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 Una partita di pallone
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 04/03/2004 :  09:16:36  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Una partita di pallone

Fabio aveva sempre amato qualsiasi tipo di sport, ma il calcio in particolare era stato la sua grande passione.
Ancora oggi, che non è più un ragazzo, si ritrova con gli amici per disputare qualche partita e per sgranchire i muscoli inseguendo la benamata sfera di cuoio.
Quella passione è stata la sua dannazione e se soffre di tallonite, artrosi alle ginocchia e artriti diffuse, lo deve proprio a quella mania insanabile che lo perseguita da tutta la vita. Sin da piccolo, disputava con amici e compagni di scuola delle partite. Le organizzava anche con la febbre e il raffreddore, sempre pronto a giocare in qualsiasi ruolo, o come attaccante, difensore oppure portiere.
Quanti ricordi, quanti momenti legati a quelle occasioni d’incontro!
Ma stasera deve recarsi con la moglie ad un ricevimento importante e ha dovuto, suo malgrado, rinunciare a una partita organizzata tra colleghi.
Si morde le dita e pensa che invece di gozzovigliare e ascoltare facezie e chiacchiere inutili, avrebbe preferito fare una cosa molto più salutare come una bella partita di pallone.
Con i colleghi avevano sempre disputato tornei e messo in palio soldi e coppe. Si erano impegnati e battuti come se ne andasse del loro onore, ma in ultima analisi, il divertimento era sempre stato assicurato.
Mentre si veste, per andare a quella noiosa festa, si lascia andare ai ricordi.
Ripensa a quel famoso incontro in cui aveva profuso il solito, totale impegno. Si era trattato di disputare la finale di un torneo interbancario nazionale e lui aveva ricoperto il ruolo di ala destra. Avevano giocato di sera, con il campo illuminato da enormi riflettori ed una folla incredibile di spettatori. Erano state ore indimenticabili e tutto il contesto aveva contribuito a renderle tali.
Prima della partita, la città era circondata da un incanto impalpabile, il cielo era soffuso di una luce iridescente e l’aria autunnale era tiepida e piena di profumi. Poche nubi rarefatte si muovevano in alto e non c’era pericolo di pioggia.
Si preannunciava una partita memorabile e le due squadre finaliste erano quella della sua banca e quella della banca rivale di un’altra città.
I giocatori erano tutti molto galvanizzati e si guardavano più o meno in cagnesco. Di certo, lo spirito sportivo e di leale antagonismo non impregnava i loro animi!
Il calcio d’inizio era stato giocato dalla sua squadra e dopo la prima mezz’ora, erano già in vantaggio di un gol. Successivamente lui stesso aveva segnato nuovamente, scatenando un boato d’entusiasmo tremendo: aveva dribblato due giocatori ed era filato dritto nell’area avversaria sferrando una cannonata che era finita in porta. Abbracciato e festeggiato dai colleghi, si era sentito pieno d’orgoglio.
Nel secondo tempo purtroppo, la sfortuna si era accanita contro di lui e in vari momenti di quella fatidica partita aveva fatto la figura del citrullo.
All’ottavo minuto, un avversario lo aveva colto in contropiede riuscendo a levargli la palla. Lo aveva inseguito, ma quello correva più di lui. Gli altri suoi compagni non erano riusciti a fermarlo. L’aveva tallonato sino alla propria porta e, quando aveva tirato, con un balzo si era frapposto tra lui e il portiere cercando di bloccare il pallone. Il risultato era stato disastroso! Infatti il portiere non aveva visto più nulla ed aveva allargato le braccia. Il pallone era passato tranquillamente ed era finito dentro.
Qualcuno tra il pubblico gli aveva urlato: “Aho? Che giochi a mosca cieca?”
Sul due a uno, aveva ripreso a giocare con più accanimento senza lasciarsi scoraggiare da quell’errore, ma gli avversari si erano ringalluzziti e contrattaccavano in continuazione. Vedeva i suoi compagni esausti, affannarsi da tutte le parti per arginare le loro offensive. Una palla era stata lanciata in aria con un calcio rocambolesco ed era finita vicinissima alla sua porta. Era corso per bloccarla, ma era rimbalzata su di lui e non aveva potuto evitare l’autogol.
I brusii di biasimo lo avevano umiliato, gli spettatori avevano fischiato e volevano che uscisse dal campo.
Comunque stavano pareggiando e voleva riscattare la sua dignità di provetto e appassionato giocatore. Dunque s’era impegnato come un ossesso per segnare un altro punto. Riusciva a trovarsi sempre nell’area avversaria, tanto che un difensore aveva commesso un fallo su di lui e l’arbitro gli aveva assegnato il calcio di rigore.
Il cuore gli batteva a martello per l’emozione. Se avesse dovuto sostenere l’esame di laurea, non avrebbe avuto quella agitazione e non avrebbe avvertito quei brividi lungo la schiena. Aveva disposto il pallone dinanzi al portiere come se stesse firmando una dichiarazione di guerra e l’aveva guardato con occhi iniettati di sangue!
Aveva compiuto parecchi passi indietro e s’era scaraventato sulla palla tirando una raffica di destro. Il portiere aveva fatto un tuffo ad angelo e aveva parato!
Fabio aveva creduto di morire. Lo sconforto e la delusione erano stati enormi. I compagni lo guardavano con deplorazione, il pubblico fischiava e lo scherniva. Qualcuno rideva e faceva pernacchie. Lo scoraggiamento della sua squadra era palpabile, erano stanchi e mancavano pochi minuti alla fine dell’incontro.
Gli avversari premevano verso la loro porta e tutti i compagni si trovavano nella propria area per bloccarne l’attacco. Ad un certo punto, era stato distratto da uno strano fenomeno: aveva osservato fuoriuscire dai calzoncini di un avversario un pezzo di carta igienica. Era rimasto sconcertato e si chiedeva il come e il perché, quando il pallone era arrivato verso di lui. Aveva perso dei secondi preziosi ed era rimasto fermo, poi si era esibito in una elevazione cercando di bloccarlo. Non c’era riuscito. La sfera di cuoio aveva sfiorato il suo capo ed il goal era stato inevitabile!
Il peggio era stato che nel ricadere, aveva provato un dolore terribile al tallone. Lo avevano portato fuori dal campo. Due minuti dopo, l’arbitro aveva fischiato la fine delle ostilità e avevano perso per tre a due.
Non riusciva più a muovere il piede e la caviglia era gonfiata vistosamente. Ma non se ne curava, il pensiero era rivolto solo alla sconfitta, imputabile alla sua dabbenaggine e alla sua imperizia.
I colleghi avevano cercato di minimizzare, ma l’avevano trattato con sussiego e la mortificazione era stata indimenticabile!
All’ospedale gli avevano diagnosticato la frattura della caviglia e l’avevano ingessato con una prognosi di tre mesi.
Per un intero anno non aveva più potuto giocare e l’avevano depennato dalla formazione della squadra della banca.
Fabio non dimenticherà mai più quella partita e, a distanza di anni, prova molta amarezza nel ricordarla. Fortuna che l’amore per il calcio non l’ha mai abbandonato e ha potuto continuare a giocare con amici e colleghi per divertimento e per puro spirito sportivo.

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Gabriella Cuscinà

   
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