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luisa camponesco
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La stazione
(Attento viaggiatore al treno su cui sali)

- Si, si, ho capito, ma sono di fretta ho il treno fra dieci minuti ti richiamo quando giungo a destinazione. Ciao ti voglio bene.
Andrea Valenti chiuse il cellulare per dirigersi al binario tre, uno sbuffo di vapore uscito da un tombino lo distrasse per un istante, poi un’occhiata all’orologio e salì in vettura. Cercò un posto vicino al finestrino, controllò di avere il biglietto a portata di mano e finalmente si rilassò. Prese dalla 24ore il quotidiano e s’immerse nella lettura.
Il treno si mosse lentamente anzi quasi in modo impercettibile, Andrea pensò al semaforo rosso e riprese la lettura.
Sapeva per esperienza che quando sfogliava la pagina sportiva era prossimo all’arrivo, ma quando alzò gli occhi vide solo una distesa sterminata di campagna. Una campanello d’allarme incominciò a suonare nella sua testa. Possibile avesse sbagliato treno? Eppure quello era il binario tre. Si guardò attorno e si accorse d’essere solo nel vagone solitamente era pieno di pendolari.
Si alzò, alquanto turbato, alla ricerca di un controllore. Attraversò tre vagoni assolutamente vuoti e, man mano percorreva i corridoi silenziosi l’ansia aumentava.
Finalmente vide qualcuno muoversi al di la della porta scorrevole; allungò il passo.
L’uomo in la divisa grigia e berretto con visiera sulla quale brillavano tre stellette d’oro controllava un elenco.
- Scusi, ma questo è il treno per Bologna?
- Bologna? No di certo!
- Come no! Sono anni che prendo il diretto sul binario tre delle 8 e 30.
- In effetti siamo partiti dal binario tre ma alle 8. 29 e 59 secondi.
- Vuol forse dirmi che per un secondo in anticipo mi sono perso il treno per Bologna?
- È quello che le ho appena detto.
- Oh santo cielo! – esclamò Andrea guardando l’orologio – A quando la prossima stazione?
- Prossima ed unica stazione direi che ci siamo, cinque minuti al massimo.
Poi con garbo salutò con un tocco della mano sulla visiera.
Andrea passò un fazzoletto sulla fronte. Possibile che stesse succedendo proprio a lui?
Il treno rallentò con uno stridore fino a fermarsi, Andrea si preparò a scendere.
Si guardò attorno per capire in quale stazione fosse capitato e lesse il cartellone.

Stazione DiMezzo

A parte la stranezza del nome notò, con stupore, che c’era un solo binario, ma aveva ben altre questioni da risolvere per cui si diresse subito allo sportello della biglietteria.
Dal treno, nel frattempo, scesero una decina di persone tra cui quattro bambini e tutti parevano contenti anzi di più, felici. Un fischio e il treno partì; nessuno era salito.
- Senta io dovrei andare a Bologna, quando passa il prossimo treno?
L’uomo al di là dal vetro portava il medesimo berretto ma con due stellette.
- Il prossimo treno? Un attimo che controllo. – prese una tabella da sotto il banco ed inforcò gli occhiali. – Beh, si, è previsto un arrivo fra un paio di giorni.
- Un paio di giorni? Sta scherzando?
- Signore! – esclamò il bigliettaio avvicinando il viso al vetro. – Le sembra che stia ridendo?
- Mi scusi non volevo offendere, ma dica, prima di due giorni non arrivano treni?
- Oh no, ne arriverà uno proprio fra un’ora.
- Finalmente, ma perché ha detto fra due giorni, se ne arriva uno tra poco?
- Perché non andrà a Bologna.
- E dove è diretto allora?
- Questo non glielo so dire, e adesso mi scusi ma sono in pausa pranzo. – detto questo calò una piccola serranda.
Un dolore sordo e martellante alle tempie assalì Andrea, quale incubo stava vivendo?
Iniziò ad esplorare la zona circostante nella speranza di trovare un altro mezzo di trasporto che potesse condurlo a Bologna, ma quella stazione era l’unica costruzione in mezzo alla sconfinata campagna brulla.
Le voci allegre dei bambini lo distolsero da cupi pensieri e si diresse verso la sala d’aspetto sulla quale campeggiava il cartello con la scritta “Per tutte le direzioni”
No, no, doveva esserci una spiegazione logica. Entrò nella saletta e un profumo di focacce gli procurò una contrazione dello stomaco, si accorse di avere fame.
- Ciao tu dove stai andando?
La bimbetta, manine dietro la schiena lo guardava con curiosità.
- Devo andare a Bologna – rispose Andrea speranzoso. i - Sapete per caso dirmi come posso arrivarci? – chiese agli altri passeggeri - Il bigliettaio ha detto che il mio treno passerà solo fra due giorni.
- Allora vieni con noi! – esclamò la bambina saltellando mentre i genitori si scambiavano uno sguardo d’intesa.
- Ma io devo andare a Bologna.
- Si, ma fra due giorni saremo qui e potrai prendere il tuo treno.
- Nostra figlia ha ragione, venga con noi , ci divertiremo!
- Lui non può venire se non ha il biglietto! – intervenne un altro viaggiatore.
- Ma si può fare un’eccezione…. – la mamma della bambina non si dava per vinta.
- Sarebbe un’ingiustizia – proseguì l’altro. – io e mia moglie abbiamo aspettato un anno prima di avere il nostro biglietto.
Andrea era più confuso che mai, non sapeva assolutamente di cosa stessero parlando e soprattutto a quale biglietto si riferissero. Il mal di testa divenne insopportabile.
- Senta faccia quello che le dico, appena il bigliettaio apre lo sportello andiamo a parlarci. Lei è simpatico a mia figlia, significa che lei è una persona speciale. A proposito mia figlia si chiama Alice. -
Andrea seguì con lo sguardo la donna che andava a sedersi accanto alla figlia, ma le domande che si affollavano nella sua mente rimanevano senza risposte logiche.
- La logica non serve in questo posto! - l’uomo che prima protestava glie si era avvicinato.
- Ma, ma….. – balbettò Andrea, come faceva quell’uomo a sapere cosa pensava?
Il rumore della serranda segnò la fine della pausa pasto del bigliettaio, la mamma di Alice corse a parlargli. Andrea la vide gesticolare, discutere e la stessa cosa faceva l’uomo dall’altra parte del vetro. La sola frase che riuscì a sentire fu “NON E’REGOLARE”. Sul volto della mamma di Alice si disegnò un bel sorriso, segno che l’aveva spuntata.
Un fischio lungo e prolungato preannunciò l’arrivo del treno. Tutti si misero in fila sul marciapiede.
- E’ tutto a posto venga! – La signora prese Andrea per un braccio e lo portò con sé, Alice lo prese per mano quasi temesse di perderlo.

- SIGNORI IN CARROZZA!

Tutti si accalcarono ai portelli esibendo il loro biglietto. Andrea venne trascinato come un fiume in piena e si trovò seduto in una carrozza con al centro un tavolo rotondo attorniato da poltrone in velluto rosso. Alice era più felice che mai e i genitori sorridevano soddisfatti.
- Dove sono tutti gli altri? – chiese Andrea
- Questa è la carrozza rossa ed è solo per noi, poi c’è quella verde, gialla…insomma i colori dell’iride.
- Volete farmi credere che ciascun viaggiatore ha il suo colore?
- Ma certamente. – replicò il padre. – in base ai propri desideri e aspirazioni.
- Volete almeno dirmi dove stiamo andando?
- Ma certo! Nel paese del TuttoSiPuò
Andrea si appoggiò allo schienale della poltrona consapevole che ulteriori domande non avrebbero sortito risposte razionali.

La musica allegra di una banda avverti che la meta si stava avvicinando.
- Siamo arrivati, siamo arrivati! – Alice batteva le mani.

Il treno si fermò con un sussulto e i portelli si aprirono di colpo. La stazione era tutta dipinta di rosa, gente festante accolse i viaggiatori sventolando bandierine, suonando trombette e lanciando palloncini colorati.
Andrea scesa dal treno stordito da tutto quel fracasso.
- E adesso?
- Adesso vieni con noi! – Alice lo prese per mano
- Perché siamo qui?
- Abbiamo quarantotto ore per realizzare quello che ci sta a cuore, un’aspirazione, un sogno, un progetto… - rispose il padre
- Presto, andiamo il tempo vola! – Alice batteva i piedi dall’impazienza.
La stazione si svuotò in un attimo, ognuno prese direzioni diverse, così fecero anche i genitori di Alice.
- Ciao - disse la bimba – fra due giorni sarò qui!
- Ma dove vai?
- Nel mondo dei giochi.
E corse via lasciandolo solo a domandarsi cosa avrebbe potuto fare nel frattempo.
- Cosa ci fa lei ancora qui, la stazione chiude!
L’uomo che aveva parlato portava la divisa grigia e sul berretto aveva un’unica grande stella.
- Io non lo so cosa faccio qui. Volevo andare a Bologna!
- Mi faccia vedere il biglietto! Questo biglietto non le da diritto ad entrare nel paese, dovrà rimanere nella stazione!
- Ma ha appena detto che chiude!
- La chiuderò con lei dentro, ma non si preoccupi troverà tutto ciò che le serve, se saprà trovarlo naturalmente.
Si allontano ridendo.
- Ehi, non può lasciarmi così e poi si spieghi meglio.
- Usi la fantasia ……usi la fantasia.
Uscì da una porta laterale che si chiuse con un colpo secco e diventò tutt’uno con il muro.
Andrea rimase di stucco, quasi incapace di muoversi, due giorni chiuso in una stazione, nemmeno nei suoi peggiori incubi l’avrebbe immaginato, ma qualcosa doveva pur fare ed incominciò a guardarsi attorno.
C’era un distributore automatico di snack e bevande, almeno non sarebbe morto di fame, provò a sedersi su di una panca e la trovò estremamente comoda e persino morbida. Una scritta luminosa indicava il locale dei servizi, non mancava nulla, a parte l’uscita.
Si stese sulla panca con la braccia incrociate sotto la testa, pensando alle parole del bigliettaio: “usi la fantasia!”
La faceva facile lui, era un uomo d’affari non poteva certo trastullarsi con i sogni…però quand’era ragazzo ….
Si appisolò per la stanchezza e per le emozioni della giornata.

Bang …bang…bang

Colpi di pistola lo svegliarono di colpo.
- Ma che diav…
- Muoviti gringo se ti è cara la vita!
Andrea stropicciò gli occhi più volte incredulo, eppure quello che gli stava innanzi era proprio lui il suo eroe d’un tempo: TEX WILLER
-Presto! – Tex Willer gli tese la mano, pallottole fischiavano da tutte le parti. – Salta su! Ci sono addosso.
Non seppe come, ma si trovò in groppa al cavallo che partì subito al galoppo.
Attraversarono il muro come fosse fatto d’aria, per trovarsi come per incanto sulla terra rossa dell’Arizona.
- Dobbiamo trovare riparo fra quelle rocce, siamo in due sul cavallo ci raggiungeranno presto.
Inutile fare domande, Andrea aveva la bocca piena di sabbia e la testa in fumo.
Raggiunsero le rocce, Tex Willer dette una pacca al cavallo che trottò dietro un’altura.
- Scusi, ma chi è che ci spara addosso?
Il ranger sgranò gli occhi.
- Ma come non lo sai? È la banda di Jonny il guercio. La sai usare?
Una colt apparve nelle mani dell’uomo.
- Da questo momento sei il mio vice! – Una stella argentata si materializzò sul collo della sua giacca. Non fece tempo a replicare e subito la sparatoria ricominciò.
- Coprimi, li prenderò alle spalle!
Tex Willer, eroe del west lasciò Andrea solo e strisciò verso un’altura. Ma dovette fermarsi.
- Ti ho detto di coprirmi, rispondi al fuoco.
La situazione si stava facendo rovente, Andrea chiuse gli occhi e, puntando a casaccio la pistola, incominciò a sparare.
A sera era tutto finito come d’incanto.
- Ti sei comportato bene ragazzo. – Tex Willer gli dette una pacca sulla spalla. – andiamo a Carson City, un goccetto te lo sei meritato.
Il saloon era gremito di cow boys reduci dalla recente fiera del bestiame ed ora si godevano i meritati guadagni.
- Vieni, ti mostro l’ufficio, per qualche giorno dovrai occupartene tu, io devo raggiungere l’amico Dakota al passo del Diablo, devo risolvere una questione fra due capi indiani.
L’ufficio dello sceriffo era al di là della strada proprio di fronte al saloon. L’interno era come se l’era sempre immaginato: una rastrelliera nella quale trovavano bella mostre una serie di carabine, i muri tappezzati di locandine con tanto di taglia per i ricercati e la prigione per il momento vuota.
- Non puoi certo andare in giro vestito così- disse Tex Willer indicando il doppio petto grigio di Andrea. – metti almeno il cinturone.
Il ranger si aggiustò il cappello e poi sul suo cavallo lasciò Carson City. Andrea lo guardò allontanarsi, toccò il revolver allacciato alla coscia destra e rientrò nell’ufficio.
Che sensazione stupenda, fare lo sceriffo in una città del west. Mimò alcune mosse da pistolero come aveva visto fare in molto films. In un angolo vide degli stivaloni, pensò fossero più consoni alla situazione che stava vivendo e li indossò, erano perfetti. Alcuni spari provenienti dalla strada e voci convulse lo costrinsero ad affacciarsi sul porticato.
- Sceriffo, presto, stanno assaltando la banca!
Andrea prese un fucile e con passo deciso si diresse verso il saloon.
- Tutti quelli che sanno usare un’arma vengano con me! -
- Sceriffo, quella è la banda dei Fulton non i va di rischiare la pelle.
- In quella banca ci sono i vostri soldi, volete lasciarglieli ?
- Io ho portato una mandria dal Montana e non mi voglio far fregare da nessuno.! Vengo con lei sceriffo!
Uno alla volta i mandriani fecero cerchio attorno ad Andrea in attesa di ordini.
- Molto bene, faremo così: quattro di voi si apposteranno sul lato destro della strada, dietro l’abbeveratoio, quattro verranno con me sul lato sinistro, voglio un paio di uomini suoi tetti, nessuno faccia fuoco senza un mio ordine. Sarà un sorpresa per i Fulton che non si aspettano una reazione e adesso ai vostri posti.
Era come vivere la scena di un film di cui lui, Andrea, era il protagonista. Pervaso da una sensazione mai provata, osservò gli uomini muoversi con agilità mostrando prontezza di riflessi.
Tutti gli occhi erano rivolti verso la banca, la tensione alle stelle in attesa dell’evento finale.
I Fulton uscirono correndo dalla banca con le sacche colme di oro e dollari. Andrea sparò in aria e corse in mezzo alla strada
- IN NOME DELLA LEGGE ARRENDETEVI!
La risposta fu il sibilo di una pallottola. Andrea alzò un braccio e si buttò di lato, i banditi si trovarono sotto fuoco incrociato dei mandriani, inutile ogni tentativo di fuga.

La prigione era al completo, l’intera banda dietro le sbarre. La popolazione di Carson City si complimentò con Andrea, il nuovo sceriffo. Il sindaco propose di erigere un monumento a ricordo di quel giorno.
Però che fatica! Andrea si stravaccò su di un dondolo e si appisolò almeno fino a quando qualcuno non lo scosse con una certa energia.
- Signore si svegli, la stazione riapre.
Il volto del bigliettaio era chino su di lui. Andrea balzò in piedi e si guardò attorno.
- Vuol dire che ho dormito fino adesso?
- Non proprio, mi scusi ma devo aprire le porte il treno sta arrivando.
Andrea, incredulo, guardò l’abito impolverato e la sua 24ore appoggiata sulla panca.
Una folla festante invase l’atrio, tutti volevano raccontare la propria esperienza, Andrea scorse Alice con i suoi genitori, la bambina lo salutò con la mano. Spintonato si trovò sul marciapiede del binario mentre il treno entrava in stazione.
Gli fece uno strano effetto quel ritorno, come svegliarsi da un bel sogno. Se chiudeva gli occhi poteva trovarsi a Carson City e rivivere la straordinaria avventura.
- Potrà tornare tutte le volte che vorrà, le basterà mostrare questo. Se lo è meritato ha dimostrato di saper usare la fantasia - il bigliettaio gli consegnò un cartoncino blu con una stelletta argento. – adesso è meglio che si prepari, stiamo per arrivare alla stazione DiMezzo, la coincidenza per Bologna è già lì.

°°°

Sul taxi che lo portava in azienda Andrea pensava ad una scusa plausibile per il suo ritardo. Come giustificare due giorni di assenza, a dire il vero due magnifici giorni.

Salutò i colleghi e posò la 24ore sulla scrivania.
- Scusate il ritardo ma ho avuto un imprevisto….
- Ma di cosa stai parlando? Quale ritardo?
Uno sguardo al calendario e si accorse di non aveva perso nessun giorno ed essere in perfetto orario.
- Beh, qualcosa di imprevisto ti è capitata. Cos’è quella spilla che hai sul collo della giacca? – chiese un collega.
La stella d’argento di Tex Willer brillava alla luce del giorno .
- Ohh! È solo uno scherzo! – rispose Andrea togliendo la stella ed evitando gli sguardi dei colleghi.
Al termine di una “normale” giornata lavorativa, Andrea rifletteva su quanto gli era accaduto. Aprì la 24ore accarezzò la stella d’argento e il cartoncino blu, chiave d’accesso di quel mondo incredibile.
Sorrise, lo avrebbe usato, sapeva come fare.

Bastava attendere sul binario tre e salire sul treno delle 8. 29 e 59 secondi











Luisa Camponesco

   
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