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WhiteWolf
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Inserito - 25/10/2011 :  15:07:55  Mostra Profilo  Visita la Homepage di WhiteWolf Invia un Messaggio Privato a WhiteWolf
Fu un attimo… E mi ritrovai steso a terra a quattro metri di distanza. Percepivo la schiena che strisciava nell’ultimo metro sul pavimento, fino a rallentare, e le nuca che si appoggiava con un leggiero colpo sull’intonaco scrostato del muro. Strano ed euforico: erano secoli che qualcuno non ci riusciva, e questo mi rendeva paradossalmente felice, mi faceva sentire…Vivo!
Non trattenni una risata cupa. Misi i palmi delle mani a terra dietro la schiena, diedi un colpo secco e mi rizzai rigido in piedi, come se i talloni fossero incernierati al pavimento, mentre una lama si dipingeva al posto della bocca ed i canini sporgevano leggermente. Il mio avversario ora mi guardava stupito e lievemente divertito: solo ora realizzava la non umanità di entrambi.
Come c’ero arrivato fino a qui? Era da tanto che non passeggiavo di notte nelle strade della città. Di notte...E quando altrimenti? Una frase, nel mio errare urbano, mi era venuta alla mente: - La regina che lo desidera cattura sempre il suo fante – Una frase che mi era venuta in mente fumando una sigaretta quella stessa notte sui colli di Bologna, una delle poche cose che mi da calore dentro. La sigaretta, intendo.
Fu così che iniziai a correre giù a velocità folle, saltando da un ombra all’altra, schivando alberi e cespugli, passando come una folata di vento sopra alle poche macchine, fino ad arrivare in città. Fu li che lo vidi e mi colpì la sua mancanza di odore: si aggirava tra le persone, tranquillo e quasi passivo, con un fare impacciato. E’ una tecnica predatoria elementare: la finta preda. In questo modo lascia fare tutte le mosse a chi si sente predatore, il che lo porta praticamente ad auto isolarsi, fino ad arrivare al momento in cui si scoprono le carte in tavola, ed allora il predatore si rende conto di essere preda. In natura questi esseri sono assimilabili a piante carnivore.
In pratica era questo che si aspettava: una donna apparentemente più grande di lui, in vena di una serata senza troppi pensieri, appariscente ed aggressiva, e con la voglia di dimostrare a se stessa tramite il mondo che era lei che decideva ogni cosa. Ecco uno dei motivi per cui anche io ero giunto qui: poteva essere lei una “regina”. Oppure un uomo, su di giri per i troppi feromoni nell’aria ed un po’ ebbro da alcol, quel poco che basta per fargli diminuire il senso di responsabilità inerente alle conseguenze delle proprie azioni: con questo avrebbe causato un banale incidente per provocarlo passivamente, sempre con la sua finta goffaggine.
Perché lo so così bene? Perché sono le prime strategie che impari, quelle che richiedono meno impiego di energie, meno capacità, ma che alla fine risultano assai macchinose e necessitano di pazienza. Con il tempo impari che il tuo appetito spesso non ha pazienza. Il che mi faceva supporre due cose su questo individuo: o era molto “anziano”, e quindi aveva una capacità di autocontrollo incredibile ed un esperienza millenaria alle spalle, il che lo rendeva assai pericoloso. Oppure era giovane, il che lo rendeva semplice da gestire ed ignaro, incoscientemente ignaro. Quindi, se le mie supposizioni erano esatte, non c’era che da sondare l’età di questo antagonista sul mio territorio.
Strategia elementare per strategia elementare mi metto al bancone, davanti a tutti, ed attendo di vedere cosa succede quando mi passerà vicino o mi guarderà. Il luogo era all'aperto, un vecchio chiostro ora riservato agli uffici del comune durante il giorno, mentre alla sera era adibito a discoteca, luogo d’intrattenimento e svago: il classico locale estivo insomma. Passo attraverso le persone cercando i punti più affollati, in modo da imprimermi sugli abiti gli odori di altri così da mettere alla prova i suoi sensi, per poi arrivare al bancone dove la coda di persone in fila per la cassa, gli alcolici alle mie spalle ed i vari ingredienti dei cocktail avrebbero confuso anche un segugio, ma non uno della mia specie con un po’ di esperienza. E li, sorseggiando un whiskey irlandese con gomito e schiena appoggiati al bancone, incomincio palesemente a fissare il soggetto. Stava seduto da solo su una panchina, con una coca-cola o cocktail a base della stessa bevanda in mano, fissando ogni tanto il pavimento di ghiaia e guardandosi attorno con fare spaesato. Saltuariamente volgeva lo sguardo nella mia direzione, ma non si soffermava più di tanto. Poi ad un tratto si alza in piedi ed attraversa il cortile, diretto presumibilmente ad un'altra panchina. Io continuo a fissarlo, lui passa ad un paio di metri da me, guardandomi per un attimo ma distogliendo lo sguardo; lo scorgo aggrottare le sopracciglia, come se qualcosa gli sfuggisse o non capisse, ma continua fino alla panchina successiva. Nulla, è ignaro o molto furbo: più probabilmente una combinazione improvvisata delle due cose.
Passate un paio d’ore decido di dargli la scusa per attuare la sua strategia. Ingurgitati altri whisky e fingendo una camminata un po’ più morbida, gli passo vicino e con una leggera scivolate mi faccio rovesciare addosso il contenuto del suo bicchiere.
- ...Ma sei scemo o impedito? Non lo sai nemmeno tener stretto quel bicchiere? -
Il mio tono è decisamente irritato, cosi come lo sguardo, e le sillabe strisciate del mio parlare lasciano trasparire lo stato d’ebbrezza in cui mi trovo: sono una delle sue prede ideali.
- Scusa! No cioè, scusa! Non volevo - Cerca di asciugarmi con il fazzoletto, ma mi faccio indietro: se percepisce quanto sono freddo capisce al volo quello che sto facendo, ed il gioco e finito. – Ma non mi toccare! – dico alzando la voce. Microespressioni sul suo volto mi fanno intuire che la sua eccitazione sta aumentando, così come la fame, ed anche gli occhi fanno scherzi strani. La scena intanto ha attirato l’attenzione dei buttafuori, che si avvicinano e mi mettono in disparte: ovviamente sono io l’ubriaco pericoloso ai loro occhi, e lui si incammina verso l’uscita. Dopo una falsa discussione di poco senso tra me ed il servizio d’ordine, vengo “gentilmente” accompagnato alla porta , e lì lui è distante quel tanto che basta per non farsi perdere di vista. Così lo fisso, ed ovviamente lui se ne accorge: con passo rapido comincio a seguirlo. Anche lui accelera il passo, e mi porta in una zona sempre più disabitata ai confini del centro storico, verso una palazzina di uffici ormai abbandonata; lo vedo entrare da una finestra del piano terra dalle assi fissate male.
Ed è qui che ho iniziato il mio racconto. Al primo piano, in un corridoio interno, in modo che i rumori siano il più possibile attutiti dall’ambiente stesso: ottima scelta. Qui, in fondo mi aspetta, con un ghigno ora diabolico. Non so perché, ma io continuo a recitare la parte:
-Allora? Ci trovi qualcosa di divertente? Adesso ti spacco la testa!-
Si, lo so, avete ragione: frasi rudi, banali, e poco eleganti. Non sono certo adatte al mio stile, ma fatemi calare ancora un po’ nel personaggio, right? Mi avvicino e, il resto lo conoscete.
Capacità combattive non da poco per scaraventarmi a terra, ma ancora acerbo nel complesso. Mi guarda stupito e divertito ora, ma adesso sono io che non sorrido più:-Ti sembra un gioco questo?– gli dico –Lo sai che è il mio terreno, nevvero? Lo sai che due vampiri nello stesso territorio rischiano di mettere in agitazione non poche umane acque?– Perplesso, silenzioso mi guarda ma non demorde:- C’è cibo per tutti, dov’è il problema zio? - Well, ora mi innervosisco davvero, cotante confidenze mi fanno questo effetto, soprattutto da chi non ha l’attenuante di una scarsa manciata di anni di vita.
–Le regole sono il problema– gli rispondo –e per quanto non ti aggradano dicono che questa terra, dai boschi delle colline a sud fino al affluente del fiume maggiore a Nord sono mie– Lo guardo ed il suo viso esprime sufficienza –Il territorio è segnato in maniera evidente, e tu hai ignorato il tutto.- Segni energetici invisibili marcano un territorio: chi vi entra o lo fa in maniera evidente ed attende il podestà, o lo fa in maniera non evidente e spesso è per reclamarlo, oppure è uno stupido incosciente. – La tua età? – Gli chiedo austero ed imperioso: se se ne va immediatamente se la cava con una lavata di capo; ma il colpo fortunato di prima con cui mi ha steso gli deve aver dato alla testa. Le iridi si fanno sottili e bianche, i canini gli sporgono e le unghie si inspessiscono, mentre flette le ginocchia ed inizia a sorridere in maniera sadica:
-Duecentoventitre, e da qui non me ne vado- Sospiro, per così dire, come quando cercate di spiegare un concetto ad una persona che non lo riesce proprio a capire. Duecentoventritre…Fantastico: un pargolo. Scatta in avanti come un puma, ma mi sposto di lato, gli afferro una gamba e facendogli fare 180 gradi lo lancio contro ad un muro, sfondandolo. Furioso urla e si alza: e meglio che concluda in fretta, o questo caos attirerà qui qualcuno. E’ in piedi e sta per corrermi incontro. Lo anticipo facendo un salto verso lui, e lo colpisco con il ginocchio in pieno viso: la faccia è praticamente sfondata, ma la mancanza di vista ed olfatto non lo rende inerme o meno pericoloso. Barcolla indietro, ed io lo salto in verticale, passandogli alle spalle. Pianto le unghie di entrambe le mai ai alti ed alla base del collo, e grazie alla accelerazione e la traiettoria del salto gli sradico la testa di netto. Il corpo fa ancora due passi, poi cade in avanti in una pozza di similsangue. E’ fatta, penso, e nonostante i secoli non sono così arrugginito come pensavo. Porto il corpo e la testa sul tetto dell’edificio: domani il sole farà il resto, ed il vento o la pioggia disperderanno le ceneri di questo giovane bifolco immortale. Torno al primo piano, nel luogo dello scontro, ed apro una finestra nella stanza, in modo da far entrare il sole all’indomani mattina, cosicché cancelli altri eventuali resti, ed esco in fretta: ho una fame incredibile ora. Per questa notte è meglio accontentarsi di un animale nei boschi delle colline: troppo movimento potrebbe destare l’interesse dei cacciatori di leggende urbane. Ma la mia frase, quella balenatami in testa all’improvviso, non ha ancora una calzante spiegazione.


Realtà è ciò che senti vero.

   
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