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 Il racconto di una esecuzione
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 14/01/2009 :  08:11:59  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Il racconto di una esecuzione

I ricordi di Nonna Valeria sono vividi e chiari. Ha vissuto la sua prima giovinezza in un paese della Sicilia. A quei tempi, durante il Fascismo, c’era la pena di morte per i crimini d’omicidio. Esattamente i condannati venivano fucilati nella piazza del paese.
Valeria, in una bella mattina di sole, si trovava a passeggiare con la madre per le vie adiacenti la sua casa, quando udì un trambusto provenire proprio dalla piazza. Mi ha raccontato che allora aveva circa dieci anni e siccome la curiosità è donna, volle trascinare sua madre a vedere cosa stesse succedendo. Quando arrivarono, videro che stavano delimitando tutta la zona centrale della piazza con delle palizzate. Sua madre chiese informazioni ad un compaesano e quello rispose che stavano facendo i preparativi per una fucilazione. La mamma voleva correre via per non assistere, ma Valeria s’impuntò per rimanere e ben presto si ritrovarono bloccate da una moltitudine che premeva contro le palizzate. Loro due erano quasi in prima linea e potevano vedere benissimo ogni cosa. Un drappello di soldati, armati di fucili, marciava avanti e indietro agli ordini di un ufficiale impettito. In fondo alla piazza, contro il muro di un palazzo, si vedeva una sedia isolata e piazzata lì in attesa. Ad un tratto arrivò una camionetta militare e Valeria vide scendere altri soldati che trascinarono un carcerato con le mani legate dietro la schiena. Gli intimarono di sedere a cavallo della sedia e lo fecero mettere con la faccia contro il muro. Si vedeva chiaramente che il poveretto piangeva e tremava. A quel punto il drappello si fermò all’altezza del condannato e, sempre agli ordini dell’ufficiale, i soldati rimasero immobili ai loro posti. Tutti gli astanti erano ammutoliti e un silenzio di tomba gravava sul paese. Qualche ragazzino si era arrampicato su un palo per meglio vedere la scena. Valeria, avendo capito ciò che i soldati stavano per fare, avrebbe voluto scappare lontano, ma adesso non poteva più perché era compressa contro le palizzate e comunque non s’azzardava a muoversi. Continuò a guardare con gli occhi sbarrati, sentendosi terrorizzata.
Il condannato, visto di spalle, destava una pena incredibile. Continuava a piangere e a tremare tenendo la testa bassa, nascosta tra le spalle. I soldati con i fucili in mano, avevano un’espressione strana. Erano pallidissimi e aspettavano gli ordini dell’ufficiale comandante stringendo le mandibole. Quello sembrava invece imperturbabile e teneva il capo eretto con atteggiamento sdegnoso. D’un tratto gridò ai suoi uomini di mettersi sull’attenti e poi di puntare i fucili. Alcuni soldati furono un po’ lenti, allora l’ufficiale ripeté: “ Puntat arm!” Solo quando tutti ebbero eseguito l’ordine, l’ufficiale ordinò: “Fuoco!” Da alcuni fucili partirono gli spari, da altri no, e allora ripeté: “Fuoco!” Il bersaglio fu centrato e il condannato fu scaraventato a terra con tutta la sedia. Aveva le mani sempre legate dietro la schiena e il corpo aveva dei sussulti orribili. Il comandante con fare determinato e feroce, s’avvicinò a quel povero corpo e gli sparò dei colpi ravvicinati alla nuca. Dopodichè ordinò ai suoi uomini di riporre le armi e di marciare dietro di lui, lasciando il cadavere in una pozza di sangue
Valeria aveva osservato tutto tremando dalla testa ai piedi. Ogni tanto aveva chiuso gli occhi. Era abbracciata alla madre ed entrambe erano pietrificate dall’orrore. Vicino a loro si trovava un uomo con il figlio in braccio. Non dimenticherà mai più quel padre che, dando uno scappellotto al figlioletto, gli diceva: “ Vedi cosa succede a comportarsi male?” E quel povero bambino aveva gli occhi sbarrati, la bocca spalancata e non proferiva una parola.
Ma chi mai può comportarsi talmente male da meritare la morte dai propri simili? Chi mai può avere il diritto di togliere la vita ad un altro uomo anche se colpevole di centinaia di omicidi?
Valeria sin da allora aveva capito che la vita non appartiene a noi. Essa è un bene che ci è stato concesso e che dobbiamo difendere. Solo Dio è il padrone della vita e della morte. Cosa c’è di più bello della vita? Forse nulla, e non ce ne accorgiamo quasi mai. Gli uomini spesso vedono solo le imperfezioni della vita. Come in un abito di gran sartoria quando è macchiato. Ci accorgiamo subito della macchia e tralasciamo di ammirare la preziosità della linea. Così è per la vita. Le cose che non vanno le notiamo subito, siamo pronti a lamentarci di questo e di quello e non ammiriamo mai abbastanza l’incanto indescrivibile costituito dal creato.
Il poeta Eugenio Montale ha scritto che ha spesso incontrato “il male di vivere” in un rivo strozzato, nell’accartocciarsi di una foglia, in un cavallo stramazzato al suolo. Ho sempre pensato che bisognerebbe osservare bene il fascino di quel rivo, i colori di quella foglia, la bellezza statuaria di quel cavallo.
Nonna Valeria, nella sua vita, ha insegnato latino e greco al liceo. Mi ricordava che il poeta latino Publilio Siro diceva che la vita è breve, ma i suoi malanni la fanno sembrare lunga. “Bene!” aggiungeva la nonna
“Meglio sopportare tutti quei malanni che accettare che un altro uomo abbia il diritto di toglierci la vita!”


Gabriella Cuscinà

   
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