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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Quel giorno...era l'8 settembre
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luisa camponesco
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Inserito - 16/11/2004 :  15:31:21  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Quel giorno… era l’8 settembre

Spolveravo un quadro quel giorno, un bel paesaggio, opera di un cugino di mia madre, mi guardai attorno, ne avevo parecchi appesi alle pareti, ognuno con la sua storia e una parte di cuore di chi li aveva dipinti.
Mentre lo tenevo in grembo, ricordavo la sua casa, con i dipinti accatastati, di paesaggi ed incisioni a fuoco.
Quel giorno, di tanti anni fa ero andata, a trovarlo. Mi piacciono molto i quadri e uno mi colpì in particolare. Lui lo staccò dalle pareti, ritraeva un deserto con le dune.

- Questo l’ho fatto nel 44 - mi dice.
- Racconta! - gli chiedo sedendomi

Riappende il quadro con una lentezza incredibile, come volesse trattenere tutti i ricordi che rappresentava, poi con lo sguardo perso in un punto infinito incomincia a narrare.

- Sai a quel tempo ero un bel giovanotto, avevo finito di fare il militare, appena congedato, ero nei bersaglieri, ma ero così innamorato di Nina che l’ho sposata subito. C’era la guerra! Brutta cosa la guerra bambina, ma io pensavo a mettere su famiglia, avere dei figli, riprendere il mio lavoro. E così ho fatto. Ma le cose non sono mai come vorresti che fossero, così un brutto giorno fui richiamato. Indovina dove?
- Nei bersaglieri – risposi
- Sbagliato, mi hanno mandato in marina. Pensa un pò! Io… in marina, io che non so neppure nuotare. O meglio, come diciamo noi, nuoto a “quadrello” E cosi mi rimetto una divisa diversa e su di un treno militare parto per Bari.

Si fermò un attimo per raccogliere l’onda dei ricordi.

- Continua ti prego – gli chiedo impaziente. Si raschia la gola e poi riprende
- Ci siamo imbarcati alla fine d’agosto. Erano tre le navi da guerra, non ti dico come mi tremavano le gambe, io su di una nave non c’ero mai salito. E così è cominciata la mia avventura. I primi giorni in mare non sono stati poi tanto male. Ma la catastrofe era dietro l’angolo. Avevamo appena lasciato Malta quando un improvviso e inaspettato comunicato radio avrebbe cambiato la mia vita, e la vita di molti altri. La voce del generale Badoglio si sparse per tutta la nave:

"Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza".

- non riuscivo a credere a quanto che avevo appena sentito, ma non ebbi tempo di pensarci troppo, fummo subito attaccati dai tedeschi. Le prime due navi furono fatte a pezzi, la mia fu presa di striscio ma di sollevò a poppa. Rimasi per un’intera giornata aggrappato alla ringhiera, prima di essere catturato e deportato in un campo di concentramento a Tripoli. Lì cominciò la mia vita di prigioniero di guerra. Ho mangiato tante di quelle patate…

Gli occhi s’inumidirono al ricordo di quei giorni. Bevve un sorso di vino

- Non era certo una vacanza ,si sopravviveva, era una lotta tutti i giorni…
- Cosa facevi in quel campo?- chiedo
- Vuoi proprio saperlo?
- Certo!
- Facevamo latrine!
- Vuoi dire gabinetti?
- Se così li vuoi chiamare! – mi sorride e stringe una mano
- Poi, se ricordo bene, erano circa le 12, non rammento il mese e nemmeno il giorno, tanto erano tutti uguali e da quelle parti poi è sempre estate, ma era il 1944, il campo fu attaccato dagli alleati, noi non avevamo nulla per difenderci, non potevamo far altro che nasconderci e sai dove? Proprio in quelle fosse che avevamo scavato.
Faccio una smorfia di disgusto, e lui si fa una bella risata.
- Prova a metterti nei mie panni… però la pelle l’ho portata a casa – dice toccandosi il petto.
- Mi rotolai nella sabbia per due giorni e alla fine del secondo giorno mi trovai un fucile puntato a due dita dal naso. Dopo la fuga dei tedeschi, ora ero prigioniero degli americani. La prima cosa che ci fecero fare, fu un bel bagno e dopo esserci ripuliti e rivestiti, mangiammo e ci sembrò di tornare a vivere. Era tutta un’altra cosa, ci sentivamo ancora parte del genere umano.
- Allora vi trattavano bene?
- Ah si! Non ci mancava nulla dalla cioccolata alle sigarette. Ma senti un po’ questa! – si fa vicino come per confidarmi un segreto.
- Un bel giorno, mentre scrivevo una lettera per Nina, sai farle almeno sapere che ero vivo, mi scivola per terra un ritratto che avevo fatto ad un ufficiale tedesco qualche tempo prima. Lo nota un ufficiale americano che lo raccoglie e lo osserva bene.
- Nice, very nice - poi chiama un interprete e mi chiede di farne uno anche per lui. Un bel ritratto a carboncino. Io gli domando per chi devo farlo?
- Gable, Clark Gable – mi risponde
- Hai conosciuto Clark Gable? – mi rizzo sulla seggiola con gli occhi spalancati. Lui si mette a ridere
- L’ho conosciuto e gli ho fatto il ritratto. Poi non so come siano andate le cose, so solo che qualche giorno dopo sono venuti a prendermi con una jeep e mi hanno portato al Quartier Generale, proprio da lui, dal generale Eisenhower. Sono stato nel suo “ufficio” per sei mesi.
- Cosa facevi? – chiedo affascinata ed incuriosita
- Dipingevo tutto quello che vedevo. Alla fine mi chiese se a guerra finita mi sarebbe piaciuto andare con lui a Washington, mi avrebbe sistemato per bene.
- Non hai accettato?? – ero stupita
- Non puoi capire sei ancora troppo giovane, ma quando si ama il proprio paese, lo lasci solo se sei costretto. La mia Italia io la porto qui! – e si mette la mano sul cuore.

Si alza dal tavolo per affacciarsi alla finestra, preso dai suoi ricordi e soprattutto per non mostrarmi che sta piangendo.

Dopo aver rivissuto questo dialogo, riappesi quel quadro, con la sensazione di aver perduto qualcosa d’importante, tutte le volte che mi fingevo affaccendata ignorando la sua voglia di raccontare. Quante cose non saprò mai, di quei pezzi di vita vissuta, non scritta, i cui protagonisti sono persone qualsiasi e magari eroi sconosciuti, ma che tutti insieme compongono quel grande mosaico che è la storia.
Scrivere questo breve racconto mi è parso di rendergli un po’ di quella attenzione che gli avevo spesso negato. Se chiudo gli occhi lo rivedo ancora, davanti al suo cavalletto, intento a dipingere il castello di Sirmione.

Ciao Giacomo

Luisa


   
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