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 Un grande amore
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 25/06/2006 :  07:31:05  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
Un grande amore

A quarant’anni, Alfonso era ancora molto giovanile, alto, muscoloso, ben proporzionato, rappresentava il vero tipo mascolino. Aveva una particolare fermezza nei lineamenti nettamente disegnati, un’espressione sdegnosa nella fisionomia virile e una piega ironica sulle labbra. Rappresentava comunque un gran bell’uomo, di quelli che affascinano tutte le donne e colpiscono particolarmente. Sapeva guardare in modo duro, beffardo, enigmatico, con occhi castani in cui spiccavano venature verdi.
I capelli erano neri lucidi, ondulati e corti. Atletico e con le spalle larghe, non aveva mai amato veramente nessuna donna, sebbene ne avesse avuto un’infinità, varie fidanzate di ogni tipo. Avevano occupato tutte un posto nel suo cuore fino a quando non se n’era stancato, e allora le aveva lasciate adducendo il solito pretesto della pausa di riflessione. In realtà non voleva più vederle, né sentirne parlare poiché, prima o poi, ognuna lo stancava e lo esasperava.
Nel passato, era stata sua compagna una inglesina assai graziosa, minuta e semplice, con due lauree e che parlava perfettamente in Inglese e Italiano. Avevano convissuto d’amore e d’accordo per due anni e tutti dicevano che fosse la persona giusta per lui. Invece, allo scadere del secondo anno, la giovane inglese aveva lasciato la casa di Alfonso. Gli amici e i parenti dissero che non andavano più d’accordo perché lei era di religione protestante, ma la verità era che lui se n’era, come al solito, stancato.
Poi aveva conosciuto un’indossatrice stupenda, bella da mozzafiato, altissima e appariscente, ma al tempo stesso riservata ed enigmatica.
Avevano convissuto per sei mesi e poi lui aveva cominciato a notare che le piacevano le donne. All’inizio aveva pensato che fosse solo una sua impressione, una banale e sciocca suggestione, ma poi aveva notato che lei era molto sensibile al fascino femminile e s’illanguidiva se le veniva presentata una bella donna. Alfonso l’aveva lasciata su due piedi ed era corso ai ripari dicendo che non la voleva più in casa perché doveva accogliervi una nuova fiamma. Aveva preferito tagliare subito i ponti con l’indossatrice, anche se in modo brusco e crudele. D’altra parte, gli succedeva spesso di essere crudele sia sul lavoro che in società.
Successivamente aveva conosciuto una psichiatra molto intellettuale che l’aveva affascinato con la sua cultura e le sue conoscenze psicologiche. Avevano convissuto per qualche mese, fino a quando non s’era accorto che lei mostrava segni di sofferenza mentale simili a quelli dei suoi pazienti. In poche parole, era più pazza dei suoi ammalati. Aveva lasciato anche lei e, poco alla volta, Alfonso era divenuto scettico riguardo alle donne, disincantato, le considerava tutte un inutile peso e un impiccio. Alla sua età preferiva restare tranquillo e solo, scapolo convinto, destinato a rimanere tale. Ogni tanto aveva qualche avventura e si portava a letto una bella donna disponibile, ma niente di più.
Talora si sentiva fortunato e come scampato dal tremendo pericolo del matrimonio. Certo gli pesava la solitudine, poiché i genitori erano morti e non aveva fratelli o sorelle. Figlio unico, ricco erede di una bella fortuna, era un imprenditore affermato. Gli amici erano pochi e tutti lo circondavano e lo cercano solo per interesse e tornaconto. Ma Alfonso stava bene così e riempiva la propria vita con il lavoro e con i viaggi che gli permettevano di girare e conoscere il mondo.
Aveva conosciuto una bellissima ragazza araba, era rimasto affascinato dal suo sembiante esotico e dalla pelle ambrata e ne aveva fatto la sua compagna sino a quando non aveva scoperto che era fuggita dall’Arabia per sottrarsi alla tirannia del marito, il quale aveva altre due mogli. S’era arrabbiato per il fatto che non gli avesse mai parlato del suo precedente matrimonio e l’aveva lasciata su due piedi.
Successivamente aveva saputo che una lontana cugina s’era tolta la vita per amor suo, infatti gli aveva dichiarato il suo folle amore e aveva tentato di circuirlo in tutti i modi, ma lui l’aveva disprezzata, insultata e non l’aveva considerata degna di una minima attenzione. La notizia della sua morte l’aveva lasciato indifferente perché era divenuto tendenzialmente imperturbabile e insensibile. Era rude nei rapporti con gli altri e arrogante, cinico e intollerante. Non andava mai in chiesa e col tempo era ormai divenuto un miscredente.
Un bel giorno fu invitato da una zia, sorella di sua madre, che non aveva più rivisto perché risiedeva in un’altra città, ma cui era stato molto legato da ragazzo.
- Vieni a trovarmi, caro nipote, prendi l’aereo e vieni qui da me; ho tante cose da dirti e sono agli sgoccioli in quanto mi hanno riscontrato un carcinoma maligno che mi lascia solo pochi mesi di vita.-
Alfonso provò un profondo dolore per la prima volta dopo la morte dei genitori. Disse che sarebbe andato a farle visita e così fece.
La trovò smunta e sofferente, non poteva più muoversi dal letto ed era terribilmente pallida. La zia gli presentò Marta, la figlia che aveva adottato piccolissima. Lui la ricordava bambina di due anni e ora si trovava di fronte una giovane ventenne, alta, ben fatta, con lunghi capelli castano chiaro, gli occhi nerissimi e vellutati. Ne restò folgorato e capì che davvero può esistere il colpo di fulmine, perché la visione di quella ragazza gli aveva fatto pensare di non aver mai conosciuto nessuna donna fino al quel momento. La zia gli ricordò di essere vedova da qualche anno e che tra non molto anche lei sarebbe ritornata al Creatore, dunque Marta sarebbe rimasta sola e senza una valida rendita, in quanto non aveva da lasciarle che pochi soldi. Lo pregava allora di prendersi cura di sua figlia, visto che lui era molto ricco e facoltoso.
Alfonso restò sulle prime interdetto, ma poi capì di dover accettare non fosse altro per dovere e per non sembrare insensibile e poco generoso. In realtà era ben lieto di doversi occupare della fanciulla che aveva risvegliato tutte le passioni assopite del suo cuore indurito.
A quel punto cominciò ad attendere la morte della zia, dicendo a se stesso che preferiva non saperla più sofferente, ma al contempo sapeva di desiderare che Marta andasse ad abitare sotto il suo tetto.
Infatti quando pochi mesi dopo la zia morì, Marta si trasferì e andò a vivere nella casa di lui, che era stato nominato suo tutore testamentario. Naturalmente la ragazza era molto addolorata per la morte della madre ed era dimagrita e pallida. Però sotto un aspetto sofferente, conservava uno sguardo vivo, vigile e spaventato. Alfonso la trovò più bella e affascinante di prima, capì di esserne perdutamente innamorato e di desiderarla ardentemente, solo che non osava turbarla o intimorirla in alcun modo. Per di più non sapeva se lei fosse al corrente di essere una figlia adottiva; la zia non ne aveva parlato, né lui stesso aveva badato a chiederglielo. Comunque pensava che conversando con Marta, ben presto l’avrebbe capito, facendosi raccontare della sua vita precedente, chiedendole che studi avesse fatto e se volesse esercitare una professione. Invece parlando con lei, tutto capì tranne il fatto dell’adozione. La ragazza non ne accennava mai, come se non ne sapesse nulla e si credesse veramente figlia della zia. Disse di essere diplomata in lingue straniere e di volere lavorare per aiutare i bambini handicappati. Ma c’era nei suoi occhi alcunché di dolce, vellutato, di pio e mesto che faceva girare la testa ad Alfonso.
La ragazza, quando parlava, mostrava degli atteggiamenti monacali, riservati, modesti e nello stesso tempo, disponibili nel senso sano del termine. Certo non aveva alcuna confidenza con lui, ma si sforzava di apparire cordiale e socievole.
Nei giorni successivi, Alfonso si accorse che non spendeva i soldi che le dava per le necessità giornaliere e li risparmiava. Poi si rese conto che Marta usciva e andava a portare quei soldi a tutti i poveri che incontrava.
Mostrava un’ansia febbrile, quasi un piacere nello sbarazzarsi del denaro. Più il mendicante era male in arnese, più la ragazza si prodigava ad aiutarlo. Se è poi si trattava di qualche donna che chiedeva l’elemosina con un bambino in braccio, Marta tornava a casa, prendeva del cibo e lo portava al bambino. Allora Alfonso pensava che la ragazza avesse un’anima nobile e possedesse una sensibilità elevata. Sapeva soffrire per gli altri, cioè la sofferenza altrui la faceva patire. Rifletteva che il cuore di lei si esaltava nel dolore. La ragazza gli aveva spiegato che solo quelli che sanno donare vengono a conoscenza delle grandi gioie: gioiscono del sorriso di Dio che non si rivela mai alle persone meschine, piene di sé ed egoiste, ma solamente alle anime splendenti di entusiasmo e di bontà.
Alfonso cominciava a cambiare la sua concezione della vita, aveva perso la precedente aridità di cuore e guardava con occhi diversi il suo prossimo.
Perché succedeva questo? Ma proprio perché Marta guardava le persone prima di tutto come esseri umani e lo induceva senza volerlo a fare altrettanto. Dunque anche verso le altre donne aveva cambiato parere e non le disprezzava più. Prima sosteneva che la donna fosse un condensato di furbizia e di vanità, che bisognava tenerla sottomessa altrimenti riusciva a sopraffare l’uomo con il suo dispotismo. Era convinto che ella usasse civetteria, seduzioni, bronci e carezze per manovrare il maschio a proprio piacimento. Adesso invece era pronto a rimangiarsi tutte quelle teorie.
I due vivevano nella stessa casa accuditi da una attempata governante e Alfonso si svegliava pensando a Marta e non vedeva l’ora di darle il buongiorno e di guardarla negli occhi, quegli occhi vellutati e dolci che gli destavano sensazioni sconosciute. Facevano colazione insieme e conversavano del più e del meno, scambiandosi pareri e scherzando bonariamente. Lui sapeva di amarla pazzamente e di desiderarla come mai aveva desiderato una donna in tanti anni. Ma non diceva niente, non osava, aveva timore di spaventarla, anche se talora aveva l’impressione che lei lo ricambiasse e non sapeva o non voleva confessarlo. Però forse era solo un’ illusione.
Un giorno Marta gli raccontò la strana leggenda di un narratore, la cui giornata era fatta di tanti impegni vissuti senza lasciarsi vincere dagli affanni e dalle preoccupazioni. Felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma al narratore il mondo pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato nell’anima, e ne soffriva. Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un'idea: “E se raccontassi agli uomini delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell'amore, il piacere del donare, la felicità d’offrire agli altri il proprio cuore e il proprio aiuto. Li porterei sicuramente alla felicità!”
Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, studenti, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada. Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un momento, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Altri cinicamente commentarono: “Che illuso ed ingenuo, non ha ancora capito che tutti questi bei discorsi sono inutili, i suoi sogni non si possono avverare! Che si svegli, la vita è tutt'altra cosa!”
Qualcun altro lo trattò da pazzo fanatico, ma lui continuò imperterrito a
narrare. Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, per offrire i suoi racconti d'amore e i racconti di quelle voci che abbiamo dentro, che ci parlano di cieli azzurri e aria pulita, di sogni e batticuori, di voglia di abbracciarsi e piangere insieme. Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti, che lo sfioravano appena. Non rinunciò. Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, pur se non interessavano a nessuno. Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le sue palpebre chiuse.
Passarono degli anni. Una sera d'inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì qualcuno che lo tirava per la manica. Aprì gli occhi e vide un ragazzo che gli fece una smorfia beffarda: “Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà
mai? Perché vuoi perdere così il tuo tempo?”
“Amo i miei simili;” rispose il narratore. “ per questo mi è venuta voglia di renderli felici!”
Il ragazzo ghignò:”Povero pazzo, lo sono diventati?”
“No” rispose il narratore, scuotendo la testa.
“Perché ti ostini allora?” domandò il ragazzo preso da compassione. “Continuo a raccontare e racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo...”. Tacque, poi il suo sguardo si illuminò e disse: “Oggi racconto perché il mondo non cambi me.”
Quando Marta ebbe finito, Alfonso le chiese: “ Perché mi hai raccontato questa leggenda?”
“Perché tu non sei come quell’uomo,” rispose “ vedi, io credo che sinora la tua vita sia stata inutile. Scusami, forse ti sembrerò presuntuosa, ma so che non hai mai fatto del bene al prossimo e anzi mi hanno detto che sei stato crudele verso tante persone. Devi cambiare, Alfonso, e cambiare radicalmente.”
“Perché vorresti questo? In fondo cosa t’interessa di me?”
Marta era arrossita e aveva abbassato gli occhi, poi aveva detto: “Io devo restare con te, ma vorrei che tu fossi un uomo buono. Mia madre mi ha insegnato l’altruismo; io non ero sua figlia naturale , ma mi ha sempre fatto sentire carne della sua carne, mi ha inculcato l’amore verso il prossimo, l’amore che può tutto.”
Alfonso aveva soggiunto: “Dimmi, Marta, ti piacerebbe insegnarmi a cambiare? Ti piacerebbe occuparti di me?”
“Se non sbaglio, il tutore sei tu, io sono molto più giovane, sei tu che ti devi occupare di me.”
Questa risposta era stata come uno schiaffo e lui era impallidito: “Scusami, scusami, non volevo offenderti, lo so che sei giovane.”
“Però io sento di volerti molto bene” aveva continuato la ragazza con le guance in fiamme “ e se vorrai, ti aiuterò a diventare più generoso e disponibile verso gli altri.”
“Marta, noi ci togliamo quasi vent’anni, però se me lo permetterai, ti sposerò e allora potrai fare di me ciò che vorrai.”
La ragazza accettò e i due si sposarono. Alfonso divenne uno dei maggiori benefattori della sua città, cominciò a donare ed elargire le sue enormi ricchezze ai più poveri e diseredati. Ebbero tre figli e ad ognuno di essi narrò il sapore della bontà e dell'amore, il piacere del donare, la felicità d’offrire agli altri il proprio cuore e il proprio aiuto.”

Gabriella Cuscinà

   
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