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 Il Bacaro prima
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rosvita
Villeggiante


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Inserito - 29/11/2004 :  21:42:53  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a rosvita

C’è sempre un limite sottile tra il bicchiere di troppo, quello che ti completerà la sbronza e ti farà dimenticare il resto della serata, ed un bicchiere in meno, quello che ti lascerà ancora abbastanza disinibito per riconoscere uno ad uno i tuoi errori messi in fila eppure sufficientemente distante dall’euforia alcolica per mandarli in malora.
E’ il limite della ragionevolezza, il limbo ovattato in cui le tue capacità sensoriali sono amplificate ma non ancora esaltate, e vedi i colori oltre le forme, senti il fruscio oltre il suono, e le parole hanno un peso diverso. Sono se stesse, le parole, quando sei quasi ubriaco. E’ come se per un attimo esprimessi le massime potenzialità del tuo essere uomo: il massimo che puoi sentire, il massimo che puoi provare, persino il massimo che puoi capire. Tu. Solo tu. Senza le tue fobie, le tue illusioni, le tue conquiste. Solo quello che saresti stato comunque.
Era questo che pensavo ieri, al tramonto, scalpicciando insieme ad una compagnia rumorosa ed altrettanto alticcia, per le vie di Venezia.
Venezia ha una tradizione bellissima, si chiama “fare i bacari”. I Bacari sono le osterie, i locali con pochi posti a sedere, solitamente scalcinati, bui, stracolmi, e assolutamente unici. Non chiedetemi perché li chiamino Bacari, non lo so, e ben venga una spiegazione plausibile, se qualcuno la conosce.
Beh, fare i bacari significa passare in rassegna queste bettole, insieme con un gruppetto di amici, solitamente dopo essersi assicurati di avere già il biglietto del treno per il ritorno. Già, perché nel fare i bacari tutti vogliono divertirsi, e nessuno vuole restare abbastanza sobrio da guidare un’auto. L’unico limite sarà l’ultima corsa del treno.
Ad ogni bacaro il capogruppo ordina un vino differente, e un differente spunciotto.
Si brinda, sempre, immancabilmente, perché un bacaro senza brindisi vuol dire che non c’è amicizia, e allora non ha senso neanche il bacaro. Si degusta, si commenta, si mangia, si osserva la fauna intorno, e poi si esce, nell’umido veneziano, sopra i ponti finalmente accessibili, piccolo branco che smaltisce lievemente il bicchierozzo, il goto, come dicono qui, per poi tuffarsi di nuovo in un altro bacaro, si riordina, si ribrinda, si rimangia, si ricommenta, e ancora fuori, a pochi minuti dal prossimo bacaro.
I bacari sono una tradizione bellissima. Perché chiudono alle 22.00, ed allora ti costringono a conoscere la Venezia più bella, quella del crepuscolo, quella lievemente appannata dall’umidità, illuminata da una luna piena talmente solida che al terzo bacaro pensi che da un istante all’altro cadrà in canale e farà uno splash sordo da sasso gettato nello stagno, la Venezia della gente che sta rientrando a casa, delle commesse dei negozi che abbassano le serrande e vanno a prendere il vaporino, e non chiamatelo traghetto, che quello è una gondola con tanti posti, e fareste la figura da straniera che ha fatto la Rosvi. Sono una tradizione meravigliosa perché ti lasciano assaporare gente, luci, vini diversi ad ogni bancone che incontri, le storie di chi li gestisce, la gente che li frequenta, le poesie veneziane appese ai muri, i bicchieri sempre diversi in cui versano il vino, ed ogni osteria deve stampartisi bene in mente, perché sono solo tasselli di una avventura unica, ma imprescindibili dal senso dell’insieme. Meravigliosa perché ad ogni bacaro c’è un brindisi nuovo, e tu sei costretto ogni volta a passare in rassegna tutta la tua scala di valori, e trovare qualcosa per cui valga le pena brindare, e mano a mano che i bacari aumentano ti accorgi che davvero, i motivi sono innumerevoli.
E soprattutto i bacari sono un’avventura meravigliosa perché ti costringono a riconoscere e vivere coscientemente ogni stadio della tua euforia alcolica. Le poche decine di metri che dividono un bacaro dall’altro, un vino dall’altro, un cagnoletto da un biscotto al burro, in realtà altro non sono che l’occasione unica di ritrovarti per pochi istanti faccia a faccia con te stesso. Lieve ed ottimista come puoi essere. Intraprendente e risoluto come vorresti essere. E soprattutto chiaro, chiaro con te stesso. Con il tasso alcolico abbastanza elevato da screpolare i tuoi filtri personali ma ancora sufficientemente contenuto per permetterti una valutazione concreta.
Veloce, però, perché il prossimo bacaro potrebbe essere il bicchiere di troppo, ed allora ciao coscienza, ciao chiarezza, e forse ciao pure venezia…
Questo pensavo, ieri sera, oltre il crepuscolo, mentre guardavo le mie Reebok scalpicciare il pavimento grigio delle strade di Venezia, accaldata nel mio piumino tra il capogruppo e i ritardatari, seguendo le voci degli altri più che una direzione bussolomentricamente concreta. Pensavo che è rarissimo riconoscere il grado di consapevolezza che c’è tra il bicchiere prima e il bicchiere di troppo, e che è una occasione da sfruttare quando ti casca addosso, per parlarsi, riconoscersi, indirizzarsi. Un’occasione breve, da affrontare con allegria e determinazione per sapere davvero chi sei e se vuoi. E poi sono entrata nel quarto bacaro, che evidentemente era quello di troppo.


   
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