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 Una mattina come tante altre
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detective Hayes
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Inserito - 21/01/2005 :  23:16:14  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a detective Hayes
Una mattina come tante altre

La sveglia suonò alle sette in punto. Come ogni mattina.
Con la testa ancora nascosta sotto il cuscino, Ray allungò il braccio destro verso il comodino, tastando la superficie liscia fino a trovare quella maledetta rompiscatole ed azzittendola. Cinque minuti, si ripromise, solo cinque minuti e poi si sarebbe alzato. Cinque minuti che diventarono tre quarti d’ora finché qualcosa non gli solleticò il piede nudo.
D’istinto lo ritrasse, gemendo infastidito. Abbozzò un sorriso. Lei lo svegliava sempre così. Una tazza di caffé nero bollente con due cucchiaini di zucchero, come piaceva a lui, e un po’ di solletico. Lo faceva sempre, adorava stuzzicarlo la mattina, quando era ancora in uno stato semicatatonico.
Ma non poteva essere lei. Lei se n’era andata, l’aveva lasciato.
Se ne rese conto con un attimo di ritardo. Un attimo che poteva essergli fatale.
Scattò sul letto, mettendosi seduto ed afferrando la Glock 22, che teneva sul comodino. La puntò davanti a sé. Con espressione sorpresa, uno splendido esemplare di persiano bianco lo guardava con i suoi occhi giallo oro. Piegò la testa e miagolò.
"Maledizione Lizzie, mi hai spaventato." borbottò Ray rimettendosi giù. Lizzie era il gatto della sua vicina. Aveva l’insolita abitudine di inerpicarsi sui cornicioni ed intrufolarsi nel suo appartamento ogni volta che trovava una fessura sufficientemente larga per passare.
Lizzie miagolò ancora, dando segni di impazienza. Voleva del latte. Chissà perché doveva venire fino a lì a recriminare la colazione, si chiese Ray. Si alzò svogliatamente e, prendendo l’animale tra le braccia, si diresse verso la cucina. I raggi di un tiepido sole si facevano largo tra le fessure delle persiane della prima stanza. C’era silenzio, se non fosse per l’insistente miagolio di Lizzie.
"Okay, okay... ho capito. Però piantala di lagnarti." disse Ray. La sua voce era ancora impastata di sonno. Non era il modo migliore per cominciare la giornata. Decisamente.
Dal frigorifero tirò fuori una confezione semivuota di latte, aperta da almeno un paio di giorni, e ne versò il contenuto in un piatto di plastica. Lizzie si avvicinò tuffando il muso nel liquido bianco ed iniziando a leccarlo avidamente. Ray intanto aprì la finestra, finché la serranda non si bloccò a metà della sua corsa. Come al solito. Ray borbottò tra sé. Doveva decidersi a sistemarla, un giorno o l’altro. Spalancò il battente e cacciò fuori la testa. Una sferzata gelida lo investì. Nonostante il sole faceva un freddo cane. Ma d’altra parte era gennaio. Cosa poteva aspettarsi? Si ritrasse imprecando. Non era stata una felice idea affacciarsi con indosso solo una T-shirt e i boxer.
Lizzie lo fissò qualche istante. Sembrava compiacersi della sua splendida pelliccia bianca.
"Sta’ zitto, tu." l’ammonì, dandosi poi dell’idiota. Che stava facendo? Adesso parlava con un gatto?
La signora Thompson, la proprietaria di Lizzie, era intenta a sistemare le piante sul balcone. Salutò Ray non appena lo vide far capolino fuori dalla finestra.
"Lizzie è da te? Non riesco a trovarlo." disse. Ray annuì.
"È qui."
"Oh, scusami… non mi ero accorta che era riuscito a uscire. Vengo subito a prenderlo."
Ray non ebbe il tempo di aggiungere altro. La signora Thompson era già rientrata in casa. Pochi istanti dopo qualcuno bussò alla porta. Doveva essere lei.
"Mi devi scusare..." iniziò la donna. La signora Thompson doveva avere all’incirca l’età di sua madre, anche se sembrava molto più vecchia. O forse aveva oltrepassato la soglia dei settanta. In ogni caso Mary Hayes dimostrava molto meno dei suoi 68 anni, così come Ray, a trent’anni suonati, sembrava molto più giovane.
La signora Thompson era ancora lì, continuava a parlare, senza che Ray riuscisse a darle ascolto. Gli stava dicendo qualcosa su quanto gli ricordasse il nipote, che non vedeva da tanto. Diceva sempre la stessa cosa. Sempre suo nipote Mark che viveva a Los Angeles o chissà dove. Ray annuì, senza aggiungere nulla. Lizzie, intanto, soddisfatto della sua colazione, miagolò fermandosi a guardarli.
"Su, su, tesoro, andiamo a casa… è pronta la pappa." riprese la donna avvicinandosi al gatto. Già, la pappa, pensò Ray. Dopo aver spazzato via mezzo litro di latte quella canaglia aveva ancora voglia di mangiare? Lizzie gnaulò ancora, entusiasta della nuova offerta. La risposta era chiaramente positiva. Ray accennò un debole sorriso. Dopotutto quell’animale gli stava proprio simpatico. Come Ray, d’altra parta, andava a genio a Lizzie.
La signora Thompson finalmente uscì con la sua adorata bestiola, lasciando Ray solo, nel silenzio del suo bilocale. E lui, sentì una fitta al cuore. Lei gli mancava. Gli mancava maledettamente. Ma non poteva farci niente. Lei se n’era andata perché stufa di venire dopo il suo lavoro. E non poteva darle torto. Ma la sua era una missione. Non un semplice lavoro. Era la missione della sua vita.
Si voltò, lanciando un’occhiata all’orologio a parete che aveva appeso la sera precedente, dopo averlo tenuto per quasi due mesi appoggiato sullo scaffale, davanti ai suoi libri di criminologia e psicologia. Finalmente si era deciso a dargli un posto più consono.
Il suo sguardo si fermò sulle lancette, le quali, inesorabilmente, lo informarono che era spaventosamente in ritardo.
Corse in bagno, battendo ogni record di permanenza sotto la doccia. Si rimirò nello specchio il tempo necessario per constatare di aver bisogno di un barbiere. I capelli cominciavano ad essere troppo lunghi. Non aveva una barba particolarmente ispida, per cui gli furono sufficienti poche passate per un lavoro non certo eccellente, ma niente male.
Dall’armadio tirò fuori il suo completo grigio scuro, al quale abbinò una camicia azzurra chiara e una cravatta blu scura. Non sapeva se quell’abbinamento di colore fosse azzeccato. Ma gli importava poco. Non era il tipo che prestava troppa attenzione a quello che la moda imponeva.
Agganciò la fondina alla cintura, assicurandovi la propria Smith & Wesson 4006 d’ordinanza. Sistemò il cellulare nella tasca dell’impermeabile color antracite e afferrò le chiavi della Dodge, uscendo di casa.
Un’altra giornata, come tante altre, stava per cominciare.


Un sorriso, Titty

   
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