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 Il tesoro di Huacan
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luisa camponesco
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Inserito - 25/11/2005 :  17:24:49  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco

Il tesoro di Huacan

Deborah Kerry sfogliava con la massima attenzione il manoscritto risalente al 1520, le pagine erano fragili e nonostante i sottili guanti in lattice c’era il pericolo di rovinarle.
Un mercenario, al seguito di Cortes di nome Pedro Carransa aveva l’abitudine di descrivere tutto ciò che vedeva, ironia della sorte, la pagina portava la data del 25 dicembre. Prese la lente d’ingrandimento e cominciò la lettura.

“La piramide si trova di fronte a me, i guerrieri trascinano i prigionieri catturati in battaglia per condurli al sacrificio. I sacerdoti salgono i centoquattordici gradini che conducono alla sommità della piramide, per portare le offerte al serpente piumato, Quetzalcoal. Il corteo è aperto da Huacan, il grande, che con le mani colme di gioielli segue i sacerdoti. Alcuni schiavi portano ceste colme di mais, patate dolci, e ortaggi, non ho mai visto tanta ricchezza in vita mia. Questa città si estende tutto intorno alla piramide, le case sono dipinte di vivaci colori e alcuni portali in oro massiccio, donne e uomini sono addobbati con collane e pettorali in turchese e pietre preziose.”

Deborah strizzò gli occhi e posò la lente.
- Per oggi ho finito, chiudi tu Hector?
- Ci penso io Debby, catalogo questi due oggetti e poi chiudo il laboratorio. Trovato qualcosa di nuovo? Il Paititi? L’Eldorado? – rise mettendo in mostra denti bianchissimi che risaltavano con la carnagione scura.
- Sarebbe il sogno di ogni archeologo – rispose la giovane stirandosi le membra intorpidite.
Deborah ed Hector lavoravano da anni nell’archivio storico di Città del Messico, il loro affiatamento aveva consentito progressi nella traduzione di importanti documenti, che arricchivano e completavano la storia del Paese.

Nel suo appartamento, Deborah si accoccolò sul divano con una tazza di tè fumante, con lo sguardo accarezzò i testi posati sul tavolino, Prescott con la sua “Conquista del Messico” poi le illustrazioni di Catherwood e Stephens, i suoi autori preferiti. Li aveva letti e riletti e studiati una infinità di volte, sperando di cogliere un particolare che potesse indirizzarla verso nuove ricerche. Posata su di una mensola la fotografia dei suoi genitori, era a loro che doveva l’amore per il suo lavoro, tutto era cominciato molto tempo prima, quando da piccola, l’avevano condotta a visitare le rovine di Palenque Tikal e della prima grande città, Teotihuacàn, poi tutta la penisola dello Yucatan. Fu amore a prima vista, decise che da grande avrebbe studiato quelle civiltà e fatto scoperte straordinarie, aveva realizzato una parte importante di quel suo progetto, ma nessuna scoperta sensazionale.
Si addormentò e sognò di trovarsi a percorrere un sentiero nella foresta, tutt’intorno regnava il silenzio ed era davvero una cosa strana ma non aveva paura l’ombra di un giaguaro la seguiva. Poi la foresta divenne più fitta, quasi impenetrabile, il machete non la scalfiva. Il dolore alle mani la fece lacrimare e solo allora si accorse che non si trattava di vegetazione ma di una costruzione in pietra. Cercò, con le mani, di pulirla per comprendere di cosa si trattasse.
Non era precolombiana anche se, in un primo momento, poteva apparire tale.
“Un falso” pensò, qualcuno si era preso la briga di imitare le costruzioni Maya. Lei non era una sprovveduta, lo aveva compreso subito, ma quello che non capiva era il motivo per cui sorgesse proprio lì, sulla strada per Uxmal.
Si destò con le mani artigliate alla tazza del tè, ormai freddo, e la luna già alta nel cielo. Un doccia le tolse momentaneamente il disagio per l’incubo appena passato, ma quella notte non riuscì a prendere sonno.

- Mmmm Debby, Debby, stamattina hai un gran brutto aspetto – Hector la guardò da vicino – non oso chiederti cos’hai combinato stanotte!
- Ho fatto solo un brutto sogno, nient’altro.
- Hai litigato ancora con Steve? Vuole che tu torni a Tampa?
- Non parlo con Steve da almeno 10 giorni….
- Allora ho buone speranze – disse Hector con voce sommessa.
Deborah gli lanciò una pallina di carta che il ragazzo schivò con una risata.
- Rimettiamoci al lavoro, che è meglio! – Deborah si infilò i guanti e riprese il diario di Carransa

“ho percorso un tratto del mercato, gli uomini discutono di un gioco chiamano pok-a-tok e la palla ulli. Stanno scommettendo sui vincitori i vinti verranno uccisi. Si dirigeranno tutti nella plaza per assistere all’incontro, non mi noteranno se salirò sulla grande piramide….”

Deborah sgranò gli occhi, la lettura si faceva alquanto interessante, si sedette vicino ad una finestra per vedere più chiaramente, la cosa non sfuggì ad Hector.
- Cosa succede Deborah?
- Non lo so ancora di preciso, prima voglio capire!
Si immersero entrambi nella lettura mormorando i passi del diario come scolaretti su di un sillabario.
- Allora ha rubato il tesoro?
- Pare proprio di si Hector! Lo ha nascosto da qualche parte nella foresta, ma… guarda il diario si interrompe qui, l’ultima parola è incompleta! Qualunque cosa sia accaduta non ha potuto recuperarlo.
- Parrebbe che qualcosa o qualcuno lo abbia sorpreso. – continuò Hector - Molto strano! E queste macchie sembrano sangue.
- Le faremo analizzare. – rispose Deborah

La donna chiuse con cautela il libro mentre Hector controllava se il laboratorio fosse disponibile per una analisi. Fu allora che lei lo notò, un leggero rigonfiamento nella copertina di cartone dell’ultima pagina. Pensò all’umidità, ma il diario pareva perfettamente asciutto. Rimise i guanti, qualcosa era stata infilata nello spessore del cartone. Prese una pinzetta e con paziente lavoro estrasse un foglio piegato in quattro parti. Una mappa disegnata con colori vegetali.
Hector la raggiunse.
- Il laboratorio sarà libero stasera dopo le 18, ma cosa stai guardando? Santo cielo Debby questa è la mappa del tesoro!
- Non possiamo darlo per certo.
- Ma certo che è così! Ha disegnato dove ha nascosto i gioielli, sai cosa significa questo? Che da qualche parte, nella zona segnata, Carransa ha sepolto il tesoro di Huacan!
- Andiamo adagio con le supposizioni prima vediamo il laboratorio cosa dice.
- Come vuoi Deborah – Hector si mostrò deluso ma non aggiunse altro.
La telefonata la raggiunse a casa.
- Ho i risultati del laboratorio, il diario è autentico e la datazione esatta. Ho cercato di eludere domande imbarazzanti, cosa vogliamo fare ora? Lasciare ad altri il merito della scoperta?
- Senti, ne parliamo domani - rispose Deborah - troppe emozioni mi stancano, devo riflettere. Chiuse la comunicazione, doveva risposarsi e schiarirsi le idee, la decisione finale sarebbe stata comunque sua, come responsabile dell’Archivio Storico.

La mattina seguente Hector la attendeva con impazienza.
- Allora hai deciso?
- Si! Prepariamo i bagagli!

La jeep era sotto casa, Deborah rimase sorpresa dalla capacità organizzativa del collega.
- L’attrezzatura è già a bordo e qui ho tutte le autorizzazioni necessarie.
- Caspita! Ma come hai fatto ad averle così in fretta?
- Diciamo che ho qualche conoscenza.
I documenti sembravano in ordine con firme e timbri, anche la donna era ansiosa di partire e allora non attese oltre, caricato lo zaino si sedette a fianco di Hector.
Il viaggio era lungo e non privo di incognite.
- Ho tracciato il percorso – disse ad un tratto Hector – stasera pernotteremo a Puebla, poi ci dirigeremo verso la diga di Netzahualcyòtl. Sei d’accordo?
- Ho scelta?
- No mia cara, sei mia prigioniera. – si mise a cantare e la sua allegria contagiò anche Deborah
La regione dello Yucatan esercitava sempre un fascino irresistibile sulla donna che non perdeva un attimo nell’ammirare il verde intenso del paesaggio.
- Vuoi il cambio alla guida?
- No! Guarda siamo sul fiume.
Il Mezcalapa scorreva con le sue rapide e il colore che mutava in continuazione.
- Una sosta?
- Si! Voglio sgranchirmi le gambe – Deborah prese la digitale ed incominciò a scattare alcune foto.
- Faremo rifornimenti a Villahermosa – disse Hector – benzina e vivere, poi saremo lontani da ogni centro abitato. Hai portato la mappa?
- La copia, certo.
- Come la copia?
- Ho messo l’originale in cassaforte è troppo prezioso per rischiare di perderlo.
Hector frenò un moto di rabbia nascondendolo sotto un sorriso tirato. Deborah rabbrividì.
- Meglio andare incomincia a fare fresco.
Non era vero ma un certo disagio incominciava a farsi sentire, non c’era motivo di preoccuparsi, eppure….

La laguna di Tèrminos apparve in tutto il suo splendore.
- Penso sia giunta l’ora di dare una occhiata a quella mappa!
Deborah colse una nota di impazienza nella voce del collega. Estrasse la cartina
- Ecco dovremmo dirigerci verso sud-ovest, c’è un fiume da attraversare….
- Non perdiamo tempo – Hector imboccò una strada di terra battuta, Deborah lo guardò sorpresa era come se accanto a lei ci fosse un altro uomo.

La foresta divenne all’improvviso silenziosa ed impenetrabile.
- Dobbiamo proseguire a piedi – l’uomo prese il machete ed incominciò a tagliare la vegetazione.
- Sono gia stata qua! Ma non ricordo quando!
- Sarà meglio per tutti e due che ti rinfreschi la memoria o rischiamo di perderci.
Più avanzavano e più aumentava la sensazione di un dejà-vu. Incominciò a dolerle la testa. Il machete colpì qualcosa di duro e si spezzò. Hector imprecò.
- E’ una falsa costruzione Maya! – esclamò Deborah
- Allora è vero che sei già stata qui!
- Non so cosa dire. - scosse la testa e per un istante le parve di vedere l’ombra di un giaguaro.
- Dammi una mano a spostare queste pietre!
- No! Aspetta c’è un altro modo. Percorse il perimetro della costruzione, era la quarta pietra partendo dal basso, la spinse con tutte le sue forze finché non precipitò verso l’interno cavo. Altre pietre crollarono scoprendo un cunicolo.
- Che mi venga un…. Ma come facevi a saperlo?
- Non lo sapevo!
- Non importa andiamo a vedere cosa c’è lì entro.
Penetrarono all’interno con le torce, non c’erano corridoi, c’era uno spazio, nemmeno molto grande con al centro una cassa in legno chiusa da una catena di ferro.
- E’ di fattura spagnola, non ci sono dubbi. – disse Deborah dopo averla esaminata.
- Apriamola!
- Non ora, prima portiamola a Città del Messico, la apriremo in laboratorio con tutte le cautele del caso.
- La apriamo ora!
Deborah si dirò di scatto pronta per rispondere…la canna di una pistola era puntata su di lei.
- HECTOR!!!!
- Hector Hernandez per la cronaca e quel tesoro serve alla nostra causa.
- Ma di cosa stai parlando?
- Sto parlando del Chiapas e della sua gente, della mia gente che muore di fame. Ed ora apri quella cassa.
Debora, con le mani tremanti, fece saltare la serratura, l’uomo la scostò brutalmente e sollevò il coperchio. Era lì il tesoro di Huacan portato da uno sconosciuto mercenario secoli prima. Oro, turchesi, perle, tutti di grande valore, Hector ne prese alcuni, li strinse in pugno e li ammirò, Deborah colse l’occasione per guadagnare lentamente l’uscita, l’uomo se ne accorse.
- Dove credi di andare?
Deborah corse nella foresta, i rami bassi degli alberi le ferirono il volto, ma lei non si fermò, lo sentiva avvicinarsi e con esso anche la sua disperazione. L’aveva quasi raggiunta, sentiva il respiro affannoso dell’uomo, inciampò e cadde, lui le fu sopra. Chiuse gli occhi aspettando la fine.
Un miagolio sinistro riempì l’aria, una massa nero piombò su Hector che lanciò un urlo.
L’uomo e il giaguaro lottarono, Deborah si rialzò e riprese la fuga. I rumori si facevano sempre più lontani come le invocazioni di aiuto.
Si trovò fuori dalla foresta, la jeep era là, dove l’avevano lasciata, riprese fiato e si girò per vedere se era stata seguita.

La foresta era nuovamente impenetrabile e fra il verde due occhi verdi la osservarono per un istante.

La scomparsa di Hector Hernandez passò in sordina, ma spiegare la sua assenza dall’archivio non fu facile e per evitare imbarazzi all’amministrazione del Museo si preferì archiviare la storia.

- Ciao Steve, ritorno a casa.
- E poi te ne andrai ancora?
- No!Questa volta rimango con te! – era bello sentire nuovamente la voce dell’uomo che amava.
Caricata la macchina alzò lo sguardo per salutare il luogo dove aveva vissuto per molto tempo. Dall’altro lato della strada, un giaguaro la osservava, un autobus transitò proprio in quell’istante e dopo il suo passaggio il marciapiede era nuovamente deserto. Pensò di aver sognato oppure no, ma, comunque era giunta l’ora di tornare a casa.
Alla fine c’era riuscita, aveva fatto la sua scoperta sensazionale anche se nessuno l’avrebbe mai saputo, ma dentro di sé, gelosamente custodito, il ricordo di un tesoro sepolto nella foresta e protetto da un giaguaro.







Luisa Camponesco

Edited by - luisa camponesco on 25/11/2005 19:57:32

   
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