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 La sorpresa
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 06/02/2007 :  16:57:06  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
LA SORPRESA

Santina abitava in una zona molto povera del paese e il padre faceva da sempre il muratore. Aveva cinque fratelli e lei era la più piccola. Era nata inattesa e indesiderata come già la madre le aveva fatto capire da tempo. Vivevano in una condizione di degrado poiché non erano mai sufficienti i soldi per sfamare e vestire l’intera banda. Non era stata mandata a scuola, ma egualmente aveva imparato a leggere e a scrivere da sola, guardando il fratello maggiore che unico, aveva goduto del beneficio di frequentare le elementari. Giuseppe si chiamava, ed era il solo che le volesse veramente bene. Tutti gli altri la consideravano un peso, un ingombro, un’inutile presenza. Povera Santina! Mai una parola gentile da nessuno, mai un gesto d’affetto. Viveva ignorata da tutti e si era creata un mondo tutto suo, segreto, un mondo di sogni e di fantasie inconfessate e strane, quasi morbose talora.
Ad otto anni, aveva saputo che la madre era scappata da casa con il suo nuovo amore. Era rimasta sola con il padre e tre fratelli, poiché le due sorelle più grandi già si erano sposate non ancora maggiorenni.
Quando aveva compiuto sedici anni, già dimostrava tutta la sua bellezza. Santina era una ragazza florida, di carnagione chiara, con la fronte alta, le sopracciglia arcuate, gli occhi grandissimi e color camomilla. Possedeva una grande abbondanza di capelli e quasi sempre aveva le spalle coperte da molti riccioli ribelli. Non aveva mai mangiato molto, tuttavia la salute in lei splendeva ugualmente.
Tonino la guardava da sempre. Abitava nel caseggiato di fronte e spesso le aveva chiesto di diventare la sua ragazza. Ma lei sognava ben altro che un povero operaio.
Fu così che un giorno il ragazzo, avendo ricevuto l’ennesimo rifiuto, la violentò. Era andato a trovarla mentre era sola in casa.
“Un momento!” aveva gridato Santina, quando lui aveva suonato. C’era molto caldo ed era mezzo svestita. Si era rivestita in fretta, ed aveva aperto. Lui si era avvicinato e di nuovo l’aveva pregata di volerlo accettare. Gli aveva rivolto l’ennesimo rifiuto. Si era dovuta ritirare a poco a poco verso il muro. Dalla scollatura del vestito, si intravedevano i seni. Le gambe erano disegnate dalla stoffa sottile. Aveva intuito il pericolo e aveva urlato: ”Vattene!”
Tonino invece, si era fatto più da presso e l’aveva afferrata per la gola. Era un ragazzone enorme. L’aveva scaraventata a terra e, tenendole la mano sulla bocca, le era stato addosso con tutto il suo peso e con tutta la sua bramosia.
Era rimasta inerte, dopo, lunga sui mattoni, con i vestiti arruffati e senza più forze. Aveva saputo, da quel momento, cosa volesse dire essere posseduta da un uomo e ne aveva conosciuto tutta la brutalità.
Di tutto ciò nella sua famiglia non si seppe mai nulla e la vita continuò a scorrere monotona, triste e grigia.
L’unica novità fu un malore di suo padre, che un giorno tornò all’improvviso dal lavoro trasportato da alcuni uomini. Il medico affermò che doveva stare a riposo perché aveva il cuore mal ridotto. Invece lui riprese subito a lavorare. Così di lì a poco lo riportarono in fin di vita. Non ci fu niente da fare. Morì entro due giorni e il suo cadavere fu posto nel soggiorno dentro la cassa funebre.
Proprio sfortunata! Santina in fondo, voleva bene a quel padre sempre assente, ma che si era massacrato nella vita per la famiglia.
Venne Don Mario a dargli l’estrema unzione e rimase tutta la notte solo con lei a vegliare la salma. Era un sacerdote giovanissimo, alle prime armi, magro, con una lanugine scura che gli copriva le guance. Lo conosceva ormai da due anni ed era l’unico uomo che mai le fosse piaciuto. Aveva denti forti e bianchi che davano al suo sorriso una bellezza virile. La prima volta che lo aveva visto, n’era rimasta affascinata e ora appena lo vedeva, sentiva un tonfo sordo al cuore.
I fratelli quella sera, si erano dovuti necessariamente assentare per lavoro e sarebbero ritornati l’indomani per il funerale.
Santina e il sacerdote tacevano, pregando mentalmente e guardandosi ogni tanto di sottecchi. Avevano l’aria stanca e affranta di chi è costretto a stare per molte ore dinanzi ad un morto.
Don Mario disse, passandosi una mano sulla fronte: “E’ la volontà di Dio! Bisogna rassegnarsi!”
Santina chinò la testa. I vetri delle finestre erano aperti, ma le persiane invece restavano chiuse. L’unica luce era prodotta da una piccola lampada.
Sul candore del letto, il padre pareva che dormisse.
Fuori tutto era silenzio.
Nella stanza, si udì lo scricchiolio di un mobile, un rumore lugubre, sordo. Santina, impressionata, si alzò di scatto.
“Non avere paura, è il caldo che fa gonfiare il legno, ” disse lui, prendendole la mano. “Vieni, siediti qui, accanto a me, sulla cassapanca.”
La ragazza lo ascoltò, ma ben presto si avvide che dovevano stare troppo vicini poiché il cassone era molto stretto. I gomiti si toccavano, il turbamento era profondo, quel contatto le cominciava a destare un vago senso d’inquietudine. Pensava che doveva alzarsi e invece restava seduta e non sapeva il perché.
Entrambi erano oppressi dallo stesso pensiero che li aveva colti d’improvviso. L’attrazione era troppo forte anche per il giovane sacerdote. Egli aveva fatto voto di castità, ma quella promessa gli era pesata sempre più di un macigno. Tra l’altro Santina era tra le più belle ragazze del paese e Don Mario l’aveva sempre guardata con ammirazione. Ma c’era la castità da rispettare e questo pensiero si faceva ogni giorno più acuto, più insistente, più incalzante, più angustioso. La sofferenza per quel voto aumentava, la monotonia della vita sacerdotale si faceva insopportabile.
Nella stanza, tra le stecche delle vecchie persiane, entrava il vento e faceva sollevare la tenda.
Santina ritratta su se stessa, aveva reclinato il capo ed era stata colta dal sonno. Poi d’improvviso, la sua testa si era ripiegata inavvertitamente sulla spalla del prete.
“Sei stanca?” aveva chiesto Don Mario.
“No, no” aveva detto la ragazza raddrizzandosi. Ma nel silenzio, di nuovo il sonno l’aveva afferrata e nuovamente il capo era finito sull’omero dell’uomo. I capelli le ricadevano sul collo, dalla bocca il respiro usciva regolare, facendo innalzare i seni. Com’era bella! La forma delle gambe era ben visibile sotto la gonna leggera.
Egli rimase immobile, frenava il respiro per paura di svegliarla e un’angoscia enorme l’opprimeva. Udiva tempestoso il battito del cuore e delle tempie.
“Il sonno è più forte di me,” esclamò Santina destandosi con un sobbalzo.
“Già” aveva affermato lui.
Non dissero altro, continuavano a sedere accanto con i gomiti che si sfioravano. Cercavano entrambi di non pensare e intanto una sorta di ebbrezza, di desiderio, li travolgeva loro malgrado. Rimanevano zitti, non si muovevano, stavano là con gli occhi fissi e dilatati. Improvvisamente un altro soffio di vento spirò. Allora con avidità, nello stesso momento, l’uno fu nelle braccia dell’altra, si strinsero freneticamente, avidi si cercarono con la bocca, ad occhi chiusi si soffocarono di carezze e rotolarono sul pavimento.
Don Mario conobbe quaggiù il cielo e l’inferno. Santina, per la prima volta, assaporava la voluttà di un amplesso voluto, desiderato e cercato.
Quando le prime luci dell’alba li sorpresero, in fretta si rivestirono e continuando a tacere, lui scappò via. Pareva inseguito dai fantasmi, allucinato, inebetito.
Non lo rivide più neppure al funerale. Cominciò a pensare e a convincersi di avere sognato tutto. E se la volta precedente la vita era ricominciata grigia e triste, questa volta lo sconforto l’attanagliava ogni giorno di più. Dipendeva in tutto e per tutto dai suoi fratelli, dalla loro carità e dalla loro volontà. Essi spesso la esortavano a cercarsi un marito, ma questa era l’unica cosa che Santina non voleva fare.
Poi un giorno, su una rivista di fotoromanzi, che ogni tanto una vicina le prestava, lesse di un concorso a premi che prevedeva un viaggio in America. Non ci pensò due volte e facendosi dare i soldi per la lettera di partecipazione, la inviò. In seguito ebbe la sorpresa, inaspettata e insperata, di scoprire che aveva vinto quel concorso. Aveva vinto! Che bellissima sorpresa! Poteva partire, le avrebbero pagato il viaggio e il soggiorno. Nella sua mente, l’idea era chiara: sarebbe partita e non sarebbe mai più tornata. Aveva sempre sognato di visitare l’America, ora l’avrebbe fatto. Avrebbe lasciato un biglietto per spiegare la sua decisione ai fratelli, avrebbe raccolto i suoi pochi e miseri averi e sarebbe andata via per sempre. Avrebbe trasformato quella sorpresa nell’occasione della sua vita!



Gabriella Cuscinà

   
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