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 Voci del passato
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July
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Inserito - 18/12/2005 :  15:45:36  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a July
Voci del passato

“Mamma guarda! La Play Station!”
I pensieri di Susanna si dissolsero come una nube di vapor acqueo, nel momento i cui la sua attenzione venne richiamata dal piccolo Diego, che, coperto da un enorme piumino blu, sciarpa rossa e cuffia della stessa tinta, le indicava una vetrina di fronte a loro.
Gli occhi del figlio, quasi unico dettaglio visibile del suo viso, splendevano di gioia davanti a tutte quelle meraviglie che riempivano i negozi e le vetrine; e non solo perché pensava ai regali che avrebbe avuto, ma anche perché a Diego piaceva tantissimo camminare per le strade in compagnia dei genitori all’apprestarsi del Natale. Quando le strade erano illuminate dalle mille luci delle figure natalizie, sagome di alberi, campane e Babbi Natale che aleggiavano, sospesi a mezz’aria, nello sfondo del cielo scuro della sera; e quando dietro le vetrine, incorniciate dai fili d’oro e d’argento, i giocattol, sistemati spesso e volentieri in mezzo al muschio, facevano compagnia ai personaggi del presepio e all’albero saturo di palle colorate che da un angolo dello scenario estendeva la sua supremazia.
Susanna rivolse a Diego un sorriso, mentre si lasciava guidare verso il negozio additato dal bimbo.
“Babbo Natale me lo porterà?” domandò Diego un po’ preoccupato.
“Babbo Natale ha tanti bambini da accontentare, amore. – replicò Susanna – E tutti abitano in paesi diversi e lontani. Ma se gliela chiedi, può darsi che te la porti.”
Il viso di Diego si rallegrò.
“Mi aiuterai a scrivere la letterina, oggi?”
“Certo.”
“Allora gliela chiederò oggi stesso.”
In cuor suo, Susanna aveva già deciso che tra qualche giorno gliel’avrebbe comprata. Gli accarezzò il viso, mentre già il figlio si dirigeva verso un’altra vetrina, e pensò che per nulla al mondo avrebbe rinunciato a vedere quello stesso viso rischiarato dalla gioia immensa di avere in dono la Play Station proprio il giorno di Natale.
Com’era stato diverso, per lei, il Natale, quand’era bambina!
Fu un pensiero che la sorprese, fugace, mentre in mezzo alla folla di fidanzati e di genitori con i bambini, avvertiva una calda emozione sfiorarle il cuore…un qualcosa che non aveva mai conosciuto durante l’infanzia, anche se sentiva che potesse appartenere solo al cuore di un bambino. Forse era la bambina nascosta dentro di lei che si nutriva di quel calore.
Si sentiva rincuorata, ma al tempo stesso carezzata da una nube malinconica, quella nube funesta che la accompagnava da una vita; e che ora, sentendosi minacciata da un’emozione calda e nuova, in maniera ancor più prepotente del consueto stendeva la propria ombra gelida su di lei.
Non si smette mai di soffrire le venne da pensare.
La piccola mano di Diego strinse insistentemente la sua, proprio mentre Susanna elaborava l’amara constatazione.
“Mamma, torniamo a casa?” domandò. Susanna si sorprese che suo figlio fosse già stanco, ma in fondo, pensò quasi subito, era la terza volta, quel dicembre, che uscivano assieme a guardare le vetrine. Le altre due volte c’era stato anche Riccardo. Quella sera Riccardo lavorava.
“Sei stanco, tesoro?”
“Si. Poi ho voglia di una cioccolata!”
Susanna sorrise, pensando che tra poco sarebbero stati a casa a sorseggiare la cioccolata davanti al camino. Era una cosa che piaceva molto ad entrambi.
“Va bene.” Disse.

L’albero di Natale che avevano allestito a casa era davvero bello quell’anno. Era talmente carico di addobbi, palline colorate, luci, che le fronde si incurvavano sotto tale peso, oscillando un poco sulle punte. Diego si soffermò qualche istante a contemplarlo, mentre la mamma preparava la cioccolata in cucina.
Susanna era contenta di fare l’insegnante. Avrebbe avuto a disposizione le intere vacanze natalizie per stare assieme a Diego e Riccardo.
Pensava questo, e nel frattempo la scia malinconica che l’aveva colta mentre passeggiava per strada si fece sentire di nuovo, col proprio estenuante languore che sembrava stringerle i visceri in una morsa.
Si domandava se mai avrebbe dimenticato gli anni della sua infanzia, il cui amaro replay la perseguitava da una vita, come una sorta di cicatrice andata in suppurazione, una ferita lacerante che da troppo tempo sanguinava, e doleva, come se fosse stata appena inferta.
Il marchio indelebile della sofferenza, tracciato negli anni da un destino tiranno che per anni e anni le aveva sferrato botte e vessazioni.
Non finirà mai…
Se l’era detto più volte, in passato. Quando, quindicenne, lavorava presso un bar per comprarsi i libri, si era detta, rassegnata, che quella era la sua vita.
La vita non avrebbe mai cessato di prenderla a legnate, di vibrare le sue sferzate, di riempirla di dolore.
Se ripensava alla sua famiglia, gli unici ricordi erano quelli relativi a un padre avvinazzato ed una madre succube, dalla quale non ricordava di aver mai ricevuto un bacio o una carezza. Il Natale, allora, non era altro che il perpetuarsi di un’ antica danza di sofferenza, resa ancor più lacerante dall’atmosfera carica di gioia di cui le strade si intridevano, e di cui le altre famiglie godevano.
Per loro non era così. E se pensava ai suoi fratelli, le veniva spontaneo domandarsi se fosse stato un caso o no che lei fosse l’unica ad essere uscita incolume dall’incubo.
Sua sorella Marta, la sua sorella maggiore, era uscita di casa a quindici anni, per non farvi rientro mai più. Susanna ogni tanto riceveva lettere da parte sua; la rivide quando a 19 anni si iscrisse all’università e si allontanò anche lei da casa per andare a vivere in città.
Pranzarono assieme, quel giorno; Susanna capì che si faceva nello stesso istante in cui la vide, pallida ed emaciata. Tempo dopo lesse sul giornale che era morta per un’overdose.
Suo fratello Pietro, più piccolo di lei di un anno, era in carcere per rapina a mano armata. Il solo pensiero la faceva rabbrividire.

Lanciò uno sguardo carico di premura al piccolo Diego, abbracciando con un’occhiata generosa la figura minuta che si dirigeva verso il tavolo della cucina, e lo sguardo spensierato che intravide sul suo viso fu per lei un tocco di speranza.
Portò le due tazze fumanti sul tavolo, e si sedettero l’uno di fronte all’altra.

Dopo che si era iscritta all’università, le visite a casa sua divennero settimanali. Poi quindicinali. Poi mensili.
Sempre più sporadiche, fino a quando subentrò la malattia di suo padre. Egli rimase infermo per qualche anno, poi morì. Morì qualche mese prima del suo matrimonio.
Sua madre, invece, era morta un mese prima. In quell’occasione, Susanna aveva rivisto Pietro. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma era come se tra loro ci fosse un baratro, colmo di dolore e di costernazione. Ella era riuscita ad arrampicarsi sulle pareti del baratro, e a venirne fuori. Pietro no. Pietro aveva toccato il fondo.
Adesso, Susanna aveva la vita che sognava, che aveva tanto agognato.
Un lavoro, un marito che le voleva bene, un figlio che amava.
Eppure, di quando in quando, era come se sentisse delle voci. Le voci antiche, tetre e cavernose, dell’infanzia, che si sollevavano come fantasmi del suo passato, e le sussurravano che il dolore non finisce mai.

   
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