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 La sottile linea
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Renato Attolini
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Inserito - 18/03/2007 :  14:47:51  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
“L’assenza di malattie mentali non implica necessariamente che la salute mentale dell’individuo sia intatta. Come in ognuno di noi esiste una parte maschile ed una femminile, cosi una zona, chiamiamola pure <mentalmente sana> convive con una <mentalmente malata> o se preferite usando un termine più comune <pazza> o per meglio dire alienata. Nella maggioranza degli individui, che mi sia concesso di dire si va sempre più assottigliando, la prima è preponderante sulla seconda, ma ciò non comporta che questa non esista o addirittura <arda sotto la cenere> per rendere meglio l’idea. Immaginiamo per un attimo che queste due zone siano separate da una linea. Ebbene questa linea appunto immaginaria è molto sottile e sempre più spesso avviene che sia oltrepassata. Questo spiega l’assurdità ed in molti casi la nefandezza di certi comportamenti come ci è drammaticamente riportato dalle cronache quotidiane ad opera di persone considerate fino ad un attimo prima <assolutamente normali> o semplicemente <inoffensive>. La psiche umana è un territorio tuttora in gran parte sconosciuto alla stregua di un continente selvaggio: a mano a mano che viene scoperto ci riserva sempre più sorprese. Molto tempo fa Freud vi approdò alla guisa di un esploratore, seguito da Jung che, come ben sapete, ne contestò le teorie, ma entrambi tracciarono delle strade che i loro seguaci, a prescindere dalle diversità delle scuole di pensiero, iniziarono a percorrere. Si è progredito molto, ma altrettanto rimane da compiere e soprattutto da studiare.”.
L’auditorio universitario rimase per un attimo attonito e perplesso ma più che altro soggiogato dalle parole del professore. Poi cominciarono a fioccare gli applausi sempre più forti.
La lezione d’introduzione al corso di psicologia era terminata. Il professor Candiani sistemò i suoi appunti e aspettò che l’ovazione terminasse. Era quello che si dice un bel uomo: 50 anni portati egregiamente, fisico asciutto e muscoloso che lasciava intendere un’attività sportiva frequente, sempre abbronzato, capelli “sale e pepe”, sempre vestito elegantemente nelle sue giacche di tweed e maglioni dolcevita. Era soprannominato “Langdon” in quanto era l’incarnazione vivente del personaggio creato da Dan Brown l’autore de “Il codice Da Vinci”. In effetti, erano molte le analogie fra i due personaggi. Entrambi “single” entrambi “tombeur de femme”, entrambi professori sia pure di materie diverse.
“Adesso tocca a voi” disse Candiani rivolto agli studenti ”Qualche domanda?”
Molte mani si alzarono, ma egli notò sopratutto quella di una bellissima studentessa mora, con un corpo mozzafiato messo in risalto da dei jeans aderentissimi.
Candiani, assolutamente sensibile al fascino femminile le diede la parola.
“Signorina?”
“Professore, quanto lei ha affermato è molto chiaro ed anche intrigante, forse sarebbe meglio dire inquietante. Potrebbe gentilmente approfondire, magari con qualche esempio, quanto enunciato a proposito di questa linea immaginaria che dividerebbe due facce della nostra personalità?” la ragazza terminò la domanda lanciandogli un sorriso.
“Certamente signorina” il professore prese tempo, si schiarì la voce ed iniziò la sua spiegazione.
“Sappiamo tutti, non lo scopro certo io, che in ogni essere umano convivono due aspetti di sesso opposto. Nell’uomo, per esempio, quello maschile è ovviamente quello dominante, ma esiste anche un aspetto femminile relegato nell’ombra. Qualora questo dovesse prendere il sopravvento ecco che potremo trovare una spiegazione all’omosessualità. Non l’unica, ovviamente.”
Un brusio accompagnò le sue parole. Non tutti gli allievi mostrarono d’essere d’accordo, anche perché il tema era assai delicato, coinvolgeva direttamente molte coscienze e si prestava ad equivoci e fraintendimenti.
“Ma” Candiani cambiò immediatamente rotta cercando di riappropriarsi dell’uditorio “se in questo caso le due anime convivono, diciamo, pacificamente e la supremazia dell’una rispetto all’altra non influisce negativamente sulla personalità dell’individuo..” e qui sottolineò il concetto” diverso, certo, ma non negativo, nell’altro caso che vi spiegavo prima le cose cambiano eccome ed è anche evidente. Parlavo di zona <mentalmente sana> o <malata>. Più genericamente si potrebbe parlare di contrapposizione fra il bene e il male. L’eterna lotta….”il suo tono si fece ancora più profondo. Guardò verso i ragazzi che stavano in assoluto silenzio. L’attenzione era totale. Chi di voi non conosce la storia del dottor Jekill e di Mister Hyde? Robert Louis Stevenson ci fornì a suo tempo un esempio illuminante di questo concetto. Ma scommetto che pochi di voi hanno visto il film “Psyco” di Alfred Hitchcock, vero?” L’aula era piena, ma pochissime mani s’alzarono. D’altronde era una pellicola, sia pure una delle più famose della cinematografia mondiale, risalente agli anni ’50 e allora nascevano i genitori di questi ragazzi. Certo, esistevano i “cinema d’essai”, i DVD d’autore ai quali sicuramente si erano rivolti quei pochi che l’avevano visto, ma non si poteva pretendere di più.
“Se anche la maggior parte non l’ha visto avrete certamente presente la scena dell’omicidio nella doccia, di quella tenda che si strappa e del balenare del pugnale. E’ famosissima ed é stata usata in molti spot pubblicitari.”.
A questo punto, parecchi annuirono.
“Nella mente del protagonista di questo film, uno straordinario Antony Perkins, si manifestano due personalità contrapposte fra loro: la sua, l’originale, e quella della madre una figura possessiva e opprimente che ha condizionato la vita di quest’uomo fin da piccolo, rendendolo succube. Alla morte di lei, dissepellisce il cadavere e lo tiene nascosto in casa. Immagina di parlare con lei, come se fosse ancora in vita e lei gli risponde con la voce della donna, solo che è lui a parlare. Per coloro che ascoltano i dialoghi sembrano effettivamente due persone che stanno discutendo fra loro, solo che è sempre il protagonista che parla con due voci, quelle delle sue due personalità in conflitto fra loro. Alla fine trionferà quella più forte, cioè quella della madre.”.
Un brivido percorse l’aula. Nessuno fiatava.
“Ma ancora” proseguì Candiani “cos’è che ci fa oltrepassare questa benedetta <linea>? Qual è l’imput, il “click” dell’interruttore che ci fa compiere questo passo e raggiungere quello che lo scrittore americano Stephen King definì con un’espressione tremendamente efficace <il punto di non ritorno.>? Ebbene si, cari miei, perché una volta oltrepassata questa linea non si può più tornare indietro. La risposta è: non si sa!”
La tensione emotiva accumulata dagli studenti esplose in una risata liberatoria.
Candiani assecondò lo scoppio d’ilarità e poi proseguì appena tornata la calma.
“Se nell’esempio di prima ci troviamo di fronte ad una contrapposizione <indotta>, provocata cioè da un’entità reale, nella fattispecie la figura dominante della madre che ha generato un <alter ego> nella psiche dell’individuo e la conseguente creazione di questa ormai celeberrima <linea>, in altri casi molteplici potrebbero essere le cause. Starà a voi, futuri medici psicologi, scoprirle e porvi possibilmente rimedio. Grazie dell’attenzione e buona serata a tutti.”.
Gli applausi fragorosi coprirono le rimostranze di coloro che volevano ancora porre domande, ma Candiani decise che era giunto il momento di chiudere. Incrociò lo sguardo ammiccante e carico di sottintesi della studentessa che gli aveva posto la questione e per un attimo si sentì ribollire il sangue. Sarebbe stata la sua prossima “preda” o forse lo era lui, ma poco importava il ruolo, in ogni modo ogni cosa a suo tempo.
Si avviò alla sua auto, un possente SUV di colore nero, superaccessoriato. Si stiracchiò, sbadigliando e mise in moto prendendo la direzione di casa, non prima di essersi acceso una sigaretta. Com’era suo solito s’immerse nei suoi pensieri. Si sentiva stanco ma soddisfatto.
Non si poteva proprio lamentare della sua vita. A 50 anni era pieno di energia e vitalità come un ventenne, amava il suo lavoro che non gli lasciava in verità molto tempo libero, ma quel poco lo sfruttava appieno. Aveva da tempo rinunciato all’idea di formarsi una famiglia, ma questo non gli pesava più di tanto. Le gratificazioni e il successo che gli avevano regalato la sua professione lo compensavano di tutto. Il suo modo di fare affabile gli aveva creato un carisma e uno “charme” verso tutti, colleghi ed alunni ma soprattutto come visto…alunne. Era giunto ad un punto in cui si sentiva perfettamente equilibrato e nulla gli sembra potesse mancargli.
Queste considerazioni unite al ricordo di quella splendida fanciulla conosciuta poco prima lo distrassero molto, anche troppo, oltre il lecito consentito quando si guida perciò non si accorse di aver “bruciato” uno stop. Una franata stridente seguita dal suono di un clacson assordante lo riportarono alla realtà. Si ricompose immediatamente e blocco l’auto a pochi centimetri da un coupè sportivo che per un soffio non gli finì addosso e dal quale uscì un giovine con lo sguardo stravolto dall’ira che lo apostrofò violentemente:
“Vecchio rincoglionito ma dove diavolo guardi, non vedi che c’è uno stop?”
Nonostante il comportamento offensivo di costui, Candiani mantenne la calma. Aveva tenuto in proposito dei seminari in cui aveva illustrato come l’aggressività nella società moderna sia in costante e preoccupante aumento e aveva anche suggerito dei metodi per arginarla. Uno di questi cercò subito di metterlo in pratica.
Fece una faccia contrita e con un sorriso gli si rivolse:
“Mi scusi, sono mortificato, non ho proprio visto il segnale.”.
Nove volte su dieci funzionava. Generalmente l’altro borbottava qualcosa e poi se ne andava magari invitando a stare più attenti. Ma non sempre funzionava così e questo pareva il caso.
Il giovane gli si parò davanti e a muso duro gli sibilò:
“Quelli come te non dovrebbero andare in giro. L’ospizio ecco qual é il vostro posto.”
Decisamente questo personaggio non sentiva ragioni e quasi certamente cercava la rissa. Solo che si sbagliava, lui non era tipo da queste cose. Ingoiò l’insulto, anche se un po’ gli bruciava, quasi nessuno aveva mai fatto accenni alla sua età se non in termini positivi, e cercò di defilarsi.
“Va bene, va bene, sarà come dice lei. Adesso mi scusi, ma devo andare.”
Il giovane però non voleva muoversi.
“Te lo dico io dove devi andare, imbecille.”. E cominciò a toccargli il petto con un dito, in modo sempre più pressante.
“Mi lasci stare per favore. Se ne vada, la prego, e non mi metta le mani addosso.”.
Cominciava ad innervosirsi ma come nella sua abitudine mantenne il controllo.
“Se no, cosa succede?” continuò il giovinastro con tono sempre più beffardo.
Candiani arretrò cercando di divincolarsi, ma questi lo spinse violentemente. Urtò all’indietro la sua autovettura e cadde per terra battendo la testa. Si rialzò dolorante intanto che il suo avversario rideva sguaiatamente.
La vista gli si annebbiò per un attimo, poi partì all’attacco. Il suo ginocchio colpì all’improvviso il basso ventre del ragazzo che non s’aspettava quella reazione. Sorpreso e dolorante si piegò in avanti e Candiani ne approfittò per sistemargli una testata in pieno volto. Un istante dopo la sua mano tesa (fra le tante attività sportive praticava anche Karatè) s’infranse di taglio sulla nuca del suo avversario che scivolò pesantemente al suolo.
“Ecco quello che succede, idiota!” gli urlò. Ormai era fuori di sé e non si fermò. Cominciò a colpirlo con dei calci allo stomaco ed alla faccia mentre le grida del giovane da strazianti si fecero sempre più deboli.
Quando la nebbia si diradò dalla sua mente, solo allora comprese la gravità della situazione. Davanti a se giaceva il corpo immobile di una persona ricoperta del suo stesso sangue. S’inginocchiò accanto a e cominciò a scuoterlo, sperando con tutto il suo cuore di sentire almeno un gemito. Niente. Gli avvicinò le dita alla gola temendo il responso di quel consulto: ancora niente. Neanche un piccolo palpito. Ormai non c’erano dubbi: aveva ucciso un essere umano. Le giustificazioni che cercò di darsi furono spazzate via come delle foglie durante un tornado e l’orrore per il misfatto compiuto prese il sopravvento. Si guardò intorno: la zona era abbastanza deserta e nessuno passava in quel momento. Balzò sulla sua auto e partì sgommando. Guidò in modo forsennato fino alla sua abitazione. Si fiondò al mobile bar e trangugiò d’un fiato un bicchiere colmo di whisky. Non era avvezzo al bere, ma in quel momento non era un vizio ma una necessità. Se ne versò un altro che fece la fine del precedente e poi si buttò esausto sul divano prendendosi il viso fra le mani. Cercò di ricomporsi e di analizzare i fatti, decidendo il da farsi. Ma più il tempo scorreva e più si sentiva confuso. L’unica cosa che gli veniva in mente era che alla prossima lezione avrebbe potuto portare il suo esempio personale a esemplificazione dei concetti spiegati poche ore prima all’Università. A dire il vero gli sembrava che più che ore fossero passati mesi. Rimase in stato di “tranche” per un periodo che non gli riuscì a quantificare. Forse si era addormentato e quel trillo insistente che sentiva lontano mille miglia era la sveglia mattutina…..o magari no. Quando si rese conto che suonavano alla porta si alzò come un automa ed andò ad aprire. La vista di due uomini in divisa lo lasciò indifferente. Erano poliziotti o forse carabinieri. No, erano due agenti della polizia francese, i “flic” come li chiamavano comunemente. Li aveva visti durante i suoi numerosi viaggi a Parigi. Aguzzò la vista e scosse la testa, come aveva fatto a non riconoscerli: erano due uomini della MP Militar Police americana e lui era in Vietnam, doveva aver combinato qualche marachella dato che erano venuti a cercarlo. Accidenti a me, si disse, perché mai sono andato in quel bordello di Saigon. Ecco il risultato.
“Accomodatevi ragazzi” disse a quelli che, in effetti, erano due carabinieri. La sua mente cominciò ad entrare in una spirale vorticosa. L’immagine della bellissima studentessa universitaria si stagliò nitida per un attimo.
“Professore può spiegare meglio quello che è successo?” la ragazza gli sorrideva.
“Professore…professore!” era adesso il carabiniere più anziano che lo stava chiamando.
“La linea….ho oltrepassato la linea!”
I due si guardarono in faccia e quello più giovane commentò:
“Sta facendo il furbo questo qui!”
L’altro scosse la testa. Durante i suoi numerosi anni di servizio aveva imparto a riconoscere un criminale incallito da uno occasionale alla prima occhiata. E questo sembrava proprio il caso.
“Professore, dovrebbe venire con noi al comando!” gli disse cortesemente.
“La linea….ho superato la linea. Ecco la spiegazione di tutto” continuava a ripetere inebetito, quello che una volta era lo stimato, rispettato ed ammirato professor Gabriele Candiani, docente universitario di Psicologia.
“Professore, sta bene?” gli chiese allarmato il carabiniere anziano.
Per un momento sembrò destarsi.
“Non molto, agente. Non molto.”
“Venga con me, professore” Il militare lo prese dolcemente per un braccio e poi rivolto al collega più giovane gli disse:
“Sarà bene chiamare un’ambulanza.”


   
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