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Roberto Mahlab
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Osem

Cominciai a parlare con Eti, di me, del mio lavoro, della mia vita, dei viaggi, dei popoli che avevo incontrato e in cui riconoscevo tradizioni simili alle nostre e lei comincio' a parlarmi del suo nuovo lavoro che non la soddisfaceva e soprattutto del suo studio della Torah, al di la' del mondo, che la rasserenava, ci avvicinavamo alla citta' vecchia e non dovevamo avvicinarci di piu' tra noi, la tradizione non permetteva che rimanessimo da soli. Si fermo' ad un incrocio per far salire l'amica che aveva invitato, una sorridente e simpatica ragazza di nome Osem che ci racconto' con occhi assonnati ma allegri della sua pienissima giornata e della lezione che doveva tenere all'indomani all'universita' e del tempo che non aveva per prepararsi, ma ne' Eti ne' io le chiedemmo perche' era allora li' con noi, ci avrebbe accompagnato senza lamentarsi e spesso Eti avrebbe parlato con lei del suo lavoro, della sua vita, delle sue speranze, dei suoi incontri, della sua ricerca di risposte nella religione e dei suoi vuoti nuotando in quel mare cosi' pieno a cui desiderava ritornare e che avrebbe desiderato trattenere come scudo affinche' le riapprisse la finestra sul mondo da cui si era sentita estranea, ma non poteva parlarne direttamente con me e io la ascoltavo mentre ripeteva una seconda volta all'amica parole che le aveva gia' detto. Dieci volte attraversammo a piedi il lindo quartiere armeno per cercare la strada verso quello ebraico e il Muro del Pianto, dieci volte Osem stremata ci sorrise e ci incoraggio' ad andare avanti mentre raccoglieva le nostre parole nelle stradine di mattoncini in pietra colorata, tra le genti di ogni colore, e le dirigeva di volta in volta verso chi dovevano arrivare.

Attraverso di lei parlammo di profumi e di mondi e io cercavo la scia di Eti, ogni volta pareva allontanarsi finche' anch'io capii e smisi di parlarle e raccontai ad Osem, il silenzio che ci avvicinava, parole che guizzavano come folletti luminosi nella notte tra le stradine della citta' vecchia di Gerusalemme, dapprima correvano di fronte a noi, poi si fermavano ad aspettarci dispettose per poi scappare via quando pareva che le stessimo per afferrare con i nostri sensi.

Sotto l'arco che tutti e due eravamo venuti a guardare, cosi' ampio, in pietra chiara, tra edifici cosi' stretti in pietra chiara che non lasciavano fuggire il nostro sguardo, si apriva uno sguarcio verso la valle e le colline illuminate, i quartieri in luce, a sprazzi, come fiori tra il contorno buio del deserto di Giudea e lei disse :"Io sotto questo arco un giorno mi sposero'" e io le dissi che quell'arco ero venuto a rivedere e che anche lei ero venuto a rivedere, le sue e le mie parole come si fossero innalzate dalle pietre del selciato curvandosi in due semiarchi che si unirono come emozioni che cercavano una lingua comune nella luce di quella notte nel centro della citta' vecchia sulla collina di Gerusalemme. Ma non era il tempo di quel foglietto giallo, i tempi in un luogo senza tempo sono giocosi, diversi e timidi.

Si apri' lo spiazzo del Kotel, il Muro del Pianto, cio' che rimaneva del Tempio, sulla spianata piu' sacra di quei luoghi, dove c'era spesso chi pregava che il Cielo desse la pace e talvolta chi pregava che il Cielo ingoiasse il luogo degli altri. Ci dividemmo, era il tempo di Mincha', la preghiera della sera, la tradizione mi guido' verso la parte riservata all'uomo, Eti e Osem entrarono nella parte dedicata alla donna. Il Muro era alto e largo, il colore dei suoi mattoncini di pietra era chiaro come la luce delle lampade e scrissi due parole in un foglietto e lo misi accanto a migliaia di altri in un sussurro della pietra, due sole parole, il piu' profondo dei miei desideri, un miracoloso mistero che conoscevo solo io e chi avesse letto.

Aveva la lunga barba bianca e si avvicino' zoppicando, il vestito e il cappello scuri con le trecce rituali che scendevano dai capelli e mi mise la mano sulla testa e pronuncio' frasi come se fosse il padre che copriva la testa del figlio in benedizione il sabato dopo la preghiera, gli porsi quanto bastava e dopo che spari' lo rincorsi, tra i mattoni del selciato e quelli degli edifici, di nuovo verso il Muro da cui mi ero allontanato e a cui ero ritornato ma lo ritrovai in un giovane, aveva la lunga barba nera e si avvicino' zoppicando, il vestito e il cappello scuri con le trecce rituali che scendevano dai capelli e gli misi in mano il foglietto giallo, perche' mi ero scordato all'improvviso il significato delle parole ed il panico si era impadronito di me, volevo resituirlo ad Eti ed avevo paura di perdere quello che volevo ricordare. Scrissi su un altro foglietto quelle parole, in un'altra lingua e finalmente respirai sollevato, le due ragazze ed io ci ritrovammo per risalire gli scalini dalla spianata verso il centro della citta', un immenso castello, con mura e torri di pietra colorata, e Osem pareva scalare una montagna ed Eti ed io notammo per la prima volta la sua mano ferita e bendata, ma il suo sorriso non mutava, perso e assorto nel suo dolce ruolo.

...continua...



   
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