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 FERMATE IL FLAGELLO
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zanin roberto
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Inserito - 17/10/2007 :  21:16:18  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
FERMATE IL FLAGELLO

Lontani sono i tempi in cui Roma, avvertito imminente un pericolo, riuniva il senato e investiva di pieni poteri un generale che comandasse le legioni per respingere il nemico.
Siamo all'inizio dell'estate, il 21 giugno del 451 d.c. e l'impero romano d'occidente ha gli anni contati, tra 25 anni, cadrà l'ultimo imperatore Romolo Augustolo, nel 476 d.c.
L'arbitro dell'ennesima invasione barbarica è un magistri militum di origine danubiana, Ezio nato nella mesia inferiore e unico a difendere quello che restava di un impero ineguagliabile. Aveva il compito di fermare e annientare il dilagante e disastroso avanzare delle orde unne nelle Gallie, comandate dall'irrompente Attila.
Le legioni non sono più macchine da guerra infallibili e compatte, sono formate in maggioranza da barbari, sono in numero ridotto e senza la spinta culturale ed etica di un ideale che non sia il soldo.
Eppure qui, tra Chalons e Troyes, nel Campus Mauriacus, nella Gallia, si stavano per scontrare tutte le etnie che formavano l'Europa, nella impossibile impresa di far rinascere una unità imperiale che non abbisognava solo di forza militare ma di un progetto e di uomini che non pensassero al contigente.
Attila con i suoi Unni aveva infiammato con le sue scorrerie mezza Europa, depredando, incendiando, saccheggiando tutto e tutti, Ezio era l'unico che poteva fermarlo, dando unità ad alleanze molto innaturali ma necessarie.
Quel giugno caldo, si era rinfrescato con piogge fisse e da poco placate, la foschia dell'umido, saliva come una ulteriore caratteristica di confusione, lo schieramento filo romano annoverava all'ala sinistra i Visigoti del re Teodorico, all'ala destra i romani comandati da Ezio e al centro i Avari con Sangibano.
Disordinati ed eccitati stavano gli unni con i loro federati, saldi sui loro cavalli piccoli e maculati, vestiti con le loro pelli e sicuri del successo, all'ala destra i Gepidi comandati dal loro re Ardarico, all'ala sinistra gli Ostrogoti guidati da Walamir, al centro il grosso dell'esercito unno e gli alleati in riserva, insomma c'erano tutti i popoli dal Volga all'Oceano Atlantico, in una contesa davvero internazionale,
Attila, radunato l'esercito si arrampicò sopra un carro, lo sguardo penetrante spaziava in ogni angolo della sua armata, le guance rosse e il ghigno satanico lo rendevano tenebroso e infido. Ad un suo cenno si fece lanciare una fiasca di pelle con del vino rosso, tutti ammutolirono, il silenzio si fece grave, bevve avidamente, quasi fosse un rito propiziatorio poi con le mani che spremevano l'aria si appellò ai suoi guerrieri con enfasi:
-" Miei unni, voi siete qui dopo aver conquistato potenti nazioni, non serve che io vi inciti.Disprezzate quella accozzaglia di razze diverse che non hanno il coraggio di affrontarci da sole, essi si sgomentano non anco alla prima ferita ma dalla polvere delle nostre cavallerie! Lasciate che il vostro coraggio si levi e la vostra furia scoppi. Ci sono state promesse molte vittorie, ecco il campo.
Io lancerò la prima lancia contro il nemico chi riposa mentre Attila combatte è un uomo morto ! " -
Un boato lacerò l'aria come il tuono annuncia la tempesta.
La sete, l'arsura caratterizzò subito la battaglia, in cui le cariche impetuose delle cavallerie unne si infrangevano contro le compatte schiere scudate dei Visigoti, in una cruenza da mattatoio.
Gli elmi dalle piccole chiome nere di crine di cavallo, volavano e le lance si conficcavano, il frastuono del ferro si alternava alle grida disumane sempre varie di etnie diverse, le urla squarciavano i verdi pianori, il fango sollevato dagli zoccoli equini esplodeva in una pioggia che si disperdeva negli scudi e nelle corazze. L'attacco unno inizialmente vittorioso contro il centro Alano, trovò tenace resistenza nei Visigoti che spenta la spinta dinamica costrinsero Attila ad una lenta ritirata e a un successivo trinceramento entro il cerchio di carri.
Era la prima volta che gli unni si ritiravano, lo sgomento iniziò a propagarsi, l'insicurezza divenne palpabile. Tempestivamente vennero erette barricate e scavate trincee, sotto una pioggia di frecce e dardi che romani e visigoti scagliavano accerchiando lo stupito Attila.
Ezio era un eccellente comandante e un raffinato politico, non aveva nessuna intenzione di sfruttare la ghiotta occasione di annientare Attila, si sarebbe poi trovato con Alani e Visigoti in posizione di forza. Il suo acume lo indusse a una decisione a prima vista assurda ma invece molto sensata. Dalla sua tenda, pensieroso e preoccupato, fece il punto della situazione, adoperandosi perchè i suoi alleati togliessero l'assedio. Guardava lontani i carri unni incendiati e il fumo si levava alto verso un cielo azzurro, l'odore della battaglia aveva per lui la consuetudine del dovere, un cane randagio si avvicinò e sfinito si accucciò ai suoi piedi, in segno di resa, Ezio sorrise.
I corsi d'acqua si erano arrossati con il sangue versato e un silenzio opprimente si spandeva nella pianura verde e odorosa di foraggi e muschi, i corvi volavano bassi e in quel inizio d'estate un brivido freddo corse nelle menti dei vincitori. La notte calò sulla radura dei Campi Catalaunici e il cielo inscenò una coreografia da avvenimento mistico e misterioso, una scia luminosa color azzurro metallico si disegnava al seguito della cometa di Halley che sottolineava l'avvenimento. I soldati romani consumavano la loro razione di ceci e fichi secchi e a una speciale dose di vino, come premio per la vittoria ottenuta. Oltre il colle i Visigoti radunati, ammiravano chiusi nel loro dolore, le fiamme della pira che avevano inalzato solenne e altissima per onorare la morte del loro re Teodorico, ucciso eroicamente sul campo di battaglia. Luci diverse per per illuminare anni di buio, Ezio certo si sentiva sollevato ma non si illudeva.
Tolse la pressione e lasciò defilare il "flagello" affinchè ritornasse in Pannonia. Un potente nemico era stato fermato ma il futuro non aveva l'ottimismo, ne la speranza di una duratura pace, l'orizzonte si rabbuiava e il magistri militum, non avrebbe attraversato i Fori Imperiali a Roma nel tripudio dovuto al vincitore, come al tempo dei cesari, niente stuolo di schiavi, ne ricchi bottini, ma l'unica consolazione che l'Occidente poteva sopravvivere ancora per un pò, nel disfacimento che in quegli anni corrodeva la romanità.
Tre anni dopo l'imperatore Valentiniano uccise Ezio disarmato, per invidia e un suo consigliere commentò ironico:
- " Ti sei tagliato la mano destra con la sinistra! "-

di Zanin Roberto


zanin roberto

   
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