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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 Dino
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Gabriella Cuscinà
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Italy
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Inserito - 08/02/2006 :  09:45:44  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Dino
Dino e la sua famiglia avevano risentito molto degli effetti del dopoguerra. A quei tempi infatti non disponevano di tanti soldi e avevano perso la casa, caduta sotto i bombardamenti. I terreni coltivati a frutteto e a giardino, erano stati espropriati dall’amministrazione comunale motivando l’operazione con la necessità di realizzare un parco urbano. Quindi non li aveva ereditati come sarebbe stato suo diritto, essendone l’unico erede. Suo nonno era stato un apprezzato agronomo e aveva amato quelle campagne di un amore assoluto, intenso, fatto di notti insonni e giornate trascorse a controllare la maturazione della frutta e degli ortaggi.
Dino ricordava la propria infanzia tra gli alberi di pesco e di melograni, tra i filari d’uva e i campi seminati a pomodori. In effetti, quei vasti terreni erano stati ceduti gratuitamente dal Comune ad una cooperativa che aveva poi edificato stabilimenti e industrie per la commercializzazione del latte e dei suoi derivati. Industrie miliardarie, ma che si trovarono rovinosamente in crisi e il suo proprietario è stato indagato. Quindi Dino ha avuto la sensazione che una giustizia divina c’è per tutti alla fine. E’ convinto che quel latte, per tanti anni, sia stato rubato. Cioè che quei miliardi siano il provento di un furto perpetrato a danno della sua famiglia. Rubati a lui che da ragazzo, giocava in quei giardini dove i tigli esalavano il loro delicato aroma e lasciavano cadere pallidi fiori sui vialetti e sulle aiuole.
A quei tempi, un grande aiuto all’andamento familiare erano i pacchi di viveri che gli Americani fornivano a tutti gli ex militari che avevano operato per loro, e suo padre aveva fatto parte di quegli ex militari. Dunque Dino era cresciuto a cioccolate, budini, formaggi e prodotti liofilizzati. Aveva iniziato la scuola con un grembiule di stoffa americana, acquistata a poco prezzo.
Il padre aveva avuto un’officina di ricambi d’auto e commercializzava pezzi statunitensi, con i quali riforniva meccanici come Lamborghini che, prima di iniziare a produrre trattori e auto sportive, riparava i veicoli americani rimasti dopo la guerra.
Il nonno, perse le campagne, si era messo a commerciare automobili e l’auto di famiglia era una De Soto, acquistata da un cliente che l’aveva vinta a poker a Mr. Walter Chrysler, incallito giocatore e proprietario dell’omonima marca automobilistica.
Dopo gli studi, Dino aveva iniziato a occuparsi anche lui del commercio di autovetture e aveva gestito una concessionaria di auto, ma quest’attività non sempre era tranquilla. Una volta, si era ritrovato coinvolto una rissa: infatti era arrivato in ufficio, alla concessionaria, e vi aveva trovato alcuni poliziotti, tutti con fare spocchioso e prepotente. Non volevano farlo passare e s’era sentito ribollire il sangue. Ad una guardia in borghese aveva sferrato un pugno e questi aveva reagito mandandolo a gambe all’aria. Lui aveva sbattuto la testa ed era finito all’ospedale.
Dopo un anno, Dino aveva lasciato l’Italia ed era andato a vivere e a lavorare a Chicago. Aveva voluto abbandonare il suo paese, nauseato da ciò che succedeva negli ambienti della burocrazia e della finanza.
Ma l’Italia gli è rimasta sempre nel cuore e i ricordi, oggi, tornano a traboccare più che mai come una pentola bollente di cui non può sollevare il coperchio senza vederne travasare fuori tutta l’acqua.
Molto spesso si serviva dei mezzi pubblici per circolare a Chicago.
Un giorno viaggiava su uno di questi e non era di buon umore. Anzi aveva lo sguardo torvo a causa di taluni affari che non avevano avuto buon esito. Un signore lo guardava e a un certo punto gli chiese: “Perché non provi a sorridere? Coraggio, prova a sorridere.” Così dicendo gli aveva dato un biglietto del teatro che in quei giorni era in città.
“Prego? Cosa dice?” aveva esclamato.
“Alle venti c’è lo spettacolo. Perché non vieni?” ed era sceso.
Poco dopo anche Dino era sceso e vicino la fermata aveva visto affisso un manifesto pubblicitario del teatro. Nel cartellone vi era raffigurato un attore che era proprio lo sconosciuto.
Alle venti vi andò e riuscì a sedersi tra le prime file. Il presentatore annunciò un attore comico e venne fuori il famoso sconosciuto che gli aveva regalato il biglietto. Si esibì in battute e facezie, espressioni particolari del viso, la cui mimica era straordinaria. Lo spettacolo finì e Dino sentì il bisogno di parlare con quell’uomo. Gli fu facile perché lo vide fuori dal teatro, quasi lo aspettasse.
“Ciao, ti sei divertito?”
“Sì, ma perché mi hai regalato il biglietto?” Dino lo guardava perplesso.
L’altro continuò: “Tu credi che non riceva niente in cambio. Ma dalle persone che ridono, ricevo molto. Scordano i loro guai. Riesci a immaginare cosa provo quando mi accorgo che il merito è mio?”
L’altro l’ascoltava in silenzio.
“Ho scelto io il lavoro del comico e non lo cambierei mai. Alcuni mi chiamano pagliaccio, ma credimi, sono fiero di essere un pagliaccio. Mentre la gente ride, anch’io scordo i miei guai. Li devo scordare per forza e ridere per primo. Un po’ come viene detto nell’Opera I Pagliacci :
< E se Arlecchin t’invola Colombina, ridi pagliaccio e il pubblico applaudirà > . Talora ho la morte nel cuore, ma devo sforzarmi di ridere e sorridere. E’ il mio mestiere.”
“E’ vero,” disse Dino “stasera hai ridato il buon umore anche a me.”
“Guarda che lo potresti fare anche tu. Anzi sicuramente lo avrai già fatto, raccontando storielle divertenti ai tuoi amici. Cerca di sorridere sempre a tutti, anche nei momenti più bui. Forse troverai qualcuno che ti ringrazierà per avergli dato un momento di allegria.”
Vivendo a Chicago, Dino aveva imparato ad amare quella città.
Un fatto particolare gli era capitato una domenica: i parchi venivano occupati da battaglioni di famiglie che preparavano il pranzo festivo con l'immancabile barbecue. Le etnie erano le più disparate e ognuno cucinava le carni e le verdure della propria tradizione. Una festa anche per i gabbiani che erano a centinaia. Quella domenica, mentre era in bicicletta, uno stormo di questi uccelli stava banchettando con i resti del barbecue di una famiglia latinoamericana. Non si sa cosa la famiglia avesse cucinato o cosa avesse spaventato i gabbiani. Sta di fatto che i volatili si erano alzati contemporaneamente sorvolando la pista ciclabile e avevano riversato, sui
numerosi ciclisti, una scarica di cacche simile a un temporale!
Dino allibito e credendosi indenne e pulito, si era messo a ridere come tutti gli altri. Invece i ciclisti colpiti sbraitavano incessantemente. Poi essendosi osservato meglio in una parete a specchio dei palazzi, s’era accorto che la sua maglietta era tutta schizzata di cacca.


Gabriella Cuscinà

   
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