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 UN ALTRO INVERNO QUASSU'
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cuocoligure
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Inserito - 20/11/2007 :  00:25:08  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a cuocoligure


UN ALTRO INVERNO QUASSU’


La notte aveva fatto paura a tutti. Mai, in tante notti passate sui monti, spesso all'addiaccio, il tempo era stato così arrabbiato con loro.
La casupola, una volta semplice ricovero estivo per pastori con le mandrie al fresco, sembrava dovesse essere spazzata via e portata a valle da un momento all'altro. Il vento e la pioggia l'avevano flagellata durante tutto il giorno. A sera, un raggio di sole radente squarciò le nuvole da ponente e rischiarò, con una luce dorata e sinistra, il piccolo avamposto partigiano che svettava sulla vallata ancora occupata dai tedeschi. Al breve chiarore, le nubi scure basse e incombenti, sembravano ancora più minacciose. Durante la notte, le minacce promesse alla sera, presero corpo all'improvviso con un lampo, seguito da un tuono che assordò tutti e che spinse dentro un acre odore di zolfo. Era stato solo il primo di una lunga serie, che accompagnò la veglia fin quasi all'alba.


"E' finita l'estate. Ricomincia l'inverno, sarà ancora più duro. Un altro inverno lontano da casa" sentenziò Riccardo, che ricordava bene l'inverno precedente trascorso alla macchia in Val d'Aveto e che era approdato ai primi di agosto sui monti dell'Antola.
"Abbiamo avuto un settembre abbastanza bello, ed ormai ottobre, si sa, porta la pioggia" proseguì di rincalzo Gino.

Matteo non rispose. Continuò a fumare in silenzio.
Le parole dei compagni, però, scavarono nella sua memoria, facendo riaffiorare il ricordo dell'inverno precedente: il freddo, la neve, il vento che fischiava forte e che si insinuava ovunque.
Ricordava anche che l'anno prima, coi primi freddi, aveva pensato a lungo ai suoi anni precedenti. Erano stati anni di vita quasi normale. Anni di guerra sì, ma trascorsi a casa sia pure tra un allarme, una coda con la tessera annonaria ed un controllo dei documenti rientrando a casa dalla calata.
Quello appena passato, l'inverno del '43, era stato un inverno speciale.
Il primo passato fuori casa.
Non si era mai allontanato dalla famiglia, nemmeno per fare il militare per via di quel torace scarso e quelle spalle un po’ ingobbite, e questo, per un ragazzo di vent'anni - nell'Italia imperiale -, era stato più volte motivo di cruccio: "….Chi non è buono per il Re, nemmeno per la….Regina.." era il vanto dei coscritti che a diciott'anni varcavano il portone del distretto e l'uscio dei casini.
Era arrivato sui monti, suo malgrado, dopo essere riuscito a sfuggire ad un rastrellamento fascista. Ogni tanto ripercorreva, mentalmente, quella fuga, l'incontro fortuito con la Nora, staffetta partigiana in Valpolcevera, l'attraversamento dei Giovi e l'incontro con le formazioni partigiane.
Ricordava, spesso, l'esultanza di fine luglio per la caduta del fascismo, le incertezze del proclama della guerra "che continua", le speranze legate all'armistizio che fu solo l'inizio di una guerra più dura e più cruda.
Lui, oltre al fisico, non aveva mai avuto lo spirito guerriero e l'idea di un altro inverno, lassù sui monti, lo rendeva triste ed ancora più taciturno.

"Se riusciamo a mandare via i tedeschi per i morti - come nell'altra guerra -, a san Martino sarò a spillare il vino, che il mio vecchio, forse, avrà fatto anche quest'anno." Disse Gino rompendo il silenzio caduto sul gruppetto dopo le brevi constatazioni sull'inclemenza del tempo.
"Se finirà, verrò con te, ma berrò di quello vecchio, se i tedeschi ne hanno lasciato" rise Riccardo.
"Verrai anche tu o il vino non lo reggi?" continuò, rivolgendosi a Matteo.
"Sì, ci sarò senz'altro, dovessi farmi a piedi da Genova a Mornese." Rispose Matteo, come risvegliandosi di soprassalto.
"San Martino per noi monferrini - spiegava Gino - è una festa importante. La festa che ci concede l'ultimo sprazzo di allegria prima del lungo inverno. Da noi gli inverni sono sempre lunghi."
"San Martino è la festa dei becchi!" scherzò ancora Riccardo, agitando la destra con le dita interne ripiegate.
"Allora sei l'unico che può festeggiare!" proseguì Gino, ben sapendo che né lui, né Matteo erano sposati.

Mentre scherzavano, saltellando per riscaldarsi un po’, il cielo dietro l'Antola cominciava ad albeggiare. Le strisce di argento all'orizzonte erano nuvole che si spostavano verso levante.
Il cielo sopra di loro, come per incanto sereno, mostrava un'ultima stella, prima del giorno. Il forte vento della notte aveva spazzato le nubi.
L'aria era pungente.
Di lì a poco, sarebbero dovuto stare in guardia e spiare le mosse dei tedeschi.
Durante la notte erano poche le azioni lassù. Quasi ci fosse un tacito accordo, complici le difficoltà del terreno, a muoversi solo per gravi emergenze ed entrambi le parti rispettavano la tregua. Alle prime luci dell'alba, però, i contendenti riprendevano la lotta senza quartiere, fatta di rastrellamenti preordinati da una parte e di attacchi improvvisi e veloci dall'altra.

Dalla casupola uscirono Piero e l'americano. Mentre l'americano si stiracchiava accennando a qualche esercizio di ginnastica, Piero prese a lamentarsi anche lui della notte trascorsa.
Aldo, intanto, aveva acceso il fuoco, come faceva ogni mattino, per preparare qualcosa di caldo, per tutti, in cui intingere un pezzo di pane secco.
Cominciava un'altra giornata, lunga come le altre.
Il sole si era fatto strada tra le nuvole, sempre più lontane, ed illuminava, adesso, la postazione inondando di luce l'interno buio e scuro di fumo. Tutt'intorno, la vallata era ancora immersa in una nebbia persistente.
"Qualcuno dovrà scendere a valle oggi." Disse Aldo "Abbiamo finito tutte le scorte e qualcosa si deve pur rimediare per rimanere quassù".
"Vado io col ragazzo" disse pronto Piero, additando Matteo che era il più giovane del gruppo.

Erano appena passate le cinque del freddo pomeriggio, quando Piero e Matteo fecero ritorno. La luce resisteva ormai solo quassù, fra poco il buio, che già si impadroniva della valle, avrebbe cancellato all'orizzonte anche i profili dell'Antola e del Carmo.
Il silenzio che regnava nella postazione cessò per lasciare il posto ad una certa concitazione, che animava tutti quando tornavano i "nostri" con i viveri e, soprattutto, con le ultime notizie. Piero si tolse lo zaino, pesante e traboccante, e si lasciò cadere seduto sul tronco accanto all'uscio, mentre Matteo saliva l'ultima rampa di selciato.
"Brutte notizie!" esordì Piero ancora ansimante per la lunga salita. "Pare che sia saltato un treno di munizioni laggiù a Genova, al porto nella galleria di San Benigno."
"E le chiami brutte!" esclamò qualcuno.
"Ci sono stati tantissimi morti e feriti, non solo tra loro." Continuò Piero con voce più ferma "Durante il temporale di stanotte, … pare che un fulmine, … o chi sa, … non si sa ancora bene come, ma dev'essere venuta giù mezza montagna, …e le case, con tutta la gente. Un vero disastro."
Si erano fatto tutti intorno, silenziosi a queste parole, e tutti, quasi increduli, aspettavano ulteriori conferme alle frammentarie notizie.
Molti di loro erano saliti da Genova ed ogni notizia che proveniva dalla città li rendeva ancora più ansiosi e bisognosi di particolari.
"Giù a Rocchetta è arrivato un dispaccio dai compagni. Abbiamo fatto appena in tempo, prima di partire, a sentire gli ultimi avvertimenti." mentre parlava tirò fuori dallo zaino le sigarette, ne accese una per sé e cominciò a distribuirne agli altri "Gli ordini sono di raddoppiare l'attenzione e di restare sempre all'erta, si teme una ritorsione del nemico a largo raggio, perché la versione del fulmine non è definitiva… e qualcuno sospetta che i nostri… Hanno deciso, perciò, rastrellamenti e ritorsioni più massicci."
Mentre Piero concludeva queste parole, Matteo sudato e rosso in viso, concluse la sua fatica lasciando cadere lo zaino e rimanendo in piedi, incapace di sedersi e parlare per la stanchezza.
"Per me sono stati i compagni della Compagnia, quelli sono svegli, quelli. Non ci stanno, certo, a far minare il porto dai tedeschi." sentenziò Aldo, senza conoscere alcun dettaglio della notizia frammentaria appena data da Piero. Ma era tanta la fiducia che aveva nei compagni portuali che per lui c'era una sola ipotesi: il sabotaggio.
E di sabotaggio si parlò a lungo nei diversi ambienti, anche se la versione ufficiale attribuì la causa della tragedia alla fatalità di un fulmine.

La giornata, ormai, volgeva al termine, l'umidità e l'oscurità della sera si facevano sempre più dense, anche il freddo era più aspro.
Rientrarono lentamente tutti al riparo, dove qualcuno aveva già acceso il fuoco con i rami secchi, tenuti da giorni all'asciutto.
Aldo, intanto, aveva messo il mastello sul fuoco e di lì a poco avrebbe servito un brodo con cavolo e patate appena uscite dallo zaino delle provviste.
Mentre mangiavano, qualcuno cominciò a fare i conti dei mesi passati alla macchia, tra le formazioni partigiane.

Il discorso scivolò poi sulla guerra, sulle circostanze che avevano portato l'Italia ad aggredire la Francia, l'Albania e la Grecia, ma soprattutto la conversazione si spostò sulla fine della guerra diventata ormai guerra fratricida e senza fine.
Tutti aspettavano ormai l'evento che ricacciasse i tedeschi al di là delle Alpi e che permettesse all'Italia di voltare finalmente pagina.
Parlarne, costituiva anche un esorcizzare la paura di un altro inverno sui monti, lontani dalle famiglie, dalla propria attività di ogni giorno ed esposti alle intemperie come l'inverno precedente.
Il più timoroso di un altro inverno di guerra era proprio Matteo, che ad ogni occasione non mancava di palesare le proprie paure "Non ci resisto di certo un altro inverno quassù! Se penso ai geloni dello scorso inverno, mi sento già male…"
"Non ti si può dare torto, ragazzo." intervenne Aldo, che, anche lui, l'anno prima, aveva sofferto tantissimo alle mani ed ai piedi, che si erano dapprima arrossati, per poi diventare paonazzi ed infine esplodere in piaghe umide e sanguinolente, che cercò di curare con foglie di malva, antico rimedio di una zia di sua madre.


Verso sera, l'americano, che era rimasto di sentinella, avvertì un movimento giù nel sentiero che si inerpicava fino a su, a poco a poco nell'ombra della sera cominciarono a delinearsi più nitide due figure che salivano con passo lento e sicuro. Di lì a poco, riconobbe nei due, i compagni partigiani Benda e Nibbio.
Si affacciò nella casupola dicendo: " Abbiamo visite, arrivano Benda e Nibbio, allora qualcosa dev'essere successo!", uscì prontamente, facendosi incontro ai due che sopraggiungevano.
Salutarono tutti e, dopo aver deposto il mitra e tolto lo zaino, si sedettero accanto al fuoco. Nibbio si accese subito una sigaretta, prima di cominciare a parlare, dopo alcune boccate aspirate con voluttuoso piacere, cominciò a spiegare ai compagni " ..ci hanno mandato quassù, perché dopo i fatti del porto si temono nuovi e pesanti rastrellamenti da parte dei tedeschi e dei mongoli, che giù in valle stanno infierendo con barbara ferocia. Il nostro comando teme che questo avamposto possa essere obiettivo importante del nemico, occorre per tanto rafforzare i turni di guardia ed essere pronti ad ogni evenienza!".
Raccontò poi a tutti le poche altre novità che si erano saputo a proposito del disastro di San Benigno a Genova, dove pareva ci fossero stati centinaia di vittime anche tra i civili. Un intero quartiere, nel giro di pochi minuti aveva cambiato la sua stessa geografia.
Tutti avevano ascoltato in silenzio, senza nessun commento. Nemmeno Aldo, lo stesso che poche ore prima aveva sentenziato l'assoluta fiducia nei compagni partigiani che operavano nel porto.
Ai nuovi arrivati fu approntato qualcosa di caldo e subito dopo fu deciso il turno di guardia.
Turni da due ore e due persone per volta.

Alle prime ore del nuovo giorno toccò a Matteo con il nuovo arrivato Benda. Entrambi vent'anni, due vite parallele molto diverse, che, ironia della sorte, la guerra aveva accomunati in un destino che né l'uno, né l'altro avrebbe potuto immaginare. Familiarizzarono subito. Si fecero le prime confidenze, Benda seppe del dispiacere di Matteo quando lo riformarono alla visita, e Matteo della rabbia di quando al Benda toccò partire militare, interrompendo gli studi di medicina, nonostante le assicurazioni e l'intervento di un pezzo grosso, che avrebbe dovuto garantirgli l'esonero.
A vent'anni ci si intende subito e meglio. La maturità porta alla riservatezza, non disgiunta dalla diffidenza.

Man mano che i giorni passavano l'amicizia tra i due ventenni diventava sempre più forte e le confidenze più intense.
Le donne, i progetti, le speranze, ma anche le paure e le difficoltà di tutti i giorni, erano le cose di cui parlavano più sovente.
Matteo, quasi come in una litania, "non voglio restare un altro inverno quassù" ripeteva spesso. Benda ascoltava e pensava che, oltre al desiderio, quella litania fosse anche un esorcizzare la paura dei disagi che l'inverno di li a poco avrebbe portato.

Dopo qualche settimana, quando le cose sembravano aver ripreso il solito tran tran che aveva caratterizzato buona parte dell'estate, una mattina alle prime luci dell'alba furono svegliati di soprassalto dall'allarme dato da Gino, con l'americano.
Dalla valle stava salendo, preceduto da una coppia di cani alla catena, un gruppo di una diecina di tedeschi che procedevano guardinghi e con i mitra spianati.
In un attimo furono tutti fuori, con armi e munizioni. Aldo impartì l'ordine di prendere le postazioni, precedentemente assegnate, e di aspettare gli ordini prima di aprire il fuoco! I tedeschi intanto avanzavano ed era, ormai, già possibile distinguere il gruppo di appartenenza e captare il vocio diverso dal tedesco.
Non c'erano ormai più dubbi, i mongoli cosacchi aggregati ai tedeschi e che imperversavano da alcuni mesi in Val Borbera, stavano per raggiungere l'osservatorio e stanarne gli occupanti.
Trascorsero alcuni minuti, interminabili, nell'attesa che Aldo desse il segnale. Si aspettava quel segnale per far cessare il panico che prende ogni volta in cui si deve superare una prova, indipendentemente dalla difficoltà, figuriamoci in questa circostanza in cui la posta è la propria vita.
Quando i mongoli furono a tiro e l'abbaiare dei cani più intenso e rabbioso, Aldo impartì l'ordine di aprire il fuoco.
All'improvviso e nello stesso istante da più punti, come concordato tutti aprirono il fuoco cogliendo quasi alla sprovvista ed in un tratto scoperto il gruppo che avanzava e che adesso si era buttato per terra. Ci furono spari, molto intensi, da una parte e dall'altra. Dopo alcuni minuti, con alcuni corpi immobili sul prato, i mongoli ripiegarono fuggendo all'impazzata per cercare un riparo nella boscaglia. I cani non volevano indietreggiare abbaiando sempre più forte. Aldo impartì il cessate il fuoco, senza tuttavia cessare l'allarme.
Di lì a poco, due o tre cosacchi che avevano tentato l'aggiramento iniziarono ad aprire il fuoco e a correre come dannati verso l'avamposto. Sforzo vano, giacche alcune raffiche di mitra ne frenarono definitivamente la corsa. In questo rapido scambio di colpi, un russo, che sembrava morto nello scontro precedente ebbe la forza di sollevarvi ed aprire il fuoco colpendo Matteo che, come tutti si era girato dal lato da dove provenivano i nuovi spari.
Un colpo solo gli fu fatale!
Un colpo in piena fronte. Un urlo di dolore ed un flebile….."..un altro ..inverno…nooo……".


cuocoligure

   
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