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 La gavetta di uno stilista
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Roberto Mahlab
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Inserito - 08/03/2003 :  13:29:24  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

Io non so se sia da imputare al fatto che agli uomini non viene consentito da piccoli di giocare con le bambole, ma la "sindrome dello stilista" puo' essere considerata una vera malattia della psiche che richiede pazienza e infine una drastica cura.

Appena mia sorella mi appese al collo la sua bimba nata da pochi giorni, l'abbraccio fu mutuo e io decisi di incaricarmi affinche' un simile gioiello dovesse sempre risplendere anche nei vestiti, come se fosse un modo per offrire agli occhi di tutto il mondo la luce che io la vedevo emanare.

Devo dire che lei non mi aveva mai incaricato di quella funzione, io sono sempre stato piuttosto il suo compagno, con cui sopportava gia' all'eta' di cinque anni una scalata, fino a scendere tempo dopo con due slitte i sentieri di un bosco innevato da duemila metri fino a valle. Molte le avventure di cui sua mamma non ha conoscenza e che non ha mai potuto immaginare quando ci vedeva tranquillamente immersi nel procedere degli studi scolastici di Pamela, anche se funzionava cosi': mia nipotina leggeva i fumetti e io studiavo la sua lezione ed mi inorgoglivo quando mi riferiva che i suoi professori ci avevano dato un bel voto alla successiva interrogazione, non ho mai avuto il coraggio di domandarle che cosa le chiedevano.

Ma questo idilliaco quadretto presentava, come ho detto all'inizio, un'ombra oscura.
Il primo vestito che le comprai fu in un mercato sul lago Maggiore, ricordo che vagai per le bancarelle fino a che trovai una specie di sacco di corda, costava undicimila lire e fui preso dall'entusiasmo e lo acquistai per lei. Fieramente glielo consegnai il giorno dopo e credo che sia stato un grande insegnamento per una bambina di cinque anni: apprese infatti a muovere i tratti del viso per mostrare una espressione di incredula e stupefatta consapevolezza di fronte alla prova che un altro essere umano non fosse esattamente padrone di tutte le sue rotelle.

E cosi' il tempo passo' tra la complicita' in tante avventure e innumerevoli acquisti di abiti che venivano regolarmente accettati con sguardi di fuoco e poi non venivano mai indossati.
Fino a che maturarono i fatti che la storia considerera' come le gocce che fecero traboccare il vaso.
Il primo ebbe inizio nella giungla della Malesia, ero in visita di lavoro in quel paese e in una giornata libera mi addentrai in un villaggio e fui attratto da una bottega in legno nella quale erano appesi molti completi da donna disegnati con sgargianti colori, era il regno del batik e una perplessa commessa del negozio mi insegui' tra i modelli esposti alla ricerca di un vestito che secondo la mia visione la mia nipotina avrebbe potuto mettere alle feste a Milano.
Scelsi il vestito piu' colorato, un piacere per gli occhi, spiegai alla commessa la mia gioia per aver trovato quanto certamente mia nipotina sarebbe stata estasiata di indossare, mi accorsi che la ragazza cercava timidamente di dirmi qualche cosa, ma lo scambiai per un cenno di saluto.

Durante il viaggio di ritorno verso l'Europa mi sentivo sui carboni ardenti, incitavo il pilota a fare presto, il vento a dare slancio alle ali dell'aereo, decine di volte si svolse dentro di me la scena di mia nipotina a bocca aperta per la sorpresa di quel vestito che io vedevo brillare come stella in una notte senza luna. Una gonna lunga, una camicetta e una giacchettina, disegni di tutti i colori, certo ogni tanto dovevo cacciare la parte dispettosa del mio inconscio che mi lanciava il geloso suggerimento che piu' che un bel vestito, potesse essere un bel pigiama.

Mia nipotina si trattenne dal commentare il regalo e io le ripetei piu' volte che adesso finalmente aveva un vestito che avrebbe potuto mettere incessantemente per tutta la vita.
Qualche giorno dopo mi disse che sarebbe andata ad una festa e quando le suggerii quel vestito mi disse :"No, quel vestito non lo mettero' mai, non posso andare ad una festa in Europa con addosso un pigiama malese".

Devo dire che mi convinse e questo mi indusse a cominciare a pensare che da quel momento in poi avrei dovuto anche tenere in considerazione i suoi gusti, la sua logica e le sue necessita'.

Poi il secondo fattaccio che mi guari' definitivamente.
Mentre io stavo studiando per la sua interrogazione dell'indomani sui filosofi dell'ottocento, lei mi disse che sarebbe intanto andata dal parrucchiere per tagliarsi un poco i capelli. Mi precipitai ai suoi piedi e toccandole quei lunghi riccioli d'oro la implorai di non farlo.
Si irrigidi' e mi rispose con occhi fiammeggianti :"non toccare i miei capelli, non sono piu' una bambina, sono una ragazza, e se voglio andare dal parrucchiere tu non c'entri".
Di fianco a noi c'era la mia segretaria, mio braccio destro e sinistro e mente pensante, alla quale devo ammettere avevo pure chiesto di non tagliarsi mai i capelli e la mia segretaria riprese :"Ha ragione Pamela e anche io vado dal parrucchiere a farmi tagliare un po' i capelli qualunque possa essere il tuo parere". Compresi che cosa avevano provato i reali francesi allo scoppio della Rivoluzione.

Osservai Pamela con occhi nuovi, mi accorsi che aveva ragione, crollai e ci mettemmo attorno ad un tavolo e mia nipotina e la mia segretaria mi interrogarono sulla mia sindrome e, come sul lettino dell'analista, raccontai loro tutti gli episodi della vita legati a quella situazione, rivelai con fatica ma con sollievo che ogni volta che un'appartenente all'altra meta' del cielo si interessava a me, il mio sguardo correva subito verso le vetrine del primo negozio di vestiti e i miei occhi si staccavano da lei per soffermarsi sugli abiti esposti per valutare quale avrei voluto comprarle. Devo dire che per fortuna mai un danno fu causato perche' o il vestito potevo solo osservarlo dalla vetrina dato che il negozio era chiuso perche' era un giorno festivo oppure non facevo in tempo a mettere in pratica il mio moto dell'animo perche' la vittima a cui tale moto era diretto si era gia' allontanata.

"Va bene", la voce della mia nipotina ruppe l'angoscioso silenzio che si era creato nella stanza dopo che ebbi terminato la confessione, "io mi devo comprare un vestito, vieni con me, pero' non dirai nulla mentre scelgo, ti insegnero' che cosa piace e che cosa non piace alle donne, ti insegnero' a trasformare la tua sindrome in stato d'animo costruttivo e positivo per te e per gli altri".

Per mesi fui il suo accompagnatore nei negozi di abiti, potevo finalmente dare soddisfazione al mio affetto che comportava il desiderio di comprarle i vestiti che a lei piacevano e scoprivo il mio animo divenire leggero e curioso grazie alla scuola di vita e di comportamento a cui stavo avendo la fortuna di essere sottoposto.

Quel pomeriggio mi accorsi che era nervosa, provava diversi modelli, ma poi li toglieva scuotendo la testa e all'improvviso disse rivolta a nessuno in particolare :"non riusciro' mai a trovare un vestito per la festa in Spagna a cui mi hanno invitato la prossima settimana insieme a tutti i compagni di scuola".
Sollevai il mio viso che per lunghi e lunghi mesi era rimasto rispettosamente con gli occhi bassi e la mente aperta e le mormorai :"ho visto un vestito vicino all'ingresso".
Parve scuotersi come sorpresa, mi osservo' seriamente, come se si fosse accorta che qualche cosa di nuovo era arrivato a maturazione, :"me lo porti?" aggiunse con voce molto soffice e attenta.

Era un vestito rosso fuoco, lungo, con le spalline al busto, il tessuto cosi' morbido che si sarebbe mosso come tranquilla onda del mare su chi l'avesse indossato. Lo porsi a Pamela che senza una parola lo prese ed entro' nel camerino di prova. Quando ne usci', compresi la ragione per la quale il mistero della vita mi aveva sottoposto a quella lunga gavetta e nei suoi occhi vidi una radiosa felicita', il vestito pareva essere stato concepito per lei, i suoi occhi azzurri fiammeggiavano e i suoi lunghi capelli biondi parevano volare.

"Che ne pensi di questo?", sono le parole che ora pronuncia quando mi chiede di accompagnarla a comprarsi degli abiti e spesso ascolta la mia opinione, sia che le dica che il vestito le sta bene, sia che le dica che non e' fatto per lei. Non si arrabbia piu' quando le propongo che i suoi capelli sono belli pettinati in un certo modo e anche la mia segretaria ogni tanto mi dice in ufficio che forse vorrebbe tagliarsi un po' i capelli, ma il suo tono e' come se volesse la mia opinione.

E pure per me ho imparato a distinguere una maglietta da un abito e non compro piu' giacche in cui navigo, ma solo quelle di misura giusta, mi sono reso conto di essere stato anche io una delle tante vittime della mia sindrome dello stilista dilettante.

Roberto Mahlab


   
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