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emofione
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Inserito - 09/03/2004 :  16:11:32  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a emofione
Sorridono, accanto a me, coinvolgendomi a sprazzi, mentre sorseggiano una birra e raccontano delle loro storie, dei loro momenti, dei propri pensieri.
Ieri sera giro “matto”, in cerca delle tantissime donne che si riversavano nei vari locali alla moda, pronte per una volta, magari dopo aver alzato il gomito un po’ di più, a rispondere con un sorriso ai ripetitivi assalti dei “nuovi giovani”.
Stasera pubbino, altra birretta, qualche cicchino, ed altrettante risate.
La mente vaga, spensierata, in alcuni di loro, certo, già offuscata da malesseri post-adolescenziali, ma comunque resa forte dalla consapevolezza di esser solo all’inizio, di aver davanti mille differenti strade da poter percorrere, per poi tornare indietro, e ricominciare da capo, se solo non si è convinti.
Così nello studio, così nel lavoro, così negli amori, e nelle frequentazioni.
Che bello vivere la passione per un’altra persona senza mai fermarsi a riflettere, se non scherzosamente e seguendo ipotesi sentite come lontanissime ed irrealizzabili, sul fatto che quel partner prima o poi non sarà più tale, e che cambierà di nuovo tutto, che ci sarà tempo, ancora, per sognare di nuovi amori, di nuove struggenti passioni, quelle che ti levano il fiato, quelle che ti fanno tremare, vacillare di dolore e di piacere nel medesimo istante.
La spensieratezza dei vent’anni e qualcosina in più, non me ne rendevo conto, e invece la cercavo, la pretendevo nuovamente e quando ormai quel tempo si era andato a far benedire, come è giusto che sia. De Gregori docet “quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente”, quante volte l’ho scritto, quante altre l’ho pensato, “e accetteremo il fatto come una vittoria. Perciò partiamo partiamo che il tempo è tutto da bere…”
Bè, io non l’avevo accettato, ora è evidente; sapevo di poter cadere in questa trappola, venivo da due storie lunghe, anche belle, ma sempre tormentate, affossate dal mio desiderio d’evasione, di spensieratezza, appunto, quella di cui solo in parte si può godere avendo accanto un amore, anche se ognuno si lascia degli spazi per se stesso, per gli amici, per le serate “folli”. Perché a quel punto scattano altri sentimenti, differenti sensazioni, riflessioni: il rispetto per la propria donna che fa da contrasto alla voglia di scoprire, di vivere, di innamorarsi di continuo, o meglio di vivere passioni del momento. E poi c’è il rimorso se ci si è lasciati andare, il rimpianto se ci si è frenati, per poi magari aggiungere un altro nodo a quel pettine invisibile che il tuo partner inconsciamente e senza alcuna colpa oggettiva, rende sempre più ricco di intrecci, indirettamente. Senza volere.
E c’è chi insegue, e chi deve inseguire. E soffre l’uno ma anche l’altro in fondo in fondo. E non c’è mai vittoria in questo, non per gli smaniosi, non per i poco sereni, non per i complicati.
Invidia di spensieratezza, invidia di semplicità.
In pochi giorni ho cambiato le mie abitudini, era necessario, adesso che sono solo, ciò che potrebbe sembrare un limite, e che effettivamente lo è, per una persona, egocentrica ed egoista, che ha costantemente bisogno di svegliarsi, al mattino, sapendo che almeno un soggetto sulla terra, in questo caso una donna, si sveglierà a sua volta pensando a lui, come prima cosa, come primo naturale gesto.
In quattro sere, potenzialmente, avrei potuto fare un marasma ed incastrare una miriade di situazioni diverse. Ho frequentato gente nuova, mai vista prima, donne sconosciute e forse mai piaciute, simpatiche però. Ragazzi troppo più spensierati di me, ragazze troppo meno, perché più grandi e già segnate profondamente dalla vita. Ho rivisto amici di vecchissima data, ricomponendo trii bellissimi ed esilaranti da certi punti di vista, ma patetici da altri: non posso non fermarmi a ripensare, ogni due secondi, ai nostri sguardi, quelli di ieri sera, quando ascoltavamo i commenti al film del giovane Muccino.
Che ne sarà di noi, si chiedono quei giovani, che cosa succederà? Vorrebbero avere trent’anni, tutto d’un botto, per vedere che cosa accadrà, dove saranno finiti i loro sogni, come si saranno sviluppate le loro storie….
Eccoci qua, abbiamo melanconicamente commentato all’unisono, io e i miei “fratelli”.
Certo, ci abbiamo sprecato una bella risata sopra, ma in quegli occhi, in ciascuno di loro, si leggeva delusione, si leggeva stanchezza, voglia di lottare, certo, come no, ma consapevolezza di combattere contro mulini a vento.
Di una società che cambia profondamente e che a mio avviso sarà migliore delle precedenti. Ma che sta stritolando proprio la nostra fascia, quella dei 30enni, dei 40enni, anche dei 25enni va’.
Che si trovano spiazzati tra la necessità di essere cresciuti, di sentirsi diversi dai pur invidiabili fan dell’hip pop, ma ancor più lontani e differenti dal modus vivendi dei loro genitori, che inconsapevolmente, e pur credendo di fare del bene, li hanno cresciuti secondo dettami profondamente sbagliati, perché legati ad un mondo che non esisteva più. Morto e sepolto. Amen…
E poi, in questi giorni, ho rivisto vecchi amori, come era naturale che fosse, non certo per capire se poteva nascere qualcosa, nuovamente, ma anzi per archiviare, finalmente, ciò che per troppo tempo era rimasto a galla, confondendosi tra le pagine del presente, che erano belle, ma che sarebbero potute essere bellissime, se solo non avessi tenuto il freno a mano tirato. Per colpa dei soliti ignobili pesantissimi strascichi.
Che sarebbero anche stati naturali, e che sarebbero pure potuti risultare come la conseguenza di una riflessione matura e priva di troppi slanci di impulsività.
Se avessero raggiunto l’obiettivo, però. Quello di costruire, allo stesso tempo, uno stupendo rapporto di “affetto sconfinato” con la ex fidanzata, e di “adorazione” della nuova donna.
Ciò che non è stato, assolutamente.
Dice Coelho che Veronica decide di morire non perché abbia subito una qualche tragedia familiare o personale, ma perché niente l’ha soddisfatta nella vita, niente l’ha presa interamente, perché non ha un obbiettivo preciso né un ruolo nel mondo che la ospita.
Perché quell’obiettivo non può essere costituito né dalla famiglia, che pure le è vicina, né dagli amori, che non restano a causa degli inverni del suo cuore, né dagli amici o dal lavoro che non riescono comunque a colmare quel vuoto, né dai figli che leniranno il suo dolore ma più che altro occuperanno il suo futuro e le sue giornate esigendo più che infondendo calore.
E’ necessario morire, allora, seppur metaforicamente, e rinascere in un’altra veste, con un nuova linfa.
Ecco che in fondo le ultime vicissitudini dell’Emiliano adulto gioveranno anche a se stesso, prima o poi, perché se errare è umano, perseverare è da stolti per davvero.
Addio allora, Emidiota, e buongiorno Emisano.
Fatti da parte apatia, che rivoglio in pieno la vita mia.
E la gente che considero MIA.
Olé


   
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