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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 05/02/2006 :  19:07:23  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Riconciliazione
I nipoti di Bianca erano quattro persone assolutamente diverse tra loro. Difficilmente si sarebbero detti fratelli poiché non si somigliavano né nel fisico, né nel carattere. Erano i figli di sua figlia Emma, morta di cancro al seno.
Manlio era un tipo dai capelli rossi, molto alto, segaligno e con gli occhi chiari. I tratti del suo viso erano regolari, ma denotavano un carattere nervoso e scontroso. Faceva il funzionario di banca e sua moglie era impiegata in un’altra banca. Si era distinto sul lavoro, non per le capacità, ma per aver sventato una rapina. Infatti una volta tre rapinatori erano entrati nella sua agenzia e lui s’era opposto gridando: “Sparatemi! Sparatemi se avete coraggio! Volete rubare non uccidere. Se avete coraggio, uccidetemi!” I malfattori avevano imprecato e bestemmiato, avevano sparato in aria, poi temendo l’arrivo delle forze dell’ordine, erano scappati senza rubare nulla.
Il secondo nipote di Bianca era Stefano e aveva un carattere socievole, talora serioso ma spesso allegro e disponibile. Diveniva serio e intransigente sul lavoro; era cardiologo e lavorava in un ospedale. Al di fuori della professione, era un tipo beffardo e ciarliero, come volesse scrollarsi di dosso tutti i patimenti cui ogni giorno era costretto ad assistere. Scuro di pelle e di capelli, si rivelava piacente nei tratti e nel fisico. Era sposato e anche divorziato. Infatti il suo fidanzamento era stato breve ed era arrivato al matrimonio senza convinzione, per non venire meno alla parola data ai genitori della ragazza. Presto aveva capito che non era la donna adatta a lui e aveva voluto separarsi. Aveva poi conosciuto, nel nosocomio ove lavorava, una bella infermiera avvenente, che lo aveva circuito e sedotto. Se n’era innamorato e adesso viveva con lei.
I fratelli naturalmente non avevano perso occasione di criticare il fatto che un medico specialista si fosse messo con una semplice assistente ospedaliera.
Ma chi non aveva sollevato obiezioni su quella scelta, era Benedetto, il terzo figlio di Emma, che aveva sposato una bidella di scuola. Egli era un tipo biondastro e dalla carnagione chiara. Faceva il preside e s’era invaghito di una collaboratrice ausiliaria. L’aveva sposata e adesso i due vivevano d’amore e d’accordo. Lei cucinava leccornie e soddisfava pienamente la voracità e lo stomaco di Benedetto che diveniva sempre più grasso e pesante.
Naturalmente la moglie di Manlio si sentiva superiore all’infermiera e alla bidella e non andava d’accordo con nessuna delle due.
Il quarto nipote era Attilio, una persona smilza e allampanata. Non aveva voluto studiare e non s’era diplomato. Faceva il rappresentante di commercio e aveva sposato una donna che presto l’aveva lasciato. Non si sentiva all’altezza dei fratelli e aveva una specie di complesso d’inferiorità.
Emma nel testamento, aveva disposto che fosse equamente diviso, tra i figli, il denaro del marito, un ricco professore d’università che aveva raccolto in casa antichi libri del Settecento e dell’Ottocento.
Attilio, dopo il divorzio, era tornato a vivere con la madre, l’aveva accudita e assistita durante la malattia ed Emma non aveva avuto il coraggio di lasciare la casa anche agli altri figli. Dunque nelle disposizioni testamentarie non ne aveva fatto cenno. Però secondo la legge, la casa avrebbe dovuto essere pure divisa. Invece Attilio vi s’era installato e non aveva alcuna intenzione di andare ad abitare altrove. I fratelli gli avevano chiesto il corrispettivo in denaro e di poter dividere il tesoro rappresentato dai libri antichi, ma lui aveva fatto orecchie da marcante e non voleva cedere nulla. Quindi le liti erano continuate. Ognuno credeva d’aver ragione e nessuno voleva ascoltare le ragioni degli altri.
Nonna Bianca provò a far riconciliare i fratelli confidando nelle proprie arti di persuasione. Bisognava però riuscire a fare incontrare i quattro.
Telefonò invitandoli a casa e dicendo che voleva presentare loro un cugino molto simpatico.
Il primo a rifiutare fu Attilio: “Ci sono i miei fratelli? Allora non vengo.”
Poi rifiutò Manlio: “Mia moglie non vuole.”
Stefano avrebbe accettato, ma appena seppe delle ritrosie degli altri, si tirò indietro e lo stesso fece Benedetto.
Al cugino venne un’idea: “Senti Bianca, perché non dici che vuoi discutere della tua eredità? I nipoti che non parteciperanno saranno automaticamente esclusi. Vedrai che si precipiteranno tutti.”
L’anziana cugina seguì il consiglio. Una sera dunque, i quattro figli di Emma erano nel suo salotto e si guardavano in cagnesco. In quel grande salone antico, tante volte da piccoli s’erano rincorsi rompendo questo o quel soprammobile. Ricordavano i bei momenti del passato, la propria madre e il suo dolce sorriso. Osservavano gli oggetti cari alla nonna: una statuina di porcellana cui era stata riattaccata la testa dopo che Attilio l’aveva fatta cadere, un servizio da tè in argento che i genitori avevano donato ai nonni. Ma la mamma non c’era più e l’odio era tornato a serpeggiare nei cuori, come un sentimento che si nutre di se stesso e più si lascia silente, più si incancrenisce e aumenta.
Stefano guardava la nonna con amore, poi volgeva gli occhi sui fratelli e diveniva livido. Benedetto ammirava gli splendidi, enormi tappeti persiani e poi contraeva le mascelle.
Si temevano a vicenda e generalmente si odia chi si teme. Si erano offesi tra loro e quindi non potevano fare a meno di provare un sentimento di astio. Però non provavano indifferenza l’uno verso l’altro.
“Allora tu sei il cugino Fernando?” aveva esordito Manlio.
“Già, sono io, e sono qua come mediatore.”
“Mediatore di che, scusa?” aveva chiesto Benedetto.
“Beh, diciamo meglio come intermediario in una lite lunga e penosa.”
“Io credevo si dovesse parlare dell’eredità della nonna,” era intervenuto Attilio.
“Eredità in quanto credo che vi voglia diseredare se prima non troverete il sistema per rappacificarvi e dividere la casa di Emma.
“Ah no! Non m’interessa niente. Io non divido nulla!” Attilio era saltato su come morsicato dalla tarantola.
“Certo,” aveva detto Stefano “ vale più la casa e tutti i libri di papà che l’eredità della nonna.”
“Ma che ne sapete della mia eredità? A parte questa magnifica casa, ho un’enorme patrimonio in banca, in danaro, gioielli, quadri e tappeti. Vostro nonno dai suoi viaggi in mare, mi portava le cose più rare!”
I nipoti l’avevano guardata con aria basita.
“Io credo,” aveva continuato Fernando “che Attilio potrebbe restare nella casa a patto di dividere i libri e impegnarsi a pagare ai fratelli il corrispettivo in danaro, anche a rate.”
“Guarda Attilio,” aveva detto la nonna “ che io ti aiuterei con il denaro della tua parte d’eredità e tu saresti più tranquillo anche nei riguardi della legge, perché se i tuoi fratelli si rivolgono alle autorità giudiziarie, secondo me, ti fanno sbattere fuori.”
“Non c’è dubbio che prima o poi lo faremo sbattere fuori da quella casa!” aveva esclamato Manlio.
Un silenzio tombale era seguito a queste ultime parole. Come fosse stato lanciato un ultimatum di guerra.
Attilio cominciò ad agitarsi sulla poltrona. Stringeva con le mani i braccioli e contraeva le gambe. Si grattò la testa, tossì, abbassò le spalle, poi le rialzò: “Ma va’! Chissà quanti anni dovrebbero passare prima! Comunque, se invece prendessi questo impegno, potrei restare nella casa per sempre? Davvero nonna mi daresti i soldi per pagare i miei fratelli?”
“Certo! Se lo dico, vuol dire che so i fatti miei. Però vi voglio vedere in pace e voglio vedervi sorridere a vicenda. Questo era l’unico desiderio della vostra povera madre.”
Nel dire così, Bianca aveva le lacrime agli occhi e si soffiava il naso.
Fernando aveva ripreso: “Allora Attilio, ti impegni? Darai i libri ai tuoi fratelli? Darai i soldi?”
Quello aveva continuato ad agitarsi, era rimasto zitto, s’era grattato di nuovo la testa e pareva volesse negare, poi all’improvviso:
“Va bene. D’accordo. M’impegno.”
Manlio, Stefano e Benedetto avevano sempre sperato di averla vinta con Attilio. Ora si accorgevano che un accordo raggiunto e una pace certa avevano un diverso significato. Il significato di riabbracciarsi, di guardarsi senza astio e senza rancore. Di tornare a ridere assieme, di non sentirsi più nemici e isolati. Si rendevano conto di quanto fosse vero quello che la madre spesso diceva e cioè che la pace tra fratelli è il miglior viatico per la serenità.
“Non c’è serenità senza pace e non c’è pace senza serenità,” diceva Emma.
Vivere sereni sapendo di poter telefonare a un fratello era una gioia nuova, un bene quasi insperato.
Si alzarono tutti e quattro e stesero la mano destra. Se la strinsero ridendo e sorridendo. Poi chiesero alla nonna di poter brindare all’accordo raggiunto e alla riconciliazione.
Bianca prese dello spumante e lo stappò. Levarono le coppe nelle quali il vino pallido respirava frizzando. I bicchieri tintinnarono e gli occhi erano colmi di gioia ed entusiasmo.
“Grazie Fernando,” disse Stefano.
“Davvero sei un perfetto intermediario,” aggiunse Manlio.
“No, non ho fatto nulla di speciale,” terminò lui “ ho solo dato voce alle vostre ragioni e alle vostre speranze. Quello che mi rende felice è vedere Bianca raggiante.”
Quest’ultima infatti pareva al settimo cielo, brindava e rideva, tossiva, beveva e piangeva.



Gabriella Cuscinà

   
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