato suo dovere riferire, ma questa volta era particolare, la storia dei due promessi sposi era leggendaria nella regione. Una serranda si aprì e la madre fece capolino, lo sguardo fisso sull'ufficiale.
"Sono il colonnello Mehmet, comandante le truppe speciali di questa regione", la sua mano destra si appoggiò alla spalla di Amir, la sua mano sinistra estrasse da un taschino un fiore di gelsomino e lo pose sul capo del giovane, :"l'autobus e' caduto in un'imboscata dei terroristi fondamentalisti a pochi chilometri da qui, non venire Amir, ricordala per come l'hai vista l'ultima volta".
L'urlo di Amir volò fino all'infinito e fu raccolto dal grido degli abitanti del villaggio e dall'ululato di lutto della madre, si disse che quel giorno gli uccelli raggelarono per un istante nel cielo e che gli animali del deserto si nascosero nelle tane più profonde e che il mare si ritrasse dalla spiaggia.

Camminò nel deserto a piedi nudi, il bruciore nelle membra non leniva il dolore, perse ogni interesse nell'università fino a che gli dissero di prendersi quanto tempo desiderava e che lo avrebbero atteso, non accettava l'aiuto né il consiglio di nessuno, neppure la madre riusciva ad avvicinarlo, un giorno di furia calpestò e distrusse le piante del giardino, poi crollò e per lunghe settimane non si alzò dal letto. Due mesi dopo vagava nei bassifondi della capitale, beveva alcolici in continuazione, più volte donne di una notte lo riaccompagnavano in una squallida stanza di un albergo locale quasi senza conoscenza.
Una sera si mise ad ululare alle stelle e a battere i pugni sui muri delle case, vide confusamente una forma in mezzo alla strada che gli tagliava il cammino, due mani forti lo presero per il bavero e lo schiaffeggiarono, :"Amir, e tu saresti un principe? guardami uomo, guardami! i nemici della nazione araba stanno massacrando il nostro popolo e tu ti nascondi, che direbbe Yasmin di te, lei ti amava perché volevi ricoprire il mondo di giardini, di fiori, di parchi, era la tua promessa a lei, era la tua promessa!".
"Yasmin", gridò Amir e poi cadde come un sacco vuoto tra le braccia del colonello Mehmet.

"Se vuoi ricoprire la terra di fiori, devi ripulirla dalla cenere", erano passati due mesi da quella notte disperata e Amir appariva quello che era sempre stato, il viso ben rasato e lo sguardo attento e profondo, era seduto in una sala conferenze insieme ad altri giovani, uomini e donne, colui che conosceva come il colonnello Mehmet disegnava grafici su una lavagna e spiegava :"non si tratta di puro e semplice terrorismo, e' un esercito, i loro capi si ritengono discendenti del profeta e portatori della sua parola, non sono altro ovviamente che miliardari folli, ma sono riusciti a stravolgere le menti di migliaia di persone, hanno ricreato il sogno criminale di Hitler, perfetti esseri senz'anima da lanciare sul campo di battaglia per sterminare quello che definiscono il nemico, lo chiamano "sacrificio", li chiamano "martiri", riempiono la loro testa in alcune delle diverse scuole coraniche in Asia e in alcune delle diverse moschee in Europa, la bramosia di potere e' il motore, i nostri amici europei non hanno capito ancora, speriamo che non debbano ritrovarsi le strade ricoperte di cadaveri, come avvenuto al nostro paese, per svegliarsi, dobbiamo aiutarli, noi arabi, noi musulmani, non possiamo sopravvivere alla furia bestiale dell'aggressione dell'integralismo da soli, voi farete parte di una squadra speciale e segretissima, in collaborazione con i servizi segreti dei nostri alleati dei paesi arabi e dei paesi occidentali siete chiamati ad infiltrarvi nelle cellule attive o in via di attivazione in molte nazioni, affronterete corsi intensivi di lingua, di psicologia, di addestramento all'uso di molte armi, ci sono domande?".
La mente allenata allo studio di Amir lo fece ben presto primeggiare e dopo poco iniziò a parlare correntemente l'italiano, al poligono di tiro non una sagoma veniva risparmiata dalla sua precisione millimetrica, affiancò reparti antiterrorismo in azioni mirate e si guadagnò encomi sul campo, intanto la guerra del terrore devastava l'occidente e i paesi arabi.
Amir tornò al suo villaggio e ricostruì il giardino e nelle sere di primavera la fragranza del gelsomino gli riportava alla mente lo struggente pensiero di Yasmin, rivedeva il suo viso nella luna.
"Mehmet", l'ufficiale era seduto nel portico del cortile insieme a lui, bevevano té, :"tu sai chi è stato?".
"Sì, si chiama Bin Husam, questa e' la sua fotografia, si e' fatto strada nell'organizzazione terroristica del nostro paese fino a che e' stato reclutato dalla stessa Al Qaeda, la scia di orrore che ha lasciato dietro di lui gli ha aperto la porta verso i vertici e adesso si e' specializzato nel reclutamento sul luogo da colpire, ha affinato una tecnica quasi ipnotica e sarebbe un successo per noi catturarlo vivo per comprendere il momento chiave del convincimento mentale dei terroristi suicidi, abbiamo al lavoro in questo campo i migliori cervelli della psichiatria, qui e nel resto del mondo".
"Dov'è adesso?"
"In Italia."
Il giovane osservò a lungo la fotografia, registrò lo sfregio sulla guancia dell'assassino, "Posso andarci vero?"
"Sì Amir, sei pronto, è la tua missione".
All'alba lasciò un bacio sulla fronte della madre ancora addormentata e partì.

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VI

Italia

L’europeo che si faceva chiamare Ali Ahmed tolse con movimenti cauti due cinture da un cassettone, la sera prima aveva confezionato l’interno con dell’esplosivo contenuto in due casse nascoste dentro un armadio a muro. “Questa è per te Rashid”, il ragazzo la prese tra le mani e la soppesò religiosamente”, “e questa è per Amir”, il giovane non fece fatica a recitare una scena di rabbia, lui solo sapeva a chi essa era diretta.
“E questi sono i detonatori”, Ali Ahmed collegò due fili alle cinture e consegnò un radiocomando ciascuno ai due uomini.
“E questo è il vostro obiettivo, gli infedeli si raduneranno questo pomeriggio in un parco”, mostrò loro una cartina e proseguì, “apostati musulmani, crociati ed ebrei si raccoglieranno per pregare ai falsi dei, ci sarà la stampa, uomini politici, giornalisti, telecamere, ecco qui”, e mise il dito su un punto della mappa, “al centro del parco, c’è una fontana, ascenderà al paradiso prima Rashid e Amir lo seguirà elevandosi tra gli infedeli che saranno scampati al primo atto di giustizia”.
Indossarono le cinture e si coprirono con leggeri impermeabili, non avrebbero dato dell’occhio, era solo l’inizio della primavera e il tempo era ancora fresco e piovoso, uscirono dal locale e si divisero, Rashid guadagnò dieci passi sul compagno, il parco era distante neppure cinquecento metri.

Il getto della grande fontana si alzava per cinque metri, l’acqua usciva da un ugello centrale posto tra tre grosse pietre scure ricoperte di alghe verdi. Il laghetto ovale che la fontana riempiva era cintato da una cornice di marmo, attorno viottoli di ghiaia ombreggiati da immensi sempreverdi.
Le panchine erano piene, la manifestazione di quel giorno di festa aveva richiamato l’intero paese e decine di auto provenienti dalla città erano parcheggiate nei dintorni. Madri spingevano carrozzine, nonne inseguivano i nipotini che si allontanavano, un anziano signore in bicicletta si appoggiava stremato ad un cestino, un cagnolino si era gettato nell’acqua e ora si strigliava bagnando i passanti, passerotti saltellavano tra i colombi contendendosi le briciole di pane che erano cadute da una focaccia che una donna stava addentando con appetito.
Un sacerdote cattolico era in cordiale dialogo con un religioso musulmano, un rabbino stava scambiando battute scherzose con un monaco buddista, presto sarebbe iniziata l’importante celebrazione il cui intento era di dimostrare la concordia e il rispetto reciproco e la collaborazione esistente tra le varie fedi, le telecamere di diverse catene televisive inquadravano i rispettivi corrispondenti per le prove di trasmissione.
Il soffio del venticello piacevolmente caldo che prometteva l’arrivo della nuova più dolce stagione faceva roteare i primi pollini che come piume calavano lentamente sulle aiuole colme di boccioli e sulla superficie del laghetto.

Rashid aveva stampato sul volto un sorriso radioso, i suoi passi si fecero più frenetici, si sentiva volare, si mise a correre leggermente, le mani si avvicinavano alla tasca dove era riposto il radiocomando, non si rendeva neppure conto della folla che diveniva più folta, alcune persone si volsero protestando perché le aveva spinte, altre si scostavano appena in tempo, l’alto fiotto della fontana già appariva ai suoi occhi. “Rashid, ascoltami, fermati, Rashid!”, un sibilo di voce si introdusse a forza nelle orecchie dell’attentatore, “Rashid ti hanno mentito, fermati, vieni con me, Rashid” e una mano gli afferrò il gomito, si sottrasse con un colpo di reni e riprese a correre, “Rashid…”, il tono di Amir si fece disperato e infine rassegnato e la sua mano destra si strinse attorno al calcio della piccola pistola trattenuta nei pantaloni, si posizionò dietro un albero, si chinò e prese la mira.

Rashid era arrivato alla fontana, si volse e osservò con soddisfazione la folla che si accalcava e le sue dita si strinsero attorno al radiocomando.
“Rashid”, non era più un appello quello di Amir, il tono era di constatazione, premette il grilletto e il silenziatore attutì il colpo in uno sbuffo, in mezzo al petto di Rashid spuntò un spruzzo rosso, il suo corpo parve paralizzarsi all’improvviso, cadde all’indietro, lentamente, fino a toccare lo specchio d’acqua e rimase a galleggiare sulla schiena, gli occhi aperti e i tratti del viso disegnati per sempre nel fanatismo, una striscia di sangue si faceva strada tra le trasparenti increspature del laghetto.

Il primo a gridare fu un bambino, la folla si mosse di colpo e si frantumò, nessuno aveva compreso quello che era accaduto e il movimento avvenne senza panico, agenti della sicurezza indicavano con gentilezza ai convenuti le vie di uscita, poi si apprestarono a sollevare il corpo di Rashid dall’acqua. “Attenti, non muovetelo, ha una cintura esplosiva e un radiocomando”, Amir era balzato in avanti e si era fatto largo fino a raggiungere i poliziotti stupefatti e inconsapevoli che si bloccarono.

Il procuratore antiterrorismo Ludovico Stefanoni, un uomo alto e magro e elegante nell’abito impeccabile, sedeva perplesso alla sua scrivania, di fronte quel giovane evidentemente arabo, la pistola sequestrata in un sacchetto di plastica trasparente, una cintura e un radiocomando in un altro sacchetto simile, concluse la telefonata con tono leggermente adirato :”No giudice Forlini, non sappiamo ancora di che cosa si sia trattato e non confermiamo alcun movente terroristico, non ho ancora gli elementi per comunicarle se il colpo è stato sparato da un’arma appartenente a uno dei nostri agenti, la richiamerò appena ne saprò qualcosa di più” e chiuse la comunicazione, evidentemente annoiato.
“Allora, ricapitoliamo”, leggeva da un foglio, “lei mi ha dichiarato di essere un agente dei servizi di un paese arabo, di essersi infiltrato in un gruppo terroristico, di aver scoperto un progetto di attentato e di aver seguito il sospetto autore e poi gli ha sparato, prima che si facesse esplodere, se tutto questo è vero, lei ha salvato la vita a decine di persone e, sempre se tutto questo è vero, si farà sentire certamente qualche giudice che avrà già fiutato la possibilità di parlare di omicidio premeditato di un immigrato innocente”.
“Se ha dei dubbi su di me, può fare solo una chiamata, ecco il numero, ma dopo mi dovrà ascoltare, perché ogni istante che perdiamo seduti qui, un pericolo mortale si avvicina per il suo paese”.


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Roberto Mahlab
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Inserito - 18/07/2005 :  20:44:40  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
VII

Il procuratore conosceva in profondità la galassia del terrorismo e non si sorprese alla rivelazione del giovane arabo, anzi, un brivido di freddo gli percorse la schiena al pensiero che il peggio poteva ancora arrivare, l’allarme al suo dipartimento era particolarmente elevato perché solo poche settimane prima avevano perso i contatti con una fonte inserita nei traffici degli immigrati clandestini, proprio mentre seguiva un carico di esplosivi che supponevano provenire dalla Bosnia e di cui non c’era più traccia, una quantità di esplosivo tale che non era verosimile che servisse semplicemente a bande criminali. Compose il numero che Amir gli aveva passato e rimase in attesa fino a che una voce rispose :”Colonnello Mehmet, buon giorno procuratore Stefanoni, aspettavo la sua telefonata”.

“… il progetto prevede una catena di attentati suicidi, l’obiettivo non è solo tentare di imporre al suo paese una modifica di alleanze, ma è mirato a diffondere, oltre a morte e distruzione, il pregiudizio verso i vostri cittadini di religione musulmana, dopo una decina di stragi rivendicate dalla jihad, le vostre società tolleranti saranno spinte a contromisure che potrebbero violare la tolleranza tra le fedi, i burattinai del terrore userebbero tali avvenimenti per mostrare ai popoli arabi che l’occidente è un nemico di tutti i musulmani e questa sarebbe la leva per trasformare l’assalto fondamentalista al mondo in uno scontro di civiltà, sono i nostri avversari che vogliono dividerci radicalizzando le opinioni pubbliche, dobbiamo impedirlo e Amir ve ne offrirà la possibilità…” Il colonnello Mehmet parlò a lungo e il magistrato italiano annuiva, i suoi tratti divenivano sempre più tesi e preoccupati, fino a che rispose :”Considererò il signor Amir come collaboratore di giustizia, per proteggerlo dalle intrusioni giudiziarie, seguiremo le sue indicazioni e dopo gli faremo lasciare il nostro paese, grazie colonnello”.

“Lo trova un esercito a quest’ora procuratore?”, domandò Amir, “tutto quello che le serve è a sua disposizione da questo momento capitano Amir, ci dica quello che dobbiamo fare”, rispose con decisione Stefanoni.

Il locale degli infusi era pieno anche quella sera, anche più frequentato del solito, le coppiette che si guardavano adoranti ai tavoli, gli studenti impegnati nei ripassi, alcuni avventori che chiedevano dove era il bagno e il proprietario indicava loro il sottoscala, stranamente vi entravano e poi non ritornavano nella sala.
Un uomo avvolto in un impermeabile con il bavero tirato su fino a coprirgli il viso si avvicinò trafelato al bancone e si fece riconoscere da Ali Ahmed che esclamò a bassa voce e con sorpresa ;”Amir! Che cosa è successo, i notiziari parlano di uno shaid ucciso al parco, ma tu sei fuggito?”.
“Ci aspettavano, la polizia ha iniziato a sparare, non ho fatto in tempo ad avvicinarmi alla gente perché la facevano uscire dalla parte opposta, qualcuno ci ha traditi, dobbiamo avvisare l’Imam”.
Ali Ahmed annuì :”sta dando le ultime istruzioni a dieci martiri, l’operazione non si ferma, potrai ancora sperare di ascendere al paradiso Amir, non crucciarti, hai sempre la cintura? Vai, unisciti agli altri”.
Appena Amir sparì nel sottoscala, un ragazzo e una ragazza che fino a poco prima apparivano immersi in un abbraccio sempre più profondo si alzarono dalle sedie e sorridendo si avvicinarono al proprietario che ricambiò lo sguardo pensando con disprezzo :”uomini e donne insieme, presto la vostra decadenza avrà termine”. La ragazza gli saltò agilmente alle spalle e gli puntò una pistola alla nuca, mentre il ragazzo estrasse un distintivo e disse :”lei è in arresto”, Ali Ahmed accennò ad un gesto di resistenza e la donna lo mandò nel mondo dei sogni con un preciso colpo di karate.
“A mio parere dopo questo non credo che questo signore avrà delle donne una stima maggiore”, sogghignò il poliziotto suo compagno.

Dalle auto in apparente sosta di fronte al locale emersero agenti armati di tutto punto che si precipitarono all’interno e corsero su per le scale, sfondarono senza complimenti tutte le porte delle stanze e vi si appostarono, sequestrando documenti e computers.
Amir avanzava nel corridoio verso il salone dell’Imam, aveva lasciato la porta del sottoscala spalancata e si accorse che due agenti lo avevano seguito, con loro il procuratore Stefanoni, fecero irruzione nel salone e lo stupefatto Imam impallidì di colpo, i dieci aspiranti suicidi non fecero un gesto, dieci cinture esplosive erano appoggiate sui cuscini di colore amaranto e i radiocomandi sparsi sui tappeti.
“Traditore!”, gridò l’Imam rivolto verso Amir.
“Sei tu il traditore della nazione araba, Bin Husam!”, urlò feroce Amir puntandogli la pistola alla testa, un lampo di terrore negli occhi del capo terrorista, “Amir, lo vogliamo vivo!”, la voce del procuratore, “oh sì, non vede che ha paura? Parlera’, oh se parlerà, ci racconterà come riesce a far scattare l’interruttore della follia in questi ragazzi, lui è un capo, lui non si suicida, lui vuole una vita nel lusso, lui sognava di essere il califfo, che siano gli altri a morire!”. Il dito di Amir divenne bianco per lo sforzo di trattenersi dal premere il grilletto, i poliziotti ammanettarono i dieci ragazzi e Bin Husam e li portarono via.

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Roberto Mahlab
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VIII

La berlina nera percorreva a bassa velocità le vie del paese, diretta verso l’aeroporto della città vicina, alla guida c’era il procuratore Stefanoni e accanto a lui sedeva Amir, vestito con un paio di pantaloni neri e una larga camicia bianca, il viso disteso, spiegava :”Interrogando approfonditamente Bin Husam potrete scoprire le sue tecniche di convincimento, vi basterà essere presenti con i vostri agenti in borghese nelle moschee durante i sermoni, coglierete i cenni e le risposte e potrete intervenire preventivamente sugli aspiranti suicidi.
Userete i filmati non per imporre il terrore, ma per proporne il disgusto, dovrete lanciare una grande operazione culturale in tutta la vostra nazione, dovrete togliere dalla paura di subire rappresaglie i vostri concittadini musulmani e farveli sereni alleati nella comune lotta al male, se comprenderete i mezzi usati dal vostro nemico potrete organizzare le contromisure, nel mio paese l’incitamento alla violenza non è considerato libertà di espressione, certo abbiamo ancora molto da fare per raggiungere il vostro livello di democrazia ma, vi prego, non siate voi a rischiare di affossarla per un equivoco di pensiero”.
Stefanoni ascoltava con concentrazione le profonde riflessioni del giovane che appariva saggio come un vecchio e si interrogò su quanta sofferenza avesse dovuto attraversare.
“Amico mio, la prego, accosti un momento”, Amir appoggiò una mano sul volante e il procuratore parcheggiò l’auto vicino all’entrata del supermercato.
“Signora Danielli, aspetti, l’aiuto io!”, l’anziana donna aveva abbassato dolorosamente la schiena per riuscire a raccogliere la cesta di pesanti bottiglie, il giovane la precedette e la ripose all’interno dell’utilitaria.
“Amir, avevo paura che ti fossi ammalato, non ti ho visto per un po’, grazie, sei davvero un bravo ragazzo, sai?”, “Grazie cara signora, mi dia il bastone, glielo tengo mentre sale in macchina e mi raccomando, non sgommi ai semafori!”. E la signora Danielli rise e lo guardò con affetto.

Nella cabina di vetro posta nel parcheggio l’uomo corpulento vestito con l'uniforme della vigilanza privata scosse la testa osservando la scena, alla radio un annunciatore descriveva la retata che la polizia aveva compiuto nei giorni precedenti per sgominare una pericolosa organizzazione che si temeva avesse agganci con il terrorismo, "non mi piacciono quelli, non mi piacciono proprio", borbottava la guardia mentre la bibita gassosa gli saltava sul viso dopo che l’aveva troppo scossa prima di aprirne la linguetta.

Amir si apprestò a rientrare nell’auto del procuratore, appoggiò un braccio sul tettuccio e con la coda degli occhi diresse il suo sguardo verso il chiosco dall’altra parte della strada, intravide il profilo di Maria che stava accarezzando una piantina di gelsomini appena fioriti. Maria avvertì una sensazione inconsueta e lentamente si volse, una berlina nera stava abbandonando il parcheggio, seduto vicino al guidatore le pareva di aver riconosciuto un viso che la osservava.

Roberto Mahlab


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