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Renato Attolini
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Inserito - 19/12/2004 :  16:32:25  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
Abbandonato su una sedia al tavolo di quella trattoria veneta, mi stavo gustando, sorseggiandolo lentamente, un bicchierino d’amaro locale, fumandomi nel più totale relax la mia sigaretta americana dopo aver ingurgitato abbondantemente una cena a base di “bigoii in salsa” e fegato con cipolle, il tutto innaffiato da un prelibatissimo “Tocai del Lison”. Non mi si venga dire, per cortesia, che su piatti così andrebbe meglio un vino rosso. Lo so bene, però non lo sopporto ed anche se dovessi mangiare un cinghiale intero ci berrei sopra del bianco o al massimo (e adesso faccio inorridire i raffinati buongustai) della buona birra. Comunque mi sentivo decisamente bene e completamente a mio agio ed il calore di quel pasto così ricco mi aveva infuso un senso d’euforia che a malapena riuscivo a celare. Soprattutto ero felice della decisione che finalmente stavo per prendere: abbandonare per sempre la metropoli grigia, caotica ed alienante per trasferirmi e rifugiarmi a vivere in quel paesino sperduto sulle colline del Veneto, terra con la quale non avevo nessun legame di sangue ma che tanto adoravo per la sua semplicità e tranquillità. Era parecchio tempo che quest’idea mi frullava nel cervello e non ne facevo mistero con nessuno. Ormai amici e parenti conoscevano a memoria quel ritornello ed ogni volta che ne facevo cenno alzavano gli occhi al cielo, della serie “Ci risiamo”, fino a quando un abituale compagno della cosiddetta “pausa pranzo”, se così si può chiamare il panino divorato in fretta e furia seduti a microscopici tavolini attaccati l’uno all’altro, in bar pieni di gente che commenta ad alta voce la giornata finanziaria, non so se per farmi davvero un piacere o perché era stufo di sentire sempre quel “refrain” m’informò che conosceva un agente immobiliare operante nella zona che m’interessava, specializzato nel vendere case in campagna o in collina che sicuramente avrebbe fatto al caso mio. Con molto entusiasmo presi il suo numero di telefono, ignorando lo sguardo divertito e speranzoso dei presenti che si auspicavano ovviamente la cessazione di quel tormento quotidiano che a loro imponevo. Immaginavo già i botti delle bottiglie di spumante per festeggiare l’avvenimento, se le cose fossero andate in porto. Non è che non mi sopportassero è che, come spesso mi dicevano “ne avevano piene le scatole di me”. Io però non ci badavo e continuavo a stressarli. Quel week-end non l’avrei passato a fare spese o a guardare la televisione, ma mi sarei subito recato in quei luoghi.
Cosa che effettivamente misi in atto. Il titolare dell’agenzia al quale avevo preventivamente telefonato mi accolse con gran cordialità e mi sottopose subito una lunga serie di proposte immobiliari corredate da fotografie e minuziosi particolari, descrivendole tutte con grand’enfasi e magnificandone i pregi e i vantaggi. Fui attirato da un’immagine sulla quale invero il tizio non si era soffermato più di tanto che ritraeva una casa indipendente attorniata da un bel giardino. Gli chiesi notizie ma inspiegabilmente notai un irrigidimento da parte sua e la risposta che mi diede fu alquanto laconica e sbrigativa il che accrebbe la mia curiosità. Lo pressai fino a quando non ammise che quella casa nessuno voleva comprarla, ma non riusciva a capirne il motivo. Gli chiesi se ciò potesse dipendere dal prezzo ma quando lo venni a sapere rimasi sorpreso anzi sbalordito: nonostante le opere di ristrutturazione necessarie, si trattava di un autentico affare che non potevo lasciarmi scappare. Decisi di andarla a vedere ma il titolare dell’agenzia si rifiutò d’accompagnarmi adducendo delle banali scuse, dandomi in compenso le chiavi. Intrapresi così il viaggio. Percorsi una strada tutta curve e in salita che si snodava attraverso uno splendido bosco. Mi venne in mente la scena iniziale di “Shining” di Stanley Kubrick e a quel pensiero un piccolo brivido mi corse lungo la schiena. Oltrepassai altre case, una trattoria e poco dopo giunsi finalmente a destinazione. La casa era decisamente isolata ma in uno scenario stupendo: verde e solo verde tutt’intorno. Come avevo intuito dalla foto, necessitava di ristrutturazioni e l’impressione fu confermata quando entrai. Comunque niente di straordinario, solo qualche bel ritocco qua e là. Rimasi sorpreso quando notai la presenza d’alcuni mobili fra i quali un letto che chissà da quanto tempo erano lì: a parte la polvere erano in buono stato. In ogni caso fu amore a prima vista: quella casa doveva essere mia! Si era fatto tardi e mi era venuto un certo languorino allo stomaco, così raggiunsi la trattoria che avevo incontrato sul cammino.
Ripensavo quindi a questi avvenimenti con una gioia nel cuore che non provavo da lungo tempo, mentre le sigarette si succedevano l’una all’altra nel locale già abbastanza saturo di fumo. Ai tavoli, altri avventori bevevano e giocavano a carte insultandosi pesantemente quando qualcuno sbagliava una mossa e lanciando di quelle bestemmie da far tremare i muri. La cameriera, una giovane e belloccia figliola, per tutto il tempo della cena mi aveva lanciato sorrisi e sguardi ammiccanti che io ricambiavo con molto fair play anche se il suo attillatissimo grembiule mi faceva salire la pressione. L’educazione sopra ogni cosa per me, ma non la pensava così il resto della compagnia che ogni tanto lanciava al suo indirizzo complimenti così pesanti da scandalizzare uno scaricatore del porto di Marsiglia. Ogni tanto qualcuno tentava di rifilarle una pacca sul sedere ma lei, grazie ad una consumata esperienza, la schivava abilmente. Quando fu il momento di sparecchiare mi rivolse la parola e io mi sottoposi volentieri alle sue domande, pedaggio inevitabile per poi approdare a qualcosa di molto più piacevole.
“Lei non è di qui, vero?”
“No, per il momento no.” Le risposi con un sorriso.
“Prego?” mi guardò interrogativamente.
“Le stavo dicendo che non sono di qui, ma molto probabilmente verrò presto ad abitarci.”
“Bene, benvenuto allora!” mi sfoderò uno smagliante sorriso più luminoso di quelli ricevuti fino a quel momento “E dove andrà ad abitare, se posso chiederglielo?”
“Certo che può!” mi sentivo molto loquace, pregustando quello che mi aspettava “Ha presente quella casa isolata in fondo a questa strada, immersa nel verde? Non può sbagliare, c’è solo quella. Ecco, proprio lì.”.
La ragazza rimase senza parole, cambiando totalmente espressione. Borbottò poi qualcosa in dialetto del tipo “Xé tuto mato!” e si allontanò rapidamente. Ebbi la netta impressione che il “rendez-vous” fosse sfumato e che avrei fatto meglio a rimandare a tempi migliori le mie ardenti voglie. Nel locale era sceso improvvisamente un silenzio pesante. Gli altri clienti avevano smesso di giocare a carte e mi guardavano tutti in un modo strano. Rimasi interdetto non riuscendo minimamente a capire cosa potesse aver provocato quella situazione così imbarazzante. Aspettai che tornasse la cameriera per chiederle a voce abbastanza alta in nodo che sentissero tutti:
“Mi scusi signorina, ho detto forse qualcosa che non va?”.
La ragazza chinò il capo e se n’andò un’altra volta senza proferire una parola.
Fu uno dei presenti che rispose in sua vece:
“Lei vuole andare a vivere in quella casa maledetta? E così che ha detto, vero?”.
“MALEDETTA?” ero esterrefatto, “Io non ho usato per niente questo termine!”
“Certo, non può saperlo, lei non è di qui.” L’uomo, un vecchio con cappello e baffoni che sembrava il sosia di quell’attore che fa la pubblicità ad una nota marca di birra, mi fissava con molta attenzione, ma senza ostilità. Era seduto ad un tavolo con altre tre persone. Non erano alticci ma il colorito del loro viso era così rosso che sembrava avessero messo la testa in un forno microonde per mezz’ora.
“Si vuole spiegare, per piacere?”. Cominciavo ad inquietarmi.
L’uomo bevve una lunga sorsata di vino, aspirò dal suo sigaro e cominciò a parlare.
“Lei deve sapere che circa trent’anni fa in quella casa viveva una coppia senza figli ma con tanti problemi. Tutti i giorni erano litigate a non finire e la ragione di questi dissapori, se così possiamo chiamarli, consisteva nel fatto che il marito passava le notti ad ubriacarsi e, pare, in compagnia di donnacce, sperperando così i loro soldi. Quando tornava a casa alle giuste rimostranze della moglie replicava con una violenza inaudita: erano botte tremende che volavano e la poveretta ne portava i segni evidenti per parecchi giorni. Questa storia si trascinò per parecchio tempo finché un giorno la disgraziata in un momento di sconforto decise di porre fine alle sue sofferenze, impiccandosi ad una trave del solaio con una cintura del marito che tornando a casa, ubriaco come sempre, la trovò in quelle condizioni. La sbornia gli passò di colpo e fu travolto da una disperazione senza fine e da un rimorso lancinante. Pianse lacrime a fiumi, ma non trovò un cane che lo consolasse. Il paese intero gli voltò le spalle, rimproverandogli il suo abominevole comportamento. Se ne dovette andare, portandosi via le sue cose in fretta e furia e lasciando anche qualche mobile. Da quella volta ben pochi hanno tentato di vivere in quella casa ma sono fuggiti via subito. C’è chi giura di aver sentito delle voci e che…..…”
“Il fantasma della donna appare tutte le notti urlando alla luna il suo straziante dolore! Certo, certo, è così, no?” Avevo interrotto il racconto dell’uomo, già immaginando come sarebbe andato a finire e seppure la cosa mi divertiva non poco, lo avevo fatto caricando le parole con una buona dose di sarcasmo. Avevo comunque colto nel segno, a giudicare dalla sua espressione!
Mi guardò, infatti, sorpreso, forse anche un po’ amareggiato e ferito, mentre i suoi compagni di tavolo mi guardavano inebetiti, ma forse era la loro espressione abituale. Poi scosse la testa e con una punta di compassione mi disse:
“ Che mi scusi, paron, ma lei viene dalla città, non può capire.”
“ Capisco benissimo, invece! Sa quante volte ho ascoltato una storia del genere? Guardi, non per vantarmi, ma ho girato mezzo mondo ed ad ogni latitudine si trova qualcosa di simile. Una volta me l’hanno raccontata perfino in Giamaica dove mi trovavo per una vacanza, solo che lì erano un po’ più fantasiosi: affermavano che il fantasma appariva riflesso negli specchi.”
“Mi sta lasciando intendere che lei non crede a quello che le ho detto?” insistette l’uomo, punto sul vivo.
“Niente di personale, ma mi scusi, ha una sia pur pallida idea di quanti scrittori hanno imbastito favole come questa da letterati illustri come Oscar Wilde, ha mai letto <Il fantasma di Canterville>? No…penso di no…ai più volgari imbrattacarte, per non parlare del cinema dove filmacci di serie B hanno imperversato su questo tema in varie versioni. Trent’anni fa all’epoca in cui lei dice si sarebbero svolti i fatti, un gran regista ipotizzò un futuro fantascientifico col suo film <2001 Odissea nello spazio>. Beh, a quest’anno fatidico ci siamo arrivati, e lo abbiamo anche passato da un pezzo, non viviamo nella fantascienza ma poco, pochissimo ci manca, perciò storie come questa sono solo delle enormi panzane. Noi che viviamo in città, come anche lei mi ha detto, le chiamiamo <leggende metropolitane> e voi che state in campagna, come le chiamate?”.
Avevo parlato tutto d’un fiato, accalorandomi più del dovuto. Perché umiliare quel brav’uomo? Il mio DNA cittadino rigettava quelle autentiche frottole, quindi la cosa non mi divertiva più e mi irritava.
Oramai il malumore era subentrato all’euforia. Purtroppo sono fatto così, basta un niente per rovinarmi l’atmosfera. Se poi ci vogliamo aggiungere anche l’avventura sfumata con la cameriera, il quadro era completo. Nel frattempo nessuno parlava più nel locale. Fu ancora quel vecchio a rompere il silenzio:
“Si vede che lei è istruito, non è come noi altri poareti. Però queste non sono <ciacole> da osteria, fatte da gente ignorante. Xé tuto vero e comunque non è il caso che se la prenda tanto! Io l’ho solo avvisata, il resto sono fatti suoi.”
Mi alzai dal tavolo, salutai con un cenno del capo e uscii all’aperto. Solo a quel punto mi resi conto che si era fatto molto tardi, che ero decisamente stanco e come dicono gli inglesi “the last but not the least” non c’era nessuna locanda, albergo o qualcosa di simile nei dintorni tranne la trattoria che però non forniva alloggio. L’unica soluzione era andare a dormire in quella casa, in fondo avevo le chiavi ed insieme ai pochi mobili mi ricordavo d’aver visto un letto. Quel particolare l’aveva riportato pure quel vecchio, quindi su un punto aveva ragione. E se l’avesse avuta anche sul resto? Scacciai quel pensiero con un risolino forzato e mi diressi verso la casa. La spavalderia e la sicurezza che avevo ostentato prima cominciavano ad incrinarsi. Un senso d’inquietudine si stava lentamente insinuando in me ed accrebbe quando giunsi a destinazione. <Dov’è finita tutta la tua prosopopea d’uomo evoluto del 2000?> mi rimproverai per allontanare quella fastidiosa sensazione di malessere. Ad ogni modo entrai nella casa avvolta dal buio cercando tastoni l’interruttore della luce. Quando lo avvertii al tatto provai un senso di sollievo che svanì immediatamente sentendolo scattare a vuoto. Di giorno non ci avevo pensato ma adesso era logico supporre che dopo tanti anni la corrente era stata tolta. Mi ricordai che in auto avevo una grossa pila e grazie a quella riuscii a perforare le tenebre. Il fascio di luce inquadrò il letto che non sembrava poi così in buone condizioni come mi era sembrato qualche ora prima. La novità e l’entusiasmo mi avevano giocato un brutto tiro ma ora vedevo le cose realmente com’erano e in più mi sentivo soffocare da una puzza d’ambiente chiuso della quale non m’ero accorto durante la mia prima visita. Che fare? L’alternativa era dormire in macchina ma la stanchezza mista al “Tocai” ebbe il sopravvento. La testa mi girava oltretutto come una trottola per cui m’accasciai sul letto sollevando nugoli di polvere e piombai in un sonno profondo. Feci dei sogni strani, più strani di quello che lo sono normalmente, molto agitati, incomprensibili. Percepivo nel sonno la presenza di qualcuno vicino a me mentre un senso d’oppressione m’attanagliava il petto come se due mani gigantesche me lo stessero schiacciando. Cercai d’urlare ma la voce non veniva fuori. Provai a far uscire tutto il fiato che avevo in gola, ma senza risultato alcuno. Alla fine l’angoscia che mi aveva completamente invaso esplose: mi svegliai rantolando come una belva ferita. Mi ritrovai immerso nell’oscurità mentre con sgomento andai alla ricerca della pila ma l’agitazione m’impedì di trovarla. La presenza di un’altra entità vicino a me era palpabile nell’aria.
“CHI C’E’ LI?” urlai. Nessuno rispose, eppure ero sicuro, terribilmente sicuro di non essere solo.

“SE E’ UNO SCHERZO E’ DI PESSIMO GUSTO!” sperai che fosse qualcuno dei presenti di poco prima che si stesse burlando di me. Silenzio ancora.
CHI SEI, COSA VUOI?” gridai a squarciagola. “ VATTENE, LASCIAMI IN PACE.” Il terrore si era letteralmente impadronito di me mentre il pensiero corse ai discorsi che avevo fatto in trattoria. Come mi sembravano lontani e ridicoli, adesso!
“Ti scongiuro” implorai “Non farmi del male. Sei il fantasma di quella povera donna, vero? Perdonami se non ho creduto alla tua storia, ma non vendicarti su me!” Ero sul punto di piangere come un bambino.
Finalmente qualcuno rispose. Una voce calda, morbida ma allo stesso tempo autoritaria mi parlò:
“Hai finito di strillare come un’aquila spennata? Stai facendo un tale casino che se ci fosse davvero un fantasma, scapperebbe pur di non sentirti!”
Ero completamente disorientato e decisamente impaurito.
“Non sei il……. fantasma?”
“Vedi forse lenzuola bianche che volteggiano facendo roteare stridenti catene?”
“A dire il vero non vedo niente” cominciavo un po’ a calmarmi.
“E non devi vedere niente!”
Il terrore si era un po’ affievolito, quel tanto che bastava per farmi recuperare un po’ di razionalità. Cercai d’infondermi coraggio, anche se non era una cosa semplice in quella situazione, e mi sforzai d’identificare il mio interlocutore, nonostante quello che mi aveva appena detto, tentando d’intravedere le sue forme anche nel buio più totale, ma egli intuì le mie intenzioni.
“E’ inutile che cerchi di vedermi. Anche se fossero accese tutte le luci del mondo, lo stesso sarei invisibile ai tuoi occhi.” Le sue parole mi bloccarono, raggelandomi.
“Non sei un fantasma, non sei una persona reale, chi diamine sei infine?” Cercavo di mostrarmi irritato per nascondere la tensione che mi divorava.

“Prima di tutto è doveroso informarti che hai fatto una figura pietosa, stanotte. Dovevi guardarti mentre frignavi come un marmocchio fifoso. Belle le tue parolone, lo sfoggio di cultura con quel brav’uomo. Pensa che risate si farebbe se si fosse trovato qui. Seconda cosa, conoscendoti stai pensando che poiché non sono un fantasma quella storia che ti hanno raccontato è completamente fasulla. Sbagli anche stavolta, è assolutamente vera, almeno per quanto riguarda il dramma che si è consumato fra queste mura. Non chiedermi come lo so, lo so e basta. Infine rispondo alla tua domanda. Vuoi sapere chi sono? Non sono altro che una tua proiezione. Sono nata con te, morirò con te. In ogni essere umano c’è una mia simile. In qualcuno è viva e vegeta, ma sono ben pochi credimi, in altri, e sono la maggioranza, dormono profondamente senza alcun cenno di risveglio, in altri, purtroppo, non sono morte ma è come se lo fossero. Banalmente ci chiamano <coscienze> o <angeli custodi>, ma tu puoi chiamarmi come preferisci.
Adesso non ero più tanto spaventato, ma fortemente incuriosito.
“Scusa, ma perché ti sei fatta viva solo ora ed in questo luogo?” chiesi mentre mi sentivo già rapire da quello che si annunciava un affascinante ed interessante dialogo.
“Se fossimo ad un dibattito televisivo ti direi: <La ringrazio per la sua domanda perché mi dà la possibilità di esplicare il concetto etc. etc…>, a parte gli scherzi, credi che non ci abbia provato prima? Che cosa pensavi che fossero quegli improvvisi presentimenti, quelle strane sensazioni come se qualcuno ti stesse avvertendo di fare o non fare qualcosa? Solo che per te come per tutti coloro che vivono in quei terribili agglomerati urbani stressati dal caos, intorpiditi dalla televisione, ammaliati dal richiamo d’invitanti sirene che lo manovrano come se fosse un balocco facendogli credere d’essere lui a tirare i fili del gioco, da quei miliardi di voci insomma che lo annientano psicologicamente, non è facile farsi sentire. Siamo costretti a vivere nell’ombra ed ad uscire allo scoperto solo quanto esistono certe condizioni come ad esempio un luogo come questo dove l’essere nel quale viviamo è solo con se stesso e può quindi ascoltarci. Ma non è sufficiente! Egli deve essere anche pronto spiritualmente, se mi passi il termine, perché quasi mai lo é. “
“Io lo sarei, dunque e perché se è lecito?”
“Tu sei in conflitto con te stesso, per esempio. Quella voglia di fuggire dalla metropoli nasconde un desiderio d’evasione dai tuoi problemi, solo che non te ne rendi conto o peggio non vuoi ammetterlo. In ogni caso ti trovi nella situazione ideale perché io possa farmi viva con te. Al di là della tua ostentata sicurezza, sei una persona estremamente fragile e hai necessità che qualcuno t’ascolti, ti consigli. Hai bisogno, perciò, di far parlare la tua <coscienza>.”
“A questo punto dimmi tu cosa devo fare.” Mi sentivo completamente nelle sue mani, quasi privo di volontà, completamente soggiogato.
“Sai meglio di me quali sono le guerre che dilaniano il tuo animo. Risolvile e troverai la strada giusta, ma ricordati che se non lo farai, qualsiasi posto al mondo anche il più bello sarà dopo un po’ un inferno per te.”
Tacqui perplesso e pensieroso.
“Non so cosa dirti.” Risposi.
“Nulla mi devi dire, non adesso: lunga ed impervia è la strada che porta alla pace dello spirito. L’importante è cominciare a percorrerla.”
“Toglimi una curiosità. Quella del fantasma, credo di aver capito, è una leggenda e niente più. Com’è che è nata? Non so come ma tu lo sai senz’altro.”
“Vedi” mi disse “Le entità come me, a volte evadono dal corpo in cui vivono per entrare in contatto con le loro simili. Se ti piace, chiamale pure <riunioni>, esattamente come usate fare voi. Si parla di tutto, a volte si scherza e ci si racconta anche dei pettegolezzi. Sono venuta così a sapere che in questa casa già qualcuno aveva cercato di abitare, ma quando la mia <collega> si era manifestata a lui, questi aveva rifiutato di confrontarsi con lei ed era fuggito via spaventato preferendo credere che il fantasma della donna suicida, del cui dramma era evidentemente venuto a conoscenza, si fosse a lui manifestato. Per certa gente è meglio rifugiarsi nel soprannaturale che guardarsi dentro ed esaminarsi. E’ bastato farne cenno a qualcuno perché la storia si estendesse a macchia d’olio per trasformarsi in leggenda e travalicare anche i confini del paese. Qui in zona tutti ci credono e temono questa casa.”
Mi venne da sorridere e mi vergognai delle mie paure. Mi sentivo tranquillo, una sensazione ancora più piacevole di quella che avevo provato la sera precedente, prima che cominciasse tutto.
“Mi ha fatto molto bene parlare con te” dissi alla mia <interlocutrice>. Non sapevo come chiamarla.
“Non credere di aver risolto tutto. Come già ti ho detto ci vuole molto tempo. Dovremo sentirci ancora parecchie volte.”
“A tua disposizione.”
“Se ti sono sembrata un po’ dura, ricordati che è solo per il tuo bene. Non c’è permesso fingere, non è nella nostra natura e non serve allo scopo per il quale esistiamo.”
“Capisco, non preoccuparti.” Risposi, dopodiché mi addormentai, serenamente.
Al mattino spalancai una finestra. L’aria fresca ed il profumo dei prati mi penetrò nei polmoni, inebriandomi. Mi sentivo rinascere ed è proprio quello che dovevo fare: ricominciare daccapo, spazzando via dentro di me tutte le ombre ed i dubbi del mio essere. Potevo fare anche ritorno nella metropoli, non era indispensabile restare in quel luogo. Dopo però ammirai lo spettacolo della natura in campagna mentre il tenue cinguettio degli uccellini mi ronzava dolcemente nelle orecchie. <Non è necessario fermarmi qui, ma è molto meglio farlo.> pensai fra me.
Una cosa mi restava da fare per iniziare bene il nuovo cammino: andare la sera all’osteria per scusarmi con quel vecchio ed offrire da bere a tutti, annunciando la mia intenzione di vivere lì. Se mi avessero chiesto del fantasma, se avessi avuto dei problemi in quella casa, avrei detto che…..non so…. la prima scusa che mi sarebbe passata per la testa.

   
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