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 Permette questo ballo?
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luisa camponesco
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Inserito - 07/09/2004 :  10:35:20  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco
Permette questo ballo?

Seduta nella comoda poltrona dinnanzi al caminetto Karen sferruzzava, il riverbero delle fiamme illuminavano il volto incorniciato da morbidi capelli che il tempo aveva ingrigito, anche se in alcuni tratti si intravedevano ancora ciocche bionde. Il maglioncino che stava facendo era per la sua nipotina, Meg figlia di suo figlio. Sorrise al pensiero della bambina e della gioia che portava ogni volta che veniva a trovarla. Istintivamente lo sguardo si posò sulla mensola accanto, lì c’era tutta la sua vita, in quelle foto i volti delle persone che aveva amato e che amava. Si soffermò sul ritratto posato nel centro, il ritratto di Arnold suo marito sorridente con la sua mazza da golf. Quasi per magia la radio trasmise in quel momento “Smoke gets in your eyes”. Karen chiuse gli occhi e fu come se il tempo non fosse mai trascorso.

Tutto cominciò in un giorno di dicembre del 1955

- Karen sei in ritardo! Sbrigati! Ellen ti stà aspettando.
- Vengo, mamma sono pronta – scese dalle scale con quell’abitino rosa confetto che sua madre le aveva adattato ma che conservava, nonostante gli anni, la freschezza di un abito nuovo.
- Mi raccomando ragazze a mezzanotte a casa
- Tranquilla mamma ci saremo.
Salirono sulla decappottabile di Ellen elettrizzate al pensiero della serata che le aspettava.
- Vedrai Karen quanti bei ragazzi.
- Non vedo l’ora è la prima volta che ho il permesso di uscire di sera.
La sala da ballo era già gremita quando le due ragazze arrivarono, Ellen si guardò attorno.
- Eccolo è già arrivato, non ti spiace vero Karen?
- Figurati – rispose e mentre Ellen andava incontro al suo amico, Karen si diresse verso il tavolo delle bevande.
- Una limonata grazie – poi si avviò in un angolo della sala
Molte coppie danzavano sulle note di “My prayer” dei Platters, evitava di guardare i giovanotti, non voleva apparire sfacciata cercava di darsi un contegno fissando il suo bicchiere.
- Mi permette questo ballo? – sorpresa sollevò gli occhi per incontrare quelli scuri e bellissimi di un giovane uomo in divisa.
- Ecco io…. – non sapeva cosa dire
- Se la disturbo me lo dica
- No certo non disturba – le gote si imporporarono ma gli tese la mano.
- Mi chiamo Arnold
- Karen – lo disse quasi in un soffio
Danzarono tutta la sera, risero, si divertirono raccontandosi aneddoti.
- Scusami, sei in divisa e non ho ancora chiesto nulla di te.
- Sono tornato da poco dalla Corea – un’ombra scura gli passò sul volto mentre lo diceva – in questa città abitava un amico, qui c’è ancora la sua famiglia, avevo una promessa da mantenere.
- Quindi non vivi qui, vuol dire che te ne andrai presto.
- Partirò domani, devo raggiungere il mio reparto
Un’improvvisa tristezza calò su di loro, mentre le mani si stringevano.
- Ma potrei sempre tornare…
- Sarebbe bello – Karen si pentì subito di quel che aveva detto. Uscirono dalla sala, una musica ovattata accompagnava i loro passi, rimasero così a guardarsi, se avessero potuto fermare il tempo… Ellen la chiamò
- Karen è tardissimo è mezzanotte passata da un pezzo.
Karen sussultò, l’amica aveva ragione, guardò Arnold con un senso di smarrimento.
- Devo andare, sono stata felice di conoscerti
Arnold preso un fiore da un vaso vicino glielo lanciò. Passarono mesi, ma quel fiore era ancora lì fra le pagine del suo diario insieme al ricordo di quella sera.
Quel pomeriggio, la ragazza, era di turno alla biblioteca civica e stava sistemando alcuni volumi.
- Ho bisogno di un consiglio e credo che lei sia la persona adatta - proprio la persona adatta, pensò Karen con un certo senso di fastidio.
- Dica pure – continuò senza voltarsi
- Devo ritrovare una ragazza che ho incontrato tempo fa.
Allora di girò di scatto e spalancò gli occhi nel riconoscere Arnold nell’uomo che le stava davanti. Rimase con la bocca aperta
- Salve, ti ricordi di me?
- Oh certamente … - finse di non rammentare il nome.
- Sono Arnold e tu sei Karen, la ragazza che ho sognato ogni notte da quando l’ho conosciuta.
Karen si sentì avvampare, ma per un profondo senso di gioia.
- Come mai di nuovo qui? – chiese – sei venuto a trovare qualcuno?
- Si, te! Ho chiesto di essere trasferito nella base più vicino a questa città e sono stato accontentato – sorrise Arnold mentre con lo sguardo accarezzava la ragazza.
-
Gli anni che seguirono furono indimenticabili, il sentimento che li univa cresceva insieme alla stima, stavano bene insieme.
- L’ amore che provo per te non misurabile è immenso come quel cielo che è sopra di noi – le disse un giorno mentre sdraiati su di un prato contemplavano le nubi.
- Il mio va oltre – lei rispose

Dal loro matrimonio nacquero tre figli, due maschi e una femmina, tutti forti e sani e l’armonia regnava in quella bella famiglia.
Tutto pareva andare per il meglio, i ragazzi erano diventati adulti, Martin, il primogenito si era arruolato seguendo le orme paterne, Nick, invece, era diventato medico e di quelli in gamba, mentre Connie era la socia giovane in uno studio d’avvocati. Non si poteva chiedere di più alla vita per tutta quella felicità. Ma il destino aveva in serbo qualcosa.
Era il 10 di settembre del 1995, nessuno avrebbe più dimenticato quella data. Qualcuno suonò alla porta.
- Vado io caro.
- La signora Webber? – un ufficiale dell’esercito era dinnanzi a lei che si sentì stringere il cuore.
- Sono dolente doverle dire che suo figlio Martin Webber è caduto nell’adempimento del proprio dovere mentre sorvolava la No Fly Zone in Iraq
Non sentì e non vide più nulla, quando riaprì gli occhi si trovò in camera mentre suo figlio Nick con gli occhi lucidi le teneva la mano.
Fu un colpo durissimo, Arnold e cadde in uno stato depressivo. Circondato dall’affetto della moglie e dei figli un po’ alla volta si riprese, ma il vuoto lasciato da Martin era incolmabile.
- Mi raccomando mamma adagio con gli antidepressivi, piuttosto fate lunghe passeggiate o meglio una vacanza. Il cuore di papà non è più quello di una volta. – Nick era seriamente preoccupato e lo era anche Connie.
Connie era sposata e già da qualche anno viveva a Boston, quel giorno arrivò a casa dei genitori tutta eccitata.
- Mamma, papà ho una notizia per voi, ho atteso, volevo essere sicura. Avrò un bambino ed è sicuramente un maschio, Richard è d’accordo con me lo chiameremo Martin.
Karen abbracciò la figlia mentre Arnold rimase silenzioso.
- Papà non sei contento?
- Certo che lo sono figlia mia, come puoi dubitarne - ma i suoi occhi erano colmi di tristezza.

Nel giorno del Ringraziamento tutta la famiglia era riunita, il piccolo Martin strillava a più non posso e Nick aveva presentato ufficialmente la sua futura moglie anche lei medico. La giornata era trascorsa serena, si sentiva nuovamente il calore che aveva sempre unito la famiglia. Alla sera dopo aver sistemato la cucina Karen si sentiva stanca.
- Io vado a dormire Arnold non fare tardi mi raccomando hai bisogno di riposo.
- Guardo un po’ la tv e poi ti raggiungo.
Ad un’ora imprecisata della notte si svegliò, e si accorse che Arnold non era accanto a lei, preoccupata scese nel soggiorno, la tv era ancora accesa e il marito seduto in poltrona.
- Arnold sono le due, non ti sembra ora di andare a letto? – si avvicinò alla poltrona, il marito aveva il capo reclinato, gli occhi chiusi e le labbra atteggiate a sorriso, in grembo le foto di Martin e del nipotino.
Karen lo accarezzò, posò le labbra sulla fronte e gli sussurrò “arrivederci” mentre il cuore gli si
spezzava.

Quanti bei ricordi in quelle foto, pensò sospirando. Posò il maglioncino ormai finito lo ammirò per un istante. Si, era sicura a Meg sarebbe piaciuto, si avvicinò alla mensola e con la mano le sfiorò tutte le cornici, poi si ricordò del diario che teneva quand’era ragazza, si diresse verso la libreria tese il braccio, fece uno sforzo era molto in alto, ma voleva sfogliarlo nuovamente.
Finalmente riuscì, eccolo nelle sue mani, picchiettò sulla copertina per togliere un po’ di polvere e poi lo aprì. Il fiore era ancora lì, fra quelle pagine oramai ingiallite, le parve perfino di sentirne il profumo.
Una fitta lancinante alla tempia, il diario le cadde dalle mani, il fiore si sbriciolò, poi una seconda ancora più forte.
Tutto divenne nero…

Non aveva mai sentito quella musica soave e mai visto quell’immensa sala, fra le sue mani un fiore freschissimo. Piroettò su se stessa l’abitino rosa confetto si gonfiò come un palloncino, si sentiva felice
…ed infine quella voce calda, suadente e tanto amata che le mormorava
- Permette questo ballo?









   
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