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 La piccola fiammiferaia
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July
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Inserito - 24/09/2005 :  10:11:13  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a July
“Avanti.”
La porta si aprì, svelando l’immagine di una ragazza sui vent’anni – una ragazzina, venne da pensare a Kevin – che stava ferma sulla soglia con l’aria di essere incerta sul da farsi. La ragazza indossava un maglione rosso ed un paio di pantaloni larghi neri, che, su quel corpicino minuto, davano l’impressione di una bambina che avesse indossato, per sembrare più grande, gli abiti della mamma. Una borsa a tracolla di dimensioni non indifferenti le scivolava, un po’ sbilenca, su un fianco.
“Venite avanti, e accomodatevi.” Incoraggiò Kevin.
La ragazzina si fece avanti, muovendosi con aria sorniona, e si sedette di fronte a Kevin. Dai capelli biondi, raccolti sulla nuca, sfuggiva un ciuffo, che calava sulla fronte, quasi a volere celare lo sguardo della giovane; due occhi verdi, grandi e inquietanti come pochi, osservavano Kevin come se egli dovesse avere in mano la verità che bramosamente cercavano.
Del resto, non era forse questo ciò che i clienti si aspettavano da lui? Più volte Kevin aveva riflettuto su quest’aspetto. Era come se si aspettassero che egli avesse la verità in mano, e per di più la verità voluta e cercata. Prima ancora di iniziare le indagini. Quasi come se un investigatore privato, guardando i clienti negli occhi, fosse in grado di estrapolare fatti accaduti mesi e mesi prima e trarre le debite conclusioni. Conclusioni che non sempre piacevano.
Si augurò che non fosse così per quella ragazza, perché era troppo carina, e poi troppo giovane perché sul suo viso si dipingesse un’espressione frustrata.
“Buongiorno. – disse Kevin, interrompendo il silenzio – Come vi chiamate?”
“Ecco…mi chiamo Melissa Watson.”
Tacque. Kevin si chiedeva che mistero avesse da delegargli una creatura così giovane e così timida, che esitava persino pronunciare il proprio nome.
“Immagino che se siete qui, abbiate un caso – e qui il tono di Kevin divenne un po’ strascicato, per via dell’austerità del termine – da espormi. Giusto?”
La ragazza aprì la borsa, senza parlare, ed estrasse un foglio piegato. Lo porse a Kevin, il quale lo dispiegò. Era un foglio di giornale ingiallito, che emanava un nauseante odore di vecchiume. Kevin lesse sull’angolo a destra la data: 13 Settembre 1985. La notizia riportata era quella di un incendio scoppiato in una villa di periferia, in cui avevano perso la vita diverse persone; il titolo faceva riferimento, in maniera sarcastica, all’autrice della sciagura, alla quale da allora era stato conferito l’ irrispettoso epiteto. Kevin ricordava in maniera molto vaga l’evento, accaduto esattamente 20 anni prima.

La piccola fiammiferaia

La notte scorsa, a Remember House, un incendio ha sterminato metà degli abitanti della nota villa, che si erge ai limiti della città. L’attenzione dei vicini è stata richiamata dalle fiamme che divampavano attorno alle mura. Subito sono stati chiamati i vigili del fuoco i quali sono riusciti a sedare l’incendio, ma non ad impedire la morte dei padroni di casa, i coniugi O’Neil, del loro figlio Norman, e di buona parte della servitù. Sembra che ad appiccare il fuoco sia stata la giovane figlia degli O’Neil, Dorothy, che prima di scappare ha tratto in salvo la figlia di appena due mesi che dormiva nella culla.
Da tempo regnavano dei dissapori tra Dorothy (16 anni) e i genitori, i quali non accettavano la relazione della figlia con un coetaneo, unione dalla quale due mesi fa è nata la bambina…..

Kevin lesse l’articolo con attenzione, poi si rivolse alla ragazza.
“Si, ricordo bene questa spiacevole notizia. Era stata una vera e propria tragedia.” Scosse la testa.
“Ricordate anche il seguito?”
“Alludete al destino della piccola fiammiferaia?”
Sugli occhi verdi di Melissa si calò un sipario scuro, un velo tenebroso che in pochi secondi trasformò il suo viso.
“Alludo – la voce le tremava per l’emozione – al destino di mia madre, Dorothy O’Neil”
Kevin assunse un’espressione a metà tra il sorpreso ed il mortificato.
“Melissa…volete dirmi che voi…?”
“Io sono la bimba di cui l’articolo parla.” Replicò fiera Melissa. Gli occhi le brillarono, senza che cessasse, nemmeno per un attimo, di osservare Kevin. “Mia madre è stata, in seguito, processata e condannata a trent’anni di carcere.”
Kevin ascoltava, attento, la sua interlocutrice.
“E’ morta prima, però. E’ morta di setticemia dopo aver scontato 3 anni di carcere.”
A Kevin vennero in mente i titolo dei giornali di quel periodo, ed ecco che nella marea di immagini emerse anche quello; la notizia della morte della piccola fiammiferaia, così soprannominata per via del suo fisico gracile. Non molto dissimile, del resto, da quello di Melissa.
“Capisco. – replicò Kevin – Ma io…che cosa c’entro? Tutto questo è accaduto vent’anni fa, Melissa…”
“Voglio che scopriate chi è il vero colpevole.”
Kevin la osservò come se fosse pazza.
“Mi avete capito benissimo, signor Delacroix. Voglio che scopriate chi, vent’anni fa, appiccò un incendio a casa di mia madre e dei miei nonni. Perché è chiaro che mia madre è stata accusata ingiustamente.”
Kevin osservava il viso caparbio di Melissa, e la sua espressione risoluta, e stentava a credere che si trattasse della medesima ragazzina sparuta che poco prima aveva fatto ingresso nel suo studio.
Com’è strana, a volte, la gente, pensò, un attimo prima sembra un fuscello pronto a spezzarsi sotto il primo colpo di vento, e un attimo dopo scopri che dentro sé ha una forza e una passione che solo Dio certamente conosce.
“Perché dite questo, Melissa? – domandò alla giovane cliente – ricordo di aver seguito il caso, e suo tempo, e ricordo che ….” Esitò. Stava per concludere che la madre era stata descritta come una persona emotivamente instabile, e pochi sarebbero stati pronti a scommettere sulla sua innocenza. Invece terminò semplicemente così:
“…che la maggior parte dei conoscenti della signora O’Neil erano convinti che ella fosse colpevole.”
“E voi pensate che questo basti a far di lei un’assassina?”
Con gesti rapidi, Melissa estrasse dalla borsa una lettera in una busta chiusa. Era stata scritta da sua madre, ed era indirizzata a lei.
“E’ stata scritta da mia madre, prima che morisse. Voleva che mi fosse consegnata al compimento dei diciotto anni.”
L’altro giorno, pensò ironicamente Kevin.
Melissa gli porse la lettera, continuando a spiegare: “Io andavo a trovarla, fino a tre anni, accompagnata da una zia paterna. Sono stata cresciuta dai nonni paterni, ovviamente.”
Kevin prese in mano la busta, ingiallita,e con gli angoli consunti. Estrasse la lettera e iniziò a leggerla.


07 Luglio 1988

Cara Melissa,
quando aprirai questa mia lettere sarai una signorina ormai. Avrai compiuto 18 anni, perché darò disposizione al notaio affinché la lettera non ti venga consegnata prima, e spero ti sia affrancata dalle chiacchiere e dai pregiudizi con cui certamente per anni avranno tentato di circuirti. Io temo di non avere molto tempo a mia disposizione, e tu adesso sei così piccola….
Desidero farti sapere che ti voglio un bene immenso, e che mi dispiace tantissimo che tu non possa avere una famiglia “normale” come tutti gli altri bambini. Ma qualunque cosa accada, voglio che tu sappia che la tua mamma ti vuole sempre bene, anche se è lontana e non la puoi vedere.
Non farti condizionare da nessuno, Melissa. Cerca sempre di fare ciò che ti dice il cuore, quello per cui senti dentro una spinta, e non permettere che nessuno scelga ciò che è giusto per te. Fallo nella scuola, nel lavoro, e negli affetti.
Ricordati sempre che sei unica. Sempre. E speciale.
Sei una persona speciale.
Forse adesso ti starai chiedendo cosa voglio dirti, ma non importa. Forse non comprenderai subito, ma col tempo lo farai.
Ti saluto, con un abbraccio immenso
Tua per sempre
mamma

Kevin sollevò gli occhi su Melissa ed ostentò un’espressione interrogativa.
“Voi credete – domandò la giovane con le pupille che vibravano per l’emozione – che una persona che scrive una lettera del genere a sua figlia possa essere un’assassina malata?”
Kevin riflettè un attimo.
“In effetti – osservò – Sembra molto improbabile”
Un’espressione di trionfo si disegnò sul viso di Melissa, ma subito Kevin aggiunse:
“Lo ritengo improbabile. Ma non ne ho la certezza. Non sono uno psichiatra o uno psicologo.”
“Andiamo, Kevin….è così chiaro!”
“Non è affatto chiaro. E il compito che volete delegarmi non mi alletta affatto.”
Gli occhi verdi di Melissa si spensero tutt’a un tratto, divenendo simili a una serata di tempesta.
“Perché?” domandò.
“Perché si tratta di un evento occorso vent’anni fa. Molte delle persone coinvolte sono morte nel famoso incendio, altre saranno comunque morte…”
“Quindi non vi interessa.” Un velo di amarezza intrideva le parole di Melissa. E Kevin, che appena l’aveva vista si era augurato di non doverla deludere, si sentì improvvisamente in colpa, per il suo tentativo di defezione da un incarico che, per dirla tutta, non era poi così gravoso. Si trattava solo di frugare nel passato di diverse persone. E probabilmente nessun innocente sarebbe andato in galera. Solo, non si sarebbe trattato di un lavoro interessante. Questo no.
“Non particolarmente….- replicò, e, mentre una Melissa frustrata voltava le spalle per prepararsi a uscire, aggiunse. – Ma accetto!”

La signora Joanna O’Connell era una donna sui cinquant’anni anni. Circa trent’anni prima aveva conseguito il diploma di infermiera, ma, credendo che non fosse quella la sua vera vocazione, aveva iniziato a lavorare come cuoca presso gli O’Connell. Kevin aveva appreso che suoi datori di lavoro le si erano affezionati così tanto da farle battezzare il piccolo Norman. Dopo l’incendio, Joanna aveva ripreso a fare l’infermiera, aveva sposato un vecchio conoscente ed aveva avuto due figli.
Kevin, presentatosi come giornalista, venne accolto in una cucina piccola, arredata in arte povera, davanti a due tazze di thè inglese fumante.
“E’ stata una tragedia. – commentò Joanna – Le giuro che da allora non passa giorno senza che mi chieda….perchè. Perché Dorothy abbia compiuto un gesto simile.”
“Bè, voi dovevate conoscerla bene, signora O’Connell.”
“Avete ragione. La conoscevo bene. E vi garantisco che ciò che ha fatto rientrava perfettamente nel suo stile.”
“Cosa volete dire?”
“Che Dorothy era una persona….oh, come posso spiegarvi, signor Delacroix. Una persona emotivamente instabile, sicuramente. Lei era capace di…di ridere e piangere nello stesso momento, oppure di picchiare il fratellino dopo un minuto che giocavano assieme…non so se rendo l’idea.”
Kevin aggrottò le sopracciglia.
“Insomma, mi state descrivendo una persona disturbata.”
Joanna abbassò lo sguardo e rispose, con una certa rassegnazione: “Si. Mi spiace dirlo, perché le volevo bene. Ma era così.”
“Cosa ricorda della sera dell’incendio?”
“Ecco…poco, a dire il vero. Eravamo tutti a letto, e d’improvviso siamo stati svegliati dall’odore del fumo e della legna che bruciava….è successo tutto così in fretta…”
Di colpo, a Joanna vennero in mente le immagini di quella notte così lontana e così sconsolata. Le lingue di fuoco che si levavano dal pavimento, il fumo che col proprio spessore avvolgeva i mobili ed investiva le pareti….le urla della signora O’Neil, intrappolata nella sua camera da letto con il marito…. e, come in un sogno, le tornò davanti agli occhi lei, Dorothy, che in una cornice di fuoco e di fiamme prendeva tra le braccia sua figlia, e la portava via con sé.
Gli occhi le brillavano, mentre il passato riviveva attraverso le sue parole ed i ricordi.
Kevin osservò attentamente il viso trasognato della donna che parlava.
“Signora O’Connell…le è mai passato per la mente che…- esitò un attimo, perdendosi nello sguardo attento di Joanna - ….che Dorothy non fosse la vera colpevole, in realtà?”
Joanna parve sorpresa.
“Bè, a dire il vero…no.” Rispose.
“Ne è proprio certa?”
“Come mai mi fa questa domanda?”
“Ecco, nel mio articolo, in realtà, si dovrebbe parlare di persone condannate al carcere, ma che hanno sempre proclamato la loro innocenza. E mi risulta che anche Dorothy l’abbia fatto.”
Joanna esitò, prima di rispondere.
“Mi piacerebbe che fosse così, ma con ogni probabilità Dorothy era colpevole.” Disse infine. Per un attimo tacque, poi riprese:
“Sapete perché ve lo dico?”
“No.”
“Perchè Dorothy aveva in programma di scappare con William, quella sera. William era il suo fidanzato, il padre della piccola Melissa.” Kevin venne pervaso da un’immensa tenerezza, al pensiero di Melissa. Joanna invece aveva l’aria di avere appena rivelato una notizia sconcertante.
“Potete spiegarvi meglio?” domandò Kevin.
Joanna abbassò il capo.
“Ecco…l’aveva detto a Jim, lo stalliere. Lo stalliere morto anche lui nel rogo…” la voce di Joanna vibrava per l’emozione. Kevin la vide scuotere il capo, mentre rievocava il ricordo di quel pomeriggio lontano e desolato…
“L’avevamo sentita io e Christopher.”
“Chi è questo Christopher?”
“Era l’autista della famiglia O’Neil. E, se le interessa saperlo, l’unico sopravvissuto oltre me e Dorothy. Certo, la sua camera era al pian terreno, così è stato il primo a fuggire. Quel pomeriggio, io e Chris parlavamo assieme, proprio sulla veranda che dava sul cortile. A un tratto, abbiamo udito, chiaramente, la voce di Dorothy…- Joanna sembrava fissare un punto lontano – che diceva, con fare deciso: ‘Dobbiamo fuggire. E lo faremmo stanotte stessa.’ Tutti e due ci siamo voltati, e abbiamo visto lei e Jim, che, dunque sapeva…”
“Mi state dicendo che Dorothy quella notte…”
“Che Dorothy quella notte aveva in programma di scappar via con William. La famiglia non era affatto contenta del fatto che avesse avuto una figlia, e della sua relazione con questo ragazzo…”
“E lui, che fine ha fatto?”
“Oh, credo si trovi all’estero, adesso. Aveva riconosciuto la figlia, ma non se n’è mai occupato. Credo che la bimba sia stata affidata ai nonni paterni.”
Kevin annuì. Già quel suo primo colloquio era stato in grado di rivelargli verità interessanti.

Christopher Jordan era disteso nel suo letto, con qualcosa come tre cuscini sotto il collo per impedirgli di andare in apnea. Aveva settanta primavere sulle spalle, ed una cartella clinica più completa di un trattato di patologia. Broncopneumopatia, diabete, angina pectoris erano solo una parte. Bastavano a costringerlo a starsene quasi tutto il giorno a letto, e oramai le sue giornate trascorrevano solo in compagnia del televisore e di qualche vecchio amico che andava a trovarlo.
Kevin provò un moto di pietà, di fronte a quell’uomo anziano, magro come un chiodo, e per di più con un’enorme ustione che gli deturpava la guancia destra, scendendo fin quasi al mento. Non ebbe dubbi sull’origine di tale lesione.
“Venite, accomodatevi. – Pregò il vecchio, e con un cenno del capo indicò la poltrona a fianco del letto. - E’ un piacere per me avere una visita.”
“Anche se il visitatore è un giornalista rompiscatole, venuto apposta a sollevare dalla polvere il passato?” scherzò Kevin.
“Anche in quel caso!” replicò Christopher, e una risata affannosa quasi soffocò le ultime sillabe.
“Chiedete pure, signor Delacroix.”
“Sto scrivendo un articolo attorno alle persone condannate al carcere, che non hanno mai smesso di affermare la propria innocenza. La mia ricerca è così capitolata su Dorothy O’Neil.”
Christopher non ostentò alcuna particolare espressione, all’udire quel nome.
“Ricordate la notte dell’incendio?”
“E come dimenticarla? Ne porto i segni sul volto, non vedete?”
“Vedo.” ribattè Kevin.
“Credo di aver rimosso buona parte dell’accaduto, grazie al cielo. Ricordo solo di esser stato svegliato dalle urla di Joanna, la governante, allora molto giovane, che venne a bussare in camera mia. Corsi fuori in mezzo al rogo, e nella fuga una trave infuocata mi cadde addosso strisciandomi sul volto.”
Christopher si arrestò.
“Una vera e propria tragedia. Morirono quasi tutti.”
Un’atmosfera di sottile e cupa malinconia si diffuse nella stanza, permeandone i mobili e le pareti. Kevin ebbe qualche remora a spezzare il silenzio.
“Vi ricordate della giovane Dorothy?”
“Come no! Una bella tipettina.”
“I giornali ne parlavano in modo non molto lusinghevole, di certo.”
“I giornali esageravano. Dorothy era, tutto sommato, una bella persona.”
Kevin trasalì. Per la prima volta sentiva parlare di Dorothy O’Neil in modo non irrispettoso.
“Trovate che lo fosse?”
“Ma si! Era solo un po’ impulsiva, ecco tutto. Una persona che diceva pane al pane e vino al vino, senza usare un linguaggio troppo forbito. Ma a me tutto sommato…piaceva.”
Kevin esultò nel pensare all’effetto che avrebbero prodotto queste parole sopra Melissa.
“Non mi spiego proprio – prosegui Christopher – cosa le abbia preso quella notte. Non mi spiego proprio il suo gesto.”
“Cosa intendete dire?”
“Bè, tutto sommato in quel periodo era serena. Aveva appena avuto la bambina, quella creatura deliziosa, e credo che di lì a poco si sarebbe sposata.”
“Sposata?”
“Si, con William Watson, il suo fidanzato.”
“Che, a quanto pare, non garbava troppo alla famiglia.”
“In realtà questa è una storia che non conosco. Sapete, io non ero a conoscenza dei fatti di famiglia così bene come Joanna. Ho letto poi sui giornali che alla famiglia il signor Watson non piaceva, ma per quanto ne sapevo, William era sempre stato un assiduo frequentatore della villa.”
“Signor Jordan, posso farle una domanda?”
“Dite pure.”
“Ho parlato anche con la signora Joanna O’Connell, e mi ha rivelato un particolare inquietante. Mi ha detto che la sera dell’incendio, voi due avevate udito Dorothy che diceva allo stalliere che quella notte sarebbe scappata con William.”
Christopher assunse un’espressione alquanto vaga, poi affermò:
“Ma certo. Ora ricordo! Abbiamo sentito Dorothy che diceva a Jim, se non erro ‘Dobbiamo scappare. Lo faremo stanotte stessa.’.
Kevin annuì, senza cessare per un attimo di pensare all’imperscrutabile frase.

Melissa e Kevin sedevano al tavolo di un bar, davanti a una sprite ed una lattina di thè freddo. Gli occhi di Melissa erano immensi e pieni di perché.
“Allora, a che punto sei con le indagini?”
Avevano cominciato quasi subito a darsi del tu. C’erano all’incirca quindici anni fra di loro, Kevin considerava Melissa una sorta di sorella minore.
“Credo di avere in mano qualcosa di veramente valido.” Asserì Kevin.
“Vuoi dire che….?”
“Voglio dire che sono quasi certo di aver compreso come andarono veramente le cose.”
Melissa sgranò gli occhi.
“E…mia madre? Che mi dice di mia madre?”
“Tua madre è innocente, Melissa.”
Melissa si sentì pervadere da un’immensa sensazione di calore.
“Dici sul serio?”
“Certo. E’ stata solo…una sorta di capro espiatorio. Tutto qui.”
Istintivamente, come se fosse il gesto più naturale del mondo, Melissa si alzò e si sedette sulla panca a fianco a Kevin.
Si abbracciarono.

Joanna O’Connell era vestita in modo abbastanza sobrio, quella sera. Indossava un paio di pantaloni grigi ed un maglione celeste di lana. Aveva accettato l’invito di Kevin Delacroix, in un ristorante poco distante dalla sua casa, pur non sapendo quale fosse lo scopo. Non si aspettava di trovarlo assieme ad una ragazza; invece fu così.
“Mi chiamo Melissa Watson.” Si presentò Melissa.
All’udire quel nome, Joanna ebbe un moto di sorpresa, ma fu brava a mascherarlo prontamente.
Kevin non si lasciò sfuggire l’occasione.
“Questo nome vi ricorda qualcosa, signora O’Connell?”
“Bè, si. Immagino che sia…” si interruppe.
“Sono la figlia di Dorothy O’Neil.” Asserì Melissa, orgogliosa come un soldatino. Kevin fu felice di osservare che sin dall’inizio, la ragazza aveva sempre ostentato la propria fierezza per esser figlia di sua madre. Non aveva mai abbandonato tale atteggiamento, né per un attimo la vergogna aveva preso il sopravvento.
A dispetto del mondo intero, per giunta.
“Signora O’Connell – incalzò Kevin – in che rapporti eravate con la giovane Dorothy?”
“In ottimi rapporti. Dorothy era piccola quando ho iniziato a lavorare presso gli O’Neil, e non ho potuto fare a meno di affezionarmi a lei. Era una bambina stupenda.”
“Gia. – commentò Kevin – Non vi è dispiaciuto nemmeno per un attimo mandarla in carcere per un crimine che voi avevate commesso?”
Joanna impallidì.
“Ma…come vi permettete?” disse indignata.
Kevin non si scompose minimamente per quella frase.
“C’era qualcosa che stonava, nel vostro resoconto. E, a dire il vero, anche in quello di Christopher, l’autista. Ma posso immaginare che l’autista non abbia avuto un grosso credito, a differenza di voi, visto il rapporto di cui godevate con gli O’Neil. E immagino anche che il punto di vista di Christopher sia stato enormemente influenzato dal vostro.”
Joanna assunse un’espressione di sfida.
“Dimostratemelo.”
“Mi avevate detto di aver sentito Dorothy che diceva a Jim, lo stalliere, che quella notte sarebbe scappata via con William. E quest’informazione è stata confermata da Christopher. Ma la frase da voi riportata sembrava invece avere un altro significato. – si voltò verso la giovane Melissa, rivolgendosi direttamente a lei - Pensaci, Melissa : Dobbiamo fuggire. Stanotte lo faremmo.”
Melissa ascoltava Kevin, attenta.
Dobbiamo fuggire. Stanotte lo faremmo.
“Dorothy in realtà non si riferiva a lei e William, ma a lei e Jim!”
Gli occhi di Joanna si sgranarono come fari nella notte. A Melissa parve che la donna stesse tremando.
“E Jim, in realtà, - proseguì Kevin – era, con ogni probabilità, il vero padre di Melissa.”
Questa volta fu Melissa a sgranare gli occhi. Ella sentiva il cuore prendere a battere a ritmo serrato, mentre la storia raccontata da Kevin continuava, come una fiaba che però una fiaba non era…
Quella della piccola fiammiferaia, pensò Melissa.
“I dissapori coi signori O’Neil erano dovuti al fatto che la figlia aveva scelto come compagno lo stalliere di famiglia! Certo la signora O’Neil avrebbe fatto di tutto per celare questa vergogna, persino chiedere a dei vecchi amici di famiglia di accogliere nella loro famiglia la piccola Melissa, fingendo che il padre della bimba fosse il loro primogenito, William. E la famiglia Watson ha retto il gioco!”
“L’ha fatto sino ad oggi.” Replicò con amarezza Melissa.
Joanna era furente.
“Ma il signore e la signora O’Neil non avevano calcolato due cose: la prima era che Dorothy era
innamorata, corrisposta, di Jim, e avrebbe fatto di tutto per andare a vivere con lui; la seconda era che anche voi, Joanna, eravate innamorata di Jim!”
L’enorme peso del silenzio crollò fra i presenti.
“Avevate finto di voler bene alla famiglia O’Neil, certo era stata una mossa diplomatica. –e lì il tono di Kevin divenne palesemente di accusa - Avevate battezzato Norman e fingevate di voler molto bene a Dorothy. Ma in realtà ne eravate tremendamente invidiosa.”
Kevin guardava con insistenza negli occhi di Joanna, che si ostinavano a voler fuggire.
“Lei aveva tutto. – commentò. – Voi, invece…!”
Le fiamme della collera divampavano ora nel volto di Joanna, che vedeva i propri antichi sentimenti scoperti e messi al bando, come vecchi stracci. Melissa ebbe da pensare che se la donna non fosse stata un’assassina in quel momento le avrebbe fatto pena.
“E quando avete scoperto che Jim si era innamorato di lei, e per giunta, che Melissa era sua figlia, perché certamente stavate abbastanza addosso a Jim da scoprire quasi subito la verità, siete stata acceccata dall’odio e dalla rabbia.
“Voi avete dato fuoco a Remember House, sperando che morissero tutti. Ma quando vedeste Dorothy che sfuggiva alle fiamme, e portava in salvo la bambina, vi precipitaste a svegliare Christopher, affinché egli sopravvivesse e potesse sostenere la vostra teoria. In seguito fu semplice, fingendovi l’affezionata governante di casa O’Neil, elargire informazioni false e diffamanti verso Dorothy, che immancabilmente portavano le indagini verso di lei.”
Joanna ascoltò Kevin sino alla fine, sostenendo lo sguardo imperturbabile di Melissa.
Dopodichè, mostrandosi tranquilla, replicò:
“E voi vedete di poter dimostrare ciò che avete appena detto?”
“No.” Ammise Kevin.
Un enorme sorriso si aprì sul viso di Joanna.
Basta questo sorriso, a provare la tua colpevolezza pensò Melissa.
“Ma resta il fatto – aggiunse Kevin – che prima o poi vi sveglierete, e vi renderete conto dell’abominio che avete commesso. E quel giorno, credetemi, sarete assalita dal rimorso, che vi perseguiterà sino alla tomba”
Melissa ripensava alle parole della madre, che, nella lettera, le diceva di seguire sempre il cuore, e di non lasciarsi imporre niente dagli altri. Frasi fino ad allora sibilline, che ecco, tutto d’un tratto, assumevano un significato….
“Arrivederci, signor Delacroix.” Joanna si voltò, e con passi rapidi uscì.
Melissa e Kevin rimasero soli. Si fissarono per un attimo.
“E’ finita.” Disse Kevin. E si abbracciarono nuovamente.


Giuliana carta

   
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