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 Fiore d'ibisco
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luisa camponesco
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Inserito - 23/01/2008 :  16:35:27  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Fiore d’ibisco

(Quando l’amore è senza tempo)

La primavera tardava ad arrivare, un marzo così piovoso non lo ricordavano da anni.
Le vette dei monti vicini ancora imbiancate di neve si riflettevano sull’acqua del lago creando sfumature argentee. Il vento del nord portava odore di terra umida e piegava le cime alte dei pini.
Nella casa, immersa nel silenzio ovattato della nebbia mattutina, il fuoco crepitava nel camino diffondendo calore. Dai ceppi si levavano saettanti lingue che creavano una atmosfera carica di mistero, proiettando disegni fantastici sulle pareti della stanza e, il profumo del caffè saliva su per le scale fino a raggiungere la cameretta di Giovanna.
Si stirò le membra, poi uno sbadiglio, ma come si fa a resistere al desiderio di un caffè appena svegli?
Il pavimento freddo e la fece rabbrividire, ma dov’erano finite le pantofole? A piedi scalzi esplorò la stanza ed infine le recuperò a fatica stendendo un braccio sotto il letto poi scese di corsa le scricchiolanti scale di legno.
- Mamma, quando ti deciderai a cambiare caffettiera?
La vecchia “napoletana”, regalo di nozze della nonna, sua madre la usava dal giorno del matrimonio e, nonostante gli anni faceva ancora un buon caffè.
- Nel negozio di Berto ho viste delle belle moka.
- Questa va ancora bene, perché sprecare soldi?
Una battaglia persa quella della caffettiera, Giovanna lo sapeva bene, ma non rinunciava a provarci.
- Siamo a corto di legna!
- Ci penso io mamma.
Scarponi, maglione, sciarpa e guanti e poi via, costeggiando il torrente fino ad arrivare a Fontana Fredda.
Nella valletta vicina la nebbia si diradava mostrando i prati e le prime timide erbette spuntare dal terreno. Giovanna strinse la sciarpa attorno al collo, rimaneva sempre incantata da quello spettacolo nonostante conoscesse ogni angolo, ogni cresta di monte, ma i colori sfumati del mattino erano sempre diversi, sempre nuovi, sempre incantevoli.
Era proprio fortunata ad essere nata in quell’angolo di mondo al riparo da ogni pericolo, in quel silenzio rotto solo dal cinguettio degli uccelli.
Il sole con i suoi raggi faceva brillare, come diamanti, le gocce di rugiada sulle foglie dei castagni. Alcuni ricci, ancora sparsi sul terreno e ormai vuoti ricordavano l’autunno, la sua stagione preferita dopo la primavera. Ma la legna non si raccoglieva da sola, quindi si fece coraggio e ne raccolse quanta le sue braccia ne potevano portare. La baita di Bepi era vicina, avrebbe trovato un carel e trasportato tutto in paese.
Com’era fresca l’aria del mattino, così pulita e trasparente. Un bucaneve, forse l’ultimo della stagione, risaltava nel ciuffo di erba verde, mentre più lontano occhieggiavano le primule.
La legna pesava e anche se la baita era già in vista, Giovanna si sedette a riposare.
Una risata e poi voci di ragazzi che risalivano il torrente, Giovanna si alzò di scatto, un berretto rosso sbucò da dietro una roccia seguito da altri.
- Ho trovato una fata dei boschi!
Tre ragazzi muniti di zaino e scarponi e un po’ di fiatone si lasciarono cadere pesantemente sul prato.
- Ciao! Ti abbiamo spaventato?
Il ragazzo con berretto rosso si avvicinò a Giovanna tendendo una mano.
- Un po’ si, non si vede molta gente da queste parti.
- Come avrai capito non siamo di qui, siamo escursionisti, vogliamo andare sulla Corna Blacca, ma forse non siamo sul sentiero giusto.
- Siete nella direzione giusta, ma vi suggerisco di stare attenti in questa stagione il tempo cambia improvvisamente e la nebbia può nascondere crepacci.
- Tu sei di qui vero?
- Si, vengo dal paese sono venuta a far legna.- Indicò quella che aveva raccolto.
- E vorresti portarla da solo in paese?
- Mi basta raggiungere la baita laggiù, caricherò la legna su di una specie di carretto.
- In questo caso ti diamo una mano a portarla. Ehi ragazzi! Diamole una mano e magari raccogliamo ancora un po’ di legna.
L’idea piacque e si misero all’opera, ridendo, scherzando, forse sollevati al pensiero di ritardare la salita in montagna. Con le braccia cariche si diressero verso la baita pregna di un odore pungente di legno e muschio.
- Ragazzi questa è vita. – Il giovane col berretto rosso allargò le braccia e respirò profondamente. – Scusa non mi sono ancora presentato, io mi chiamo Flavio e loro Federico e Gianluca.
- Ehiii, ma sta piovendo!
- Ve lo avevo detto che qui il tempo cambia improvvisamente.
Una pioggia lieve cadeva rendendo il prato brillante. I ragazzi da dentro la baita, osservavano in silenzio quello spettacolo scoltando il rumore felpato delle gocce sul terreno che donavano un senso di pace incredibile.
- Credo proprio che dovremo rimandare la nostra escursione. – disse Flavio. - Faremo una passeggiata lungo la costa del lago, cosa ne dite?
- Approvato!
Intonarono una canzone dedicata agli alpini, presero il sentiero verso il paese trascinando il carel stracarico di legna.
- Grazie, sono arrivata!
- Abiti qui? Non sai quanto sei fortunata! – Flavio guardava, ammirato, la casetta con l’orto e il piccolo giardino, le ante verdi e i pini ai lati. – Sapessi cosa darei per vivere in un posto come questo.
Giovanna represse un moto di orgoglio, aveva sempre pensato che la sua abitazione fosse modesta, niente in confronto agli appartamenti della città. Ed ora qualcuno gliela invidiava.
- Vi farei entrare ma….
- Un’altra volta, ci offrirai un caffè.
La salutarono poi si diressero verso il lago.
- Chi erano quei simpatici giovanotti? – Sua madre la osservava dalla porta.
- Mi hanno aiutato a portare la legna.
- Potevi offrir loro almeno un caffè!
- Lo farò mamma, non appena comprerai un bella moka.
Sua madre scosse la testa, quella benedetta figlia così insistente, prima o poi l’avrebbe vinta.

La primavera, finalmente, ebbe il sopravvento sull’inverno e tutt’intorno fu una esplosione di fiori.
Margherite nei prati e gemme sugli alberi ma ogni volta che Giovanna usciva di casa sperava di incontrare nuovamente qualcuno di quei ragazzi, magari proprio Flavio.
Probabilmente non l’avrebbe più rivisto, ma le piaceva cullarsi nell’illusione che un giorno questo sarebbe accaduto.
Raccoglieva rami sulla riva del lago quando…
- Buon giorno fata dei boschi.
Flavio era lì davanti a lei. Istintivamente Giovanna si passò una mano sui capelli.
- Siete tornati? State andando in montagna? – la ragazza si guardò attorno per vedere dove fossero gli altri.
- Sono solo e poi è tardi per una passeggiata fin lassù. Sai questo posto mi ha incantato ed in questa stagione è ancora più bello – indicò il paesaggio – ti ho portato una cosa forse ti piacerà.
Si diresse verso la macchina, una Cinquecento bianca, estrasse un pacco dal bagagliaio.
- Non so se posso accettare. – balbettò Giovanna –
- Non si tratta di un regalo, guarda! – era un giradischi. - Pensavo a quali sensazioni potesse dare la musica ascoltata in un posto come questo.
- Però ci vuole la corrente elettrica. – soggiunse Giovanna
- Già e dove possiamo trovarla?
La richiesta di invito era evidente, anche se sottintesa. Giovanna sperò che Flavio non si accorgesse del caffè fatto con la vecchia napoletana.
-Mamma, questo è uno dei giovanotti che mi hanno aiutato a portare la legna.
- Si accomodi, preparo subito il caffè
- Grazie signora, lo gradisco molto.
- C’è una presa di corrente nel salottino, vieni! – Giovanna fece strada, mentre Flavio prendeva alcuni dischi 45 giri, e la musica risuonò nella casa.

Come prima più di prima t’amerò
Per la vita la mia vita …..

- Che musica è mai questa? – chiese la madre apparsa, in quel momento sulla porta.
- Si chiama Toni Dallara, è un urlatore. Sono i cantanti moderni.
- I tempi sono proprio cambiati. – sospirò la donna. – Comunque il caffè è pronto venite in cucina.
Ordinata e pulita con le tendine a quadri bianchi e rossi, le pentole disposte ordinatamente su di un ripiano e i mestoli appesi in ordine di grandezza, una piccola tavola accostata al muro e su di essa un vassoio, tre tazzine fumanti e….una bella e lucida moka. Giovanna rimase con la bocca aperta e sua madre le lanciò una occhiata d’intesa.
- Ummm che buono! – Flavio lo bevve con gli occhi socchiusi.
- È solo caffè, ma mi parli di lei, cosa fa di bello in città?
- Mamma!!!!
- Studio medicina, finirò l’anno prossimo, poi ho il servizio militare ed infine vedo di sistemarmi.
- Un dottoreeee, che bello! Qui non ce ne sono e Dio solo sa se avremmo bisogno.
- Forse un giorno qualcuno verrà a vivere qui!
Giovanna si sentiva imbarazzata per quell’interrogatorio e cercò di parlare d’altro. Nell’insieme il pomeriggio trascorse piacevolmente, ma quando venne l’ora del commiato Flavio chiese a Giovanna di tenere in custodia il giradischi.
- Così quando tornerò a trovarti potremo ascoltare musica insieme, ma è solo un prestito. – Le sorrise mostrando i denti candidi.
Prima di partire raccolse qualcosa dal portaoggetti, un fiore di un rosa delicato un po’ appassito.
- E’ un fiore di ibisco, per il tuo giardino sarebbe perfetto, il clima e l’esposizione sono quelli giusti, ti porterò una piantina.

Una estate incredibile, Giovanna non l’avrebbe più dimenticata. Flavio e suoi amici trascorsero molti giorni al paese, e alla sera si ritrovano tutti sotto il portico di casa sua ad ascoltare le canzoni dei Platters, mentre una piantina di ibisco alta poco più di una spanna cresceva al centro del giardino.

Portava la divisa di tenente dell’esercito quando le chiese di sposarlo. Giovanna era talmente sbalordita che non seppe cosa rispondere.
- Sono stato precipitoso, ti chiedo scusa.
Solo quando si stava allontanando Giovanna realizzò quanto aveva appena udito, ma la macchina aveva già imboccato la strada per uscire dall’abitato.
No, non poteva lasciarlo partire così, allora si mise a correre prendendo scorciatoie nei prati per raggiungere la strada maestra. Corse Giovanna con il cuore in gola, inciampò, cadde, si rialzò, il cuore le martellava nel petto. La Cinquecento bianca sbucò da dietro la curva e Giovanna in mezzo alla strada spalancò le braccia..
- Siiiii!
- Si? Hai detto si! – Flavio scese dalla macchina lasciando la portiera aperta.
Dolcissimo quel momento, il mondo si era fermato.

I paesi lacustri ebbero finalmente il medico condotto. Il suo arrivo, in ambulatorio, era preceduto dal tossicchiare di una vecchia Cinquecento bianca.
- Sior dutur, l’è mia ura de cambiala? –
- Questa è una Cinquecento col motore abarth, va che è una meraviglia.
In realtà una nuova macchina gli avrebbe fatto comodo dal momento che la famiglia era aumentata con la nascita della prima figlia, ma in ogni caso c’era sempre la Fiat Millecento di suo padre.
Gli anni sessanta incalzavano e il turismo faceva passi da gigante, i nuovi alberghi e camping stavano trasformando l’ambiente togliendogli un po’ quell’atmosfera primitiva e selvaggia che tanto lo aveva affascinato in passato, solo passeggiando nelle valli interne, Flavio, el dutur, ritrovava l’antica magia della montagna,

- E’ lei la famosa fata dei boschi?
Giovanna alzò di scatto il capo, il volto dell’uomo le era famigliare.
- Sta cercando il dottore?
- Ma come? Sono così cambiato? Non mi riconosci?
- Gianluca?
- Ma certo! Meno male incominciavo a preoccuparmi.
Giovanna si pulì le mani nel grembiule e corse ad abbracciare l’amico.
- Voglio sapere tutto di voi, mi sembra trascorso un secolo dall’ultima volta che sono stato qui. Però quanti cambiamenti.
Parlarono per ore, incessantemente.
- Ho della grappa trentina, ne gradiresti un bicchierino?
- Hai intenzione di farmi ubriacare e poi sedurmi? Ti ricordo che sei una donna sposata.
Risero di cuore, Gianluca non aveva perduto la sua verve.
- Ma che fine ha fatto il nostro dottore?
Giovanna guardò l’orologio.
- Dovrebbe essere già qui, da un pezzo.
- Hai una idea di dove possa essere?
- Oggi è giovedì, ha ambulatorio in una frazione su in valle. Non ha mai fatto così tardi, sono in pensiero anche perché quella è una strada stretta e tutta a curve.
- Gli vado incontro poi ti faccio sapere.

Giovanna incominciò a camminare per la casa, inquieta e le ore passavano. Passeggiò nel giardino, non voleva allontanarsi nel caso qualcuno arrivasse. Incominciò a zappare l’orto con energia, seminò l’insalata, strappò le erbacce finché non si sentì esausta.
L’albero di ibisco troneggiava al centro del giardino, una vera meraviglia con i suoi fiori delicatamente rosei, lo ammiravano tutti, lei e il marito lo avevano accudito amorevolmente in tutti quegli anni.

- Questi fiori rappresentano e rappresenteranno sempre il nostro amore. – Le ripeteva Flavio.

Era proprio sotto l’albero, quando si fermò una macchina, Gianluca scese col volto accigliato e, in quel medesimo istante, un delicato fiore d’ibisco …le cadde nel palmo della mano.









Luisa Camponesco

   
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