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 Sulle note di un vecchio refrain
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luisa camponesco
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Sulle note di un vecchio refrain

La cenere della sigaretta cadde sul tavolo, lo pulì con la mano facendola cadere a terra. Avrebbe dovuto smettere di fumare, ma quel sottile cilindro bianco riempiva i vuoti della giornata. Questi vuoti erano diventati sempre più ampi nel corso degli anni. Lo specchio del tinello, stile anni ’50, rifletteva l’immagine di un uomo dai capelli bianchi, vecchio dentro e vecchio fuori. Il ticchettio della pioggia contro i vetri conciliava il sonno, si appoggiò allo schienale della poltrona e con gli occhi socchiusi osservò il fumo sottile salire verso il soffitto, e, come per incanto, nella sua mente, il motivo di una vecchia canzone si insinua sottile fra i ricordi.

C'eravamo tanto amati
per un anno e forse più,
c'eravamo poi lasciati...
non ricordo come fu...
ma una sera c'incontrammo,
per fatal combinazion,
perché insieme riparammo,
per la pioggia, in un porton!

°°°°

Adelaide Giacomelli, con movenze graziose, allestiva la vetrina del negozio di modisteria con cappelli all’ultima moda. I riccioli biondi incorniciavano un viso grazioso, aveva appena esposto un cappello da sposa con veletta, quando i suoi occhi incontrarono lo sguardo di Cesare Benvenuti.
L’uomo, col bavero alzato, i capelli bagnati dalla pioggia, aprì la porta e un campanellino annunciò il suo ingresso.
- Posso esserle utile? – chiese Adelaide
- Si grazie. Mi servirebbe un cappello impermeabile, io non amo portare ombrelli preferisco avere le mani libere.
- Credo proprio di poterla accontentare. - Adelaide si portò dietro il bancone e vi scomparve sotto per qualche istante per poi riapparire tenendo fra le mani un voluminoso scatolone.
- Sono arrivati proprio stamattina.
Ne estrasse alcuni modelli di vario colore e forma.
– Sono tutti adatti per le giornate di pioggia, non passa umidità glielo garantisco. Perché non ne prova qualcuno? Là c’è lo specchio!
La conversazione prese a scorrere assumendo, man mano, note sempre più allegre. Cesare provò tutti i cappelli e più di una volta.
- Sono indeciso li prenderei tutti, lei cosa mi consiglia?
- Ne prenda due, uno per il lavoro e uno per i giorni di festa.
- Farò di meglio, ne prendo sette, uno per ogni giorno della settimana.
L’espressione stupita di Adelaide lo fece ridere di gusto.
- Non credevo di riuscirci ancora.
- A fare cosa? – chiese Adelaide.
- A ridere. In questa mezz’oretta non ho pensato a nulla, ho lasciato fuori dal negozio tutti i pensieri e adesso mi sento bene. Devo ringraziarla.
- Io non ho fatto nulla! - Adelaide cercò di nascondere il lieve rossore chinando il capo, intenta ad incartare i cappelli venduti.
- Mi chiamo Cesare. – disse ad un tratto tendendole la mano.
- Piacere Adelaide.
Nessuno dei due, in quel momento, avrebbe immaginato quel che sarebbe accaduto in seguito. Quella sera Cesare l' attese alla chiusura del negozio.
- Buona sera Adelaide – sollevò il cappello in segno di saluto – le andrebbe una cioccolata calda?
Cesare non attesa una risposta e, presola per un braccio, la pilotò nel vicino bar. Il profumo del caffè e il tepore dell’ambiente erano invitanti e Adelaide si sentì improvvisamente felice.
In un angolo era collocato un pianoforte e un uomo suonava e cantava.

Ed io pensavo ad un sogno lontano
a una stanzetta d'un ultimo piano,
quando d'inverno al mio cor si stringeva...
...Come pioveva ...come pioveva!

- Sarà la nostra canzone – Cesare lo disse sottovoce e Adelaide sorrise.

Attenderla ogni sera all’uscita dal negozio divenne per Cesare una dolce abitudine, come la tazza di cioccolato fumante presa in quel piano bar.
Entrambi attendevano le ore19 per trascorrere insieme preziosi minuti a parlare della giornata e condividere, in questo modo, un momento tutto loro.
Nessuno dei due, però, osava manifestare i propri sentimenti, la parola amore non fu mai pronunciata. Le loro conversazioni, pur essendo allegre e scherzose rimanevano sempre sul generico anche se il loro sguardi dicevano ben altro.
Una sera tornando a casa Cesare trovò i suoi genitori tutti eccitati, la tavola imbandita come per le grandi feste.
- Cosa succede?
- Non vogliamo rovinarti la sorpresa, aspetta e vedrai.
Un profumo invitante di arrosto proveniva dalla cucina, mescolato a quello di una torta appena sfornata.
- Abbiamo ospiti?
I genitori si scambiarono un sorriso complice ma non gli risposero.
Il campanile della chiesa scoccava le 21 quando bussarono alla porta, la mamma di Cesare si tolse il grembiule e si ravviò i capelli con le mani, mentre il signor Bartolomeo, il padre, andò ad aprire.
I gridolini di saluto allarmarono Cesare, un oscuro presagio si impadronì di lui.
- Cesare ti ricordi di Amelia Martinelli?
Amelia gli rivolse uno smagliante sorriso, bella ed elegante lo prese sottobraccio con disinvoltura.
La cena fu un successo per la madre di Cesare che aveva preparato con cura le portate, e nessuno riusciva a sottrarsi allo sguardo magnetico di Amelia.
- Domani sera sarete miei ospiti! – impossibile dirle di no.
Quella fu la prima sera che non vide Adelaide, la prima di molte altre.
Il fascino magnetico e il modo brillante di esprimersi facevano di Amelia una donna irresistibile.
- Dovresti valorizzarti maggiormente Cesare! Sei un bravo ingegnere, potresti fare carriera, io conosco le persone giuste.
Non seppe esattamente quando la situazione gli sfuggì di mano. Si trovò in un ufficio nuovo, tutti lo ossequiavano e per festeggiare la promozione cenò con Amelia.
Quanto bevve quella sera, tanto da non rammentare nulla tranne il fatto che al mattino si trovò nel letto accanto a lei.
Da quel momento in poi le cose precipitarono e, come un fiume in piena lo travolsero. Amici nuovi, casa nuova, come in un sogno si trovò davanti all’altare.
I primi anni di matrimonio furono felici, almeno così parvero a Cesare, poi sopraggiunse la noia seguita da una certa inquietudine e dai primi screzi. Amelia non voleva figli, avrebbero ostacolato la sua vita sociale e le liti divennero all’ordine del giorno.
Cesare cercava ormai di tornare a casa il più tardi possibile, era il solo modo per evitare infinite discussioni, e così, camminando si trovò davanti al negozio d’un tempo. Ma al suo posto ora c’era una cartoleria. Cesare entrò
- Desidera?
Un uomo di mezza età stava sistemando astucci con matite colorate.
- Non vorrei sbagliare ma un tempo qui c’era una modisteria.
- Non sbaglia infatti. La proprietaria l’ha ceduta all’improvviso anni fa e pensare che gli affari andavano bene, questa è una buona zona.
Acquistò una stilografica e uscì in strada con la sensazione di aver perduto qualcosa di importante.
Quella sera si sistemò nella camera degli ospiti.

Separati in casa, ognuno con la propria vita, si facevano vedere insieme solamente nelle grandi occasioni. Amelia collezionò una serie di amanti e lui si buttò nel lavoro.
Trascorsero anni, quasi non si incontravano più pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto, ma il destino era pronto a rimescolare le carte.
- Ingegner Benvenuti, la chiamano sulla linea due.
Cesare schiacciò il pulsante e ascoltò, dapprima incredulo poi sconvolto da quanto gli veniva detto.

Amelia, pallida in quel letto d’ospedale non apriva gli occhi. Una serie di tubicini la tenevano collegata ad una macchina.
- Non voglio nasconderle la gravità della situazione ma non ci sono molte speranze.
Il medico si strinse nelle spalle con un gesto d’impotenza.
Passò la notte in ospedale, camminando nei corridoi silenziosi, pensando e ripensando agli errori commessi, alle scelte sbagliate. Mentre la guardava si chiedeva cosa l’avesse unito a lei. Passione ambizione ma non amore. Non l’aveva mai amata, questa rivelazione lo fece sentire maggiormente colpevole e il rimorso intollerabile.

Ora la casa gli sembrava ancora più grande e le stanze più buie. La decisione di vendere, di sbarazzarsi di tutto ciò che gli ricordava il passato, gli sembrò un modo giusto per voltare pagina. Gli amici gli furono vicini, lo confortarono, ma in loro compagnia si sentiva ancora più solo. Il lavoro era la sola medicina.

Il denaro non gli mancava e così si comprò la casa che era stata un tempo dei suoi genitori e dove lui aveva vissuto gli anni più belli della sua vita. La sistemò la fornì di tutti confort, fece restaurare anche i vecchi mobili nella speranza di ritrovare, almeno in parte, la serenità di un tempo.

°°°°

La pioggia era cessata, i primi lampioni accesi si riflettevano sui marciapiedi lucidi, Cesare si accorse di aver finito le sigarette allora prese il soprabito e alzato il bavero uscì.

L’aria era più frizzante e fresca dopo quello scoscio, prese a camminare cercando di evitare le pozzanghere e si trovò di nuovo là davanti a quel negozio. Non era più una cartoleria ora era un negozio di elettronica segno dei tempi che cambiano.
- Siamo in chiusura le serviva qualcosa?
Il giovanotto lo guardava con aria seccata, Cesare scosse la testa pensando alla gentilezza di un tempo.
- Cerco un bar, un tempo ce n’era uno da queste parti.
- Oh se è per questo c’è ancora, proprio dietro l’angolo. – Il giovane assunse un’espressione sollevata accompagnandolo all’uscita.

Chissà! No, non poteva essere, erano passati troppi anni. Ma la curiosità fu più forte.

Quando entrò gli parve per un istante di aver aperto una porta sul passato. Si pulì gli occhiali, era esattamente come lo ricordava. Al bancone una giovane donna serviva i clienti e Cesare si sedette su di un alto sgabello.
- Cosa prende?
- Potrebbe aspettare, sa non credo ancora ai miei occhi.
- Scusi ma non capisco.
- Certo lei è giovane, ma io un tempo venivo tutte le sere qui, quando c’era ancora il negozio di cappelli, ma lei non può saperlo.
Infatti la ragazza lo guardava con gli occhi sbarrati.
- Perché non si siede al tavolino?
- No grazie bevo un caffè e poi vado a casa.
- Insisto.
L’espressione della ragazza era decisa e lui non volle contraddirla. Con lo sguardo cercò quello che occupava un tempo, c’era qualcuno, ma volle avvicinarsi ugualmente.
- Permette che mi sieda?
- La donna alzò lo sguardo .
Cesare si sedette lentamente senza staccarle gli occhi, la bocca aperta per lo stupore.
- Tu!
- Ciao Cesare.
- Io..io… - Cesare balbettava
- Posso servirvi qualcosa? – la ragazza era davanti a loro.
- Per me una cioccolata calda.
- Subito zia. E per lei?
- Va bene anche per me. Ma! Ti ha chiamato zia.
- Si, è la nipote di mia sorella, del resto sono troppo vecchia per gestire da sola questo bar.
- Hai comperato il bar? O mio Dio quante cose abbiamo da dirci.
- Il tempo non mi manca ti saprò ascoltare.
La ragazza fece un cenno al pianista. Adelaide e Cesare ora parlavano fitto fitto e, le loro mani si strinsero sulle note di un vecchio refrain.

Ed io pensavo ad un sogno lontano
a una stanzetta d'un ultimo piano,
quando d'inverno al mio cor si stringeva...
...Come pioveva ...come pioveva!



Luisa Camponesco

   
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