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 IO CHE SOGNAVO DI DIVENTARE UN CARRISTA
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zanin roberto
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Inserito - 24/03/2008 :  18:41:06  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
RICORDO DI UNA NAIA ASSURDA

Il vento freddo spianava la terra, folate gelide gettavano solitudine e spezzavano la mia speranza, lassù nella garitta di sporco cemento, allora scendevo nell'oscurità a ripararmi vicino al muro di cinta della caserma. Il pastrano di lana grezza mi attenuava, nella notte di inizio primavera, il fastidio di quella guardia, dietro l'abitato delle cucine. Il fucile garand che scendeva dalla spalla e la baionetta alla cinta, mi dava l'aria di un anonimo soldato perso tra le pieghe della burocrazia militare, il mio incarico era autiere A18 e il 1977 era un anno caratterizzato dal terrorismo delle frange estreme e dalle vicine scosse di terremoto che avevano offeso drammaticamente in Friuli, la pedemontana. Il cambio della guardia arrivò puntuale alle quattro del mattino e mi tuffai in un sonno consolatore.
A metà mattinata del giorno dopo avevo scuola guida.
Il giorno era sereno e fresco, il sole aranciava il grigio di quella caserma di fanteria d'arresto che dell'antico blasone garibaldino conservava solo una cravatta rossa, vanto della nostra divisa, ufficiali e sottoufficiali erano di una mediocrità sconcertante, i discorsi vertevano solo su donne e denaro, ma l'abbruttimento si palesava anche nella trascuratezza dell'aspetto, nell'ozio camuffato da servizio, negli ordini molte volte irrazionali, nell'abuso malizioso di potere.
Il sergente maggiore che doveva essere il nostro istruttore di scuola guida, arrivò con un sorriso da babbuino a cui avevano appena concesso una banana in premio, il basco verde che sembrava un disco volante calcato in una testa dai capelli rossicci e spetinati, il viso butterato, le unghie delle mani lunghe e nere e una dentatura irregolare per i vuoti, gialla e nera da fumo e assenza d'igiene.
Noi fanti eravamo in tre, un rovigoto basso e con i baffetti neri, un trevisano alto e taciturno ed io friulano che vivevo ai confini con il Veneto.
- " Aspettatemi qui, lattanti ! " - ci disse con disprezzo.
Poco dopo arrivò con una AR, automezzo da ricognizione, la jeep di servizio rombando come fosse ad una gara di formula uno, scese e fece salire il rovigoto alla guida, noi due salimmo dietro con il telo posteriore alzato e lui in parte al guidatore.
Si alzò la sbarra del posto di guardia e lentamente con qualche sobbalzo uscimmo, ci inoltrammo tra le colline del Cividalese, cosi suggestive e variegate, in una sorta di saliscendi morbido e ovattato,punteggiato da vigne ordinate e da boschetti che abbozzavano nei rami degli alberi i primi gonfiori di gemma.
Ci scambiammo al posto di guida, il rovigoto cedette il posto al trevisano e venne dietro con me, con la piccola differenza che il furbo polesano aveva esperienza di guida mentre l'inconscio allampanato non sapeva neanche cosa fosse la frizione. Si guardarono negli occhi, timido e pauroso il trevisano, scocciato e insofferente il sergente, la AR era ferma in una stradina di campagna leggermente in salita, il freno a mano era tirato e partire per uno che non aveva mai provato non era facile.
- " Cosa aspetti?...Parti, intelligentone! " - gli disse con ironia il sottoufficiale, il nostro compagno si guardò intorno, non sapendo cosa fare, ma temendo di chiedere aiuto tergiversò in una agonia da supplizio inquisitorio.
- " Metti la prima, accelera e molla la frizione...chiaro? " - urlò con impazienza, sbattendo un pugno sul cruscotto della jeep, cosi dicendo prese il pomo della leva del cambio e lo inseri nella prima marcia. L'inesperto commilitone aveva realizzato che bisognava prima avviare l'accensione e in uno sprazzo di coraggio girò la chiave, il motore rombò possente, accelerò con forza e mollò la frizione, facemmo un balzo seguito da un sussulto molto violento, il freno a mano aveva impedito di muoversi e spento il motorre.
- " Testa di ...., rammollito, bestia, che cosa combini, ti mando a Gaeta, imbranato cronico..." - gli bestemmiava contro, insultandolo,denigrandolo,offendendolo, facendo seguire delle manate sulla schiena, noi volevamo intervenire ma le punizioni erano all'ordine del giorno, avremmo sicuramente avuto noie e per il momento sopportammo.
- " Il freno a manoooooo.......bisogna disinserirlo prima di partire, riaccendi e parti, animale senza cervello! " -
Il nostro compagno teneva la testa bassa, al limite del pianto, ma lo stato confusionale doveva averlo paralizzato, il sergente si girò verso di noi, rise additando il nostro commilitone alla berlina in una ricerca di vana complicità.
Pensavo se questa era la disciplina militare...no, questa è l'alienazione di persone urtate nel loro equilibrio! La dignità ci era stata tolta da chi non sapeva cos'era.
Riaccese il motore, sbloccò il freno a mano, accelerò e lascio la frizione, la jeep si mosse con piccoli sobbalzi, e ci avviammo a percorrere quella salitella.
- " Accelera, accelera...facciamo notte, genio! " - disse più calmo il sergente. Il motore in prima marcia aveva un rumore assordante e fuori giri, il volante che stringeva con una morsa da panico zigzagava in una oscillazione ondulatoria fastidiosa, il bordo della strada di ciottoli, aveva una scarpata profonda sul lato di marcia, noi ci aggrappammo ai bordi della AR, pronti a saltar giù se per qualche errore il mezzo avesse sbandato a destra. Il sergente prese il fascicolo con i nostri nomi e lesse la scheda del trevisano che si chiamava Campana, rise, si distese in un ghigno e lo fissò con crudeltà.
- " Cambia, cambia, metti la seconda... Campana, metti la secondaaaaa " - gridò euforico poi con un sadismo d'aguzzino allungò la mano tra le gambe del ragazzo e gli strinse l'inguine in una disgustosa scena, canticchiando a voce alta:
- " La Campana del villaggio...din,don,dan..." - di una nota pubblicità televisiva degli anni settanta. Il nostro compagno subiva tutto senza reagire, senza pronunciare parola, tanto che forse anche lui aveva problemi di equilibrio, io mi ritrovavo umiliato, impotente, disgustato da un comportamento cosi ignorante e insensibile, ma dov'ero finito ? Cercammo di convincerlo che non era il caso di insitere quel giorno con il nostro compagno.
Quando la AR si fermò, andai al volante e feci la mia guida, non evitando insulti e sarcasmi di ignobile fattura. Il giorno era splendido e l'aria pura e profumata di erbaggi, rientrammo in caserma ognuno chiuso nel suo resistere un anno a quella perdita di tempo e pronto a lenire umiliazioni.
Nella branda disteso sulla ruvida coperta grigia, mi interrogavo dove era finito l'entusiasmo di quando avevo chiesto di entrare nei carristi, dove era finito il mio spirito di servizio al paese, in cui credevo, dove era finito il mio ottimismo sul prossimo, in quei mesi in cui in piena notte ci avevano fatto schierare nel piazzale in cerca di un ritardatario, in cui le punizioni vertevano sulla barba poco tagliata, sugli scarponi non pienamente lucidi, sul saluto non teso, sugli ordini di togliere l'erba dai vialetti perchè il tempo passasse.
Forse quella caserma era un angolo buio, dove meglio gli inetti venivano parcheggiati, continuavo a invidiare i miei compaesani nelle forze alpine che invece avevano sviluppato uno spirito di corpo positivo e gogliardico, forse era il segno del tempo, il ruolo stesso che aveva la fanteria d'arresto, il nemico che dovevamo fermare per le prime ore di belligeranza non era più una minaccia, da li a poco la jugoslavia si smembrerà in Slovenia,Croazia, Serbia ecc. e quella caserma obsoleta abbandonata.
Mi rimangono però le amarezze che un ventenne male digerisce soprattutto quando il paesaggio è cosi dolce come quello del Collio e l'occasione per socializzare diventa una lunga trincea di resistenza all'ottusità.
Mi rimane il vento compagno delle notti di guardia a ricordarmi che in quegli anni diventavo uomo, l'odore dell'olio delle armi, le adunate con i scarponi a specchio e una cravatta rossa dei Cacciatori delle Alpi che mi rendeva orgoglioso.

zanin roberto

   
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