In uno dei vostri cassetti segreti sta per caso ben riposto il sogno di diventare uno sceneggiatore di film? E magari è un sogno che credete irrealizzabile, perché serve talento, creatività, genialità e fantasia? Coraggio, mai dire mai. Almeno per quanto riguarda la fantasia c’è speranza: basta guardare il film in questione e vi sembrerà di averlo scritto voi il canovaccio, tanto le situazioni sono prevedibili, i dialoghi presagibili e il finale facilmente pronosticabile. Però aggiungerei un consiglio: fate in modo di affidare la parte principale a Jim Carrey altrimenti nessuno punterebbe un soldo bucato sul buon esito del vostro lavoro. Se fin dal suo primo apparire sul grande schermo avete amato Carrey per quella faccia sorprendentemente malleabile, e quella sua capacità di rendere divertente la battuta più ordinaria, allora siatene certi: non rimarrete assolutamente delusi. Anzi. La trama sembra costruita in modo da ricalcare pigramente il leitmotiv del suo più grande successo, ossia “The Mask”: infatti ritroviamo lo stesso giovanotto pieno di talento ma impicciato nelle maglie di un destino mediocre e quasi accanito, come ritroviamo l’intervento di un prodigioso fattore esterno che dona al protagonista una forza soprannaturale, e ritroviamo la decisione finale di tornare ad essere se stesso anche se in modo più consapevole e profondo.
Insomma viene spontaneo immaginare che per questo film prima si sia individuato l’attore protagonista e solo in seguito gli si sia cucita la parte addosso. Ma, ripeto, l’operazione a me sembra riuscita e, per quanto mi riguarda, le smorfie di Carrey hanno prodotto su di me lo stesso effetto del vapore esilarante: irresistibile!
La trama è un optional, ma onestamente devo aggiungere che nella festa di gags ho colto qualche scena che sembrava un invito a riflettere, e addirittura una sequenza commovente.
Mi è piaciuta per esempio l’interpretazione di Morgan Freeman, nella parte di un dio fraterno, sereno e comprensivo. E mi è piaciuta l’idea dell’Onnipotente che passa indifferentemente dai “piani alti” alle umili mansioni di lavapavimenti, senza mai smarrire un atteggiamento di ineffabile dignità nobiliare.
Interessante l’idea della gestione manageriale del problema “preghiera” da parte di Bruce, il quale si accorgerà ben presto che non ogni richiesta è preghiera e non ogni richiesta è bene che sia esaudita... è davvero difficile dare a ognuno ciò che fa veramente il suo bene.
Fa riflettere l’immagine di dio che viene fuori dalle preghiere di alcuni suoi fedeli: tra un “fammi vincere la lotteria” e un “fammi diventare più alto” si percepisce tra le righe la solitudine di un Creatore trattato come un distributore automatico di miracoli. E fa pensare anche che fra tante richieste improvvisamente esaudite, il computer di Bruce non abbia registrato un solo “grazie”. Quel dio così umano e vicino di Freeman in un’altra scena sembra confermare quel suggerimento sulla solitudine: quando Bruce si lamenta per l’ennesima volta “ma è difficilissimo essere amati senza manipolare il libero arbitrio!”, il buon Dio si apre ad una battuta che sembra svelare una realtà segreta fatta anche di sofferenza e di inesauribile pazienza: “Benvenuto nel mio mondo!”. Ma lo dice con un sorriso luminoso. Secondo me è un’intuizione molto bella del film.
Vi ho detto anche di un momento toccante, che ovviamente nasce da una percezione del tutto personale. Mi ha commosso la scena in cui Bruce e L'Essere supremo si trovano uno a fianco dell’altro e l’uomo per la prima volta si rivolge a Dio senza rancore, ma aprendosi come a un vero amico, parlandogli di sé, delle sue emozioni e delle sue paure. Dio lo guarda negli occhi e semplicemente gli dice: “Lo so come sei fatto, sono io che ti ho creato”. Immaginare di passeggiare con chi sa tutto di te, senza il tormento di usare le parole giuste, senza doversi giustificare, perché è lui che ti ha creato ed è interessato a te più di quanto potresti esserlo tu stesso... beh, è stato un attimo, ma mi ha suscitato una forte emozione.
Insomma, se è vero che si può scoprire la bellezza in qualsiasi cosa, credo che qualche spunto affascinante lo si possa attingere anche da un film “caciarone” come questo. Tanto più che la “morale della favola” a cui allude è di tutto rispetto: il vero miracolo è l’amore, dato che nemmeno Dio può realizzarlo se uno non lo vuole.
Ad ogni modo, se io fossi il direttore di un tg, di sicuro un giornalista effervescente e spassoso come Jim Carrey lo prenderei al volo nella mia redazione. Certo, mi resterebbe il trascurabile problema di che notizie fargli leggere!!!
colibrì