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 il licenziamento in generale e la riforma Fornero.
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Giusy Melillo
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Inserito - 01/02/2013 :  18:19:07  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Giusy Melillo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Giusy Melillo

IL LICENZIAMENTO IN GENERALE E LA RIFORMA FORNERO.CENNI.

Fonti normative importanti del licenziamento, oltre al Codice Civile, sono lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/70) e la Legge 604/66. Sul tema è in ultimo intervenuta la Riforma Fornero (L. 92/2012) apportando delle modifiche (tra le quali di rilievo vi è stata la eliminazione della reintegrazione obbligatoria nelle grandi aziende, nonché il fatto che il giudice, per effetto di tale riforma, ha maggiore discrezionalità in quanto, non solo decide se licenziare o no, ma pure la tutela da applicare, reale o obbligatoria; i motivi per licenziare non sono stati cambiati dalla riforma, cambiano le conseguenze del licenziamento illegittimo).
Preliminarmente va ricordato che il licenziamento, ovvero il recesso del datore di lavoro, è una delle cause di cessazione del rapporto di lavoro previste dall’ordinamento giuridico. Altre ipotesi nelle quali si può estinguere il rapporto sono le seguenti: 1)scadenza del termine, se trattasi di rapporti che prevedono una scadenza finale; 2)recesso del prestatore di lavoro (c.d. dimissioni); 3)morte del lavoratore (non quella del datore, perché di regola l’attività produttiva continua con chi gli succede nella titolarità della azienda-impresa); 4)accordo delle parti (è il principio civilistico del mutuo consenso- art. 1372 cc - che però trova scarsa applicazione nel d. del lavoro); 5) altre cause di legge (es. il superamento del periodo di comporto); 6) impossibilità sopravvenuta (rispetto alla stipula del contratto, altrimenti esso sarebbe a monte nullo) della prestazione di lavoro (es. sopravvenuta inidoneità fisica) o forza maggiore. Circa questo ultimo punto si ricordi che il contratto di lavoro è collocabile tra i contratti a prestazioni corrispettive: mentre per il diritto civile l’impossibilità di una delle prestazioni determina la risoluzione del contratto liberando entrambe le parti, nel d. del lavoro tale risoluzione non è automatica ma bisogna tenere conto dei divieti di recesso per il datore (es. nella impossibilità dovuta a gravidanza) e comunque è necessario che il datore provveda a licenziare il lavoratore impedito.
La causa più comune di cessazione del rapporto di lavoro è il recesso, che può provenire dal lavoratore (caso in cui si parla di dimissioni) o dal datore di lavoro (ricorre cioè il licenziamento): il recesso è un atto unilaterale recettizio con cui si manifesta la volontà di porre fine al rapporto di lavoro e acquista dunque efficacia nel momento in cui giunge a conoscenza dell’altra parte.
Nel c.c. la disciplina del recesso dal contratto di lavoro, per entrambe le parti, lavoratore e datore, è contenuta negli articoli 2118 (recesso dal contratto a tempo indeterminato) e 2119 (recesso per giusta causa). In pratica, per entrambe le parti è previsto che il recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato possa avvenire con preavviso; mentre se ricorre una giusta causa: si può recedere senza preavviso quando si tratta di contratto a tempo indeterminato, e prima della scadenza quando il contratto è a tempo determinato.
La giusta causa (2119) , che legittima la risoluzione immediata del rapporto (sia esso a tempo determinato o indeterminato), può essere posta a fondamento del recesso sia dal lavoratore che dal datore. La norma fa riferimento ad una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto; di conseguenza tale è da intendersi ogni atto o fatto, riferibile tanto alla sfera contrattuale quanto a quella extracontrattuale, di oggettiva gravità. Dal lato del lavoratore, casi di giusta causa delle dimissioni in tronco sarebbero, per es., la mancata corresponsione della retribuzione, l’aver subito ingiurie o molestie gravi dal datore, o condizioni peggiorative della posizione di lavoro come una retrocessione di inquadramento, il distacco illegittimo. Dal lato del datore, i contratti collettivi in genere prevedono le condotte legittimanti il licenziamento per giusta causa ma tale tipizzazione non vincola il giudice.
Torniamo a concentrare l’attenzione sul licenziamento. Della disciplina del c.c. si è detto. Va anche ricordato che vi sono ipotesi di recesso ad nutum (letteralmente con un semplice cenno), ove cioè non è necessario che il datore di lavoro osservi le generali forme di garanzia sostanziale e procedurale (domestici, lavoratori anziani, ultra65enni con i requisiti pensionistici, lavoratori in prova, dirigenti).
Il licenziamento può essere nullo, ingiustificato, inefficace. Casi di licenziamento nullo sono il licenziamento: 1) discriminatorio (per motivi religiosi, politici, sindacali …), 2) per gravidanza (il divieto legislativo di licenziare va dal concepimento fino ad un anno di vita del bambino), 3) per matrimonio del lavoratore (il divieto va dalle pubblicazioni fino a un anno dopo la celebrazione), 4) per motivo illecito determinante (si pensi ad un lavoratore che ha iniziato una relazione sentimentale con una collega, ed il datore non vuole), 5) verbale, 6)in violazione di legge, cioè se il licenziamento va contro una norma specifica. Il licenziamento ingiustificato , che è annullabile, avviene se fondato su un fatto insussistente o manifestamente insussistente (nel senso che è evidente, rispetto a esso, la falsità delle giustificazioni addotte). Il licenziamento è inefficace , invece, per mancata indicazione specifica dei motivi nella lettera di licenziamento, per omessa procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, omessa procedura di cui alla Legge 604/66.
Quanto alle forme di tutela, in Italia ne esistono due per il licenziamento illegittimo, che sono differenziate dalla dimensione aziendale: 1) la tutela debole o obbligatoria (legge 604/66), che si applica fino a 15 dipendenti, cioè nelle imprese piccole; 2) la tutela forte o reale (art. 18 Statuto Lav.) che si applica nelle imprese medio-grandi, cioè da 16 dipendenti in poi.
Innanzitutto si ricordi che la Legge 604 dichiara espressamente che il licenziamento non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art 2119c.c. o per giustificato motivo. Ciò viene ribadito nella Riforma Fornero. La giusta causa (definita già sopra) attiene anche a comportamenti diversi dall’inadempimento contrattuale se fanno venire meno la fiducia nel rapporto, si pensi all’impiegato di banca di cui si accerti in giudizio l’affiliazione alla criminalità organizzata. Per l’esattezza , esistono la giusta causa contrattuale(c’è un inadempimento) e la giusta causa extracontrattuale (è caratterizzata dal fatto che viene leso l’elemento fiduciario, ossia in questo secondo caso non ricorre un inadempimento contrattuale ma fattori esterni al rapporto di lavoro che lo vanno a sgretolare). La giusta causa non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro e permette il recesso immediato: cioè di recedere prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso quando esso è a tempo indeterminato.I requisiti della giurisprudenza diretti a individuare la giusta causa contrattuale sono: 1)il tipo di fatto, 2)il ritardo, 3)l’elemento soggettivo del lavoratore (che può assumer i connotati della colpa o del dolo), 4) il danno all’azienda.
In particolare, il requisito della volontarietà o soggettivo è molto importante nella valutazione della presenza di una giusta causa e dell’aspetto sanzionatorio: è chiaro che non può esser giustificato il licenziamento di un lavoratore che si assenta a una importante riunione, non per assister a una partita di calcio, ma per esser in ospedale a causa di un incidente grave occorso al proprio figlio. Diversamente, se il datore lo fa, perderà la causa e il lavoratore avrà diritto alla reintegra perché il fatto è pretestuoso.
Il requisito del danno, per la Cassazione è irrilevante, ma la prassi insegna che non è così perché il danno di modico valore attenua la giusta causa (per es. perdo la causa se licenzio una cassiera di supermercato per 30 euro di danno subito).
Inoltre, fondamentale è pure la mansione (per es. si pensi all’uomo immagine di un dato prodotto maschile che sia scoperto come trans: egli è licenziato).
Il giustificato motivo di licenziamento può essere soggettivo o oggettivo.
Quello soggettivo (art. 3 legge 604) è il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ossia fatti e comportamenti colposi del lavoratore , strettamente attinenti al rapporto di lavoro, che, sebbene meno gravi della giusta causa, fanno venir meno la fiducia nel datore, ma permettono l’adozione di provvedimenti disciplinari conservativi. La differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo risiede nella gravità del fatto addebitato al lavoratore, e nelle conseguenze: nel primo caso (giusta causa), il recesso sarà immediato e il lavoratore non avrà diritto al preavviso lavorato, nel secondo svolgerà il preavviso lavorato e avrà diritto alla relativa retribuzione.
Il giustificato motivo oggettivo (art.3 legge 604) attiene a fatti della attività produttiva e della organizzazione del lavoro che possono condurre alla soppressione di un posto di lavoro (es. crisi di mercato, obsolescenza di merce…) , o a fatti del lavoratore ma a lui non imputabili a titolo di colpa e che hanno una ricaduta sulla organizzazione aziendale: è la colpa a differenziare i due casi di giustificato motivo.
Alcuni esempi di giusta causa di licenziamento: rifiuto ingiustificato e reiterato di eseguire la prestazione di lavoro, rifiuto di riprendere il lavoro dopo una visita medica che ha constatato la insussistenza di una malattia, sottrazione di beni aziendali durante la mansione, fatti penali extralavorativi che riguardano il lavoratore e erodono la fiducia del datore, risse, violenze nei luoghi di lavoro.
Alcuni esempi di giustificato motivo soggettivo: abbandono ingiustificato del posto di lavoro, percosse, minacce, assenza per malattia oltre il periodo consentito.
Alcuni esempi di giustificato motivo oggettivo: cessazione attività, fallimento, riorganizzazione aziendale, sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni o carcerazione del lavoratore.
Quali le tutele attuabili se il licenziamento è illegittimo?
La sostanziale novità della riforma Fornero riguarda l’ambito dei licenziamenti illegittimi per le imprese con più di 15 dipendenti.Dunque l’art. 18 dello Statuto dei lav. (tutela reale).
Invece, per le imprese fino a 15 dipendenti (tutela obbligatoria), quasi nulla e' cambiato rispetto al passato e quindi, in caso di licenziamento illegittimo (per insussistenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo) per tali imprese rimane la mera tutela obbligatoria di cui all'art. 8 della l. 604/66 e cioè la facoltà del datore di lavoro di riammettere in servizio il lavoratore licenziato o in sostituzione di risarcirlo nella misura stabilita dal Giudice tra 2,5 e 6 mensilità.
La legge n. 92 del 2012 ha modificato il testo dell'articolo 18. Le nuove norme superano l'automatismo tra licenziamento ritenuto illegittimo e reintegrazione del lavoratore, distinguendo tra tre tipi di licenziamento: discriminatorio, disciplinare ed economico.
Licenziamento discriminatorio: tale è quello determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall'appartenenza ad un sindacato a dalla partecipazione a scioperi ed altre attività sindacali; dal sesso, dall'età, dall'appartenenza etnica o dall'orientamento sessuale. In caso di licenziamento discriminatorio, come avveniva con la precedente normativa, l'atto viene dichiarato nullo ed applicata la sanzione massima: reintegrazione (o "reintegro") con risarcimento integrale (pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi non versati). Le stesse regole si applicano in caso di licenziamento orale (cioè comunicato solo verbalmente), o quando il licenziamento è avvenuto in concomitanza col matrimonio, con la maternità o la paternità.
Licenziamento disciplinare: è il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, esso cioè sanziona una inadempienza o trasgressione del lavoratore. Due le possibili conseguenze sanzionatorie, le stesse per le due ipotesi di licenziamneto: nel caso in cui il giudice accerti che non ci sia stato il fatto contestato, o che questo fosse punibile con una sanzione "conservativa" del posto di lavoro, intima il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore ed a pagargli un'indennità risarcitoria (fino a 12 mensilità); nel caso in cui il giudice accerti che non vi sia stata giusta causa (o giustificato motivo soggettivo), ma per ragioni diverse da quelle che renderebbero possibile la reintegrazione, condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità tra un minimo di 12 mensilità ed un massimo di 24, senza reintegro nel posto di lavoro.
Licenziamento economico: è quello motivato da giustificato motivo oggettivo. Se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l'azienda al pagamento di un'indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell'anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell'azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti. Il reintegro nel posto di lavoro, che prima della Riforma era automatico, in caso di licenziamento giudicato illegittimo, può essere ordinato dal giudice solamente nel caso in cui si provi che esso è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari.

giusy melillo

   
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