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 La signorina Pierina
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 10/01/2006 :  09:27:18  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
La signorina Pierina


Rediviva. Che parola strana e suggestiva! Evoca sensazioni di mistero. Quella parola aveva riportato alla mente di Carlo una persona conosciuta molti anni prima in Sicilia. Si rendeva conto di come la memoria dell’uomo fosse una facoltà singolare, oltre che preziosa. Infatti non appena sturava il contenitore dei ricordi, quelli venivano fuori a cascata e non poteva più fermarli.
Aveva circa dodici anni a quei tempi e la zia Sara lo conduceva spesso a far visita ad una anziana signorina che abitava in una antica villa nobiliare. Una costruzione del Settecento immersa nel verde, tra palme centenarie, piena di ampi saloni affrescati e decorati, con lampadari enormi che scendevano da volte sontuose. Vi era una cappella dedicata alla Madonna, con tante immagini sacre e una statua di Santa Rosalia.
La signorina si chiamava Pierina, era nubile, esile e sparuta. Era ammalata di tumore maligno e le davano solo pochi mesi di vita. Lei aveva reagito e con tutte le sue forze aveva voluto vivere. Non s’era rassegnata alla morte e aveva lottato come poteva. Fatto sta che era guarita dal cancro e la consideravano rediviva.
Aveva insegnato a Carlo: “Bisogna lottare nella vita. Quando tutti ti dicono che è finita, tu combatti, non ti dare per vinto. Abbiamo dentro di noi delle forze sconosciute, dobbiamo solo metterle in moto. Ama la vita. Sii sempre riconoscente per averla avuta in dono. Mostra la tua gratitudine cercando di non sottrarti mai alle sue sfide.”
E poi gli aveva parlato di quella Santa di cui c’era una statua nella cappella. Gli aveva detto che era stata una giovinetta votata a Dio e che aveva miracolosamente salvato la città di Palermo da una pestilenza nel 1600.
Un pomeriggio caldo afoso, Carlo trovò Pierina che dormiva sollevata a mezz’aria, sospesa sul suo letto. Pareva morta, invece era viva, respirava placidamente, con un respiro regolare e tranquillo. Le braccia incrociate sul petto e i piedi dritti e allineati.
Fu colto dalla paura, ma non riuscì a gridare. Restò a guardarla esterrefatto e non credeva ai propri occhi! Come poteva restare ferma sospesa in aria?
Dopo un po’, il corpo era sceso lentamente sopra il letto e Pierina si era svegliata.
Carlo non aveva mai più dimenticato quella scena.
Rammentava che zia Sara organizzava delle partite di Canasta e la signorina era sempre invitata. Si presentava fornita di una sedia gabinetto. Cioè, siccome a quei tempi non esistevano i pannoloni per gli anziani incontinenti, lei per non alzarsi in continuazione, si premuniva di quel sedile con la parte centrale vuota e con annesso un sacchetto per la raccolta degli escrementi.
Poi una volta, durante una partita di Canasta, un’amica aveva annunziato che sarebbe partita per andare con il marito in un Casinò della Francia.
Pierina la guardò e disse: “Bene. Non appena entri e vai al tavolo della roulette, punta il tuo denaro sul numero sei. Poi esattamente all’una di notte, punta il numero ventuno.”
Quando l’amica tornò dal suo viaggio, raccontò euforica di avere vinto molti milioni proprio nel modo e con i numeri indicati da Pierina.
La signorina aveva spiegato a Carlo l’antico gioco siciliano del papero. Un gioco che si faceva per la festa di San Vito, l’ultima domenica di giugno e alla scomoda ora delle due pomeridiane. Si andava al fiume e, su una corda tesa sull’acqua si appendevano per le zampe tanti paperi vivi. I cacciatori si tenevano aggrappati con una mano e con i piedi alla corda e, con l’atra mano, dovevano cercare di spezzare le zampe ai paperi e prenderli. Nel frattempo la corda, unta di grasso, veniva fatta dondolare con strattoni.
Pierina era una persona molto devota e impartiva delle lezioni di catechismo cui Carlo aveva partecipato.
Gli aveva raccontato una vecchia leggenda assai interessante:
Una volta un sacerdote passando dall’altare, decise di fermarsi per vedere chi era venuto a pregare. Vide un uomo vecchio e male in arnese, con la barba lunga, una camicia consunta e una giacca logora. Egli pregava, poi si alzò e uscì.
Nei giorni seguenti, sempre a mezzogiorno, l’uomo tornava in chiesa a pregare. Il sacerdote, preoccupato, cominciò a sospettare che si trattasse di un ladro. Quindi lo fermò e gli chiese bruscamente: - Che fai qui?-
Quello rispose che veniva ogni giorno a dire queste poche parole: - Signore, sono venuto per ringraziarti di avermi liberato dal peccato. Non so pregare molto bene ma ti penso tutti i giorni. Beh Gesù, qui c’è Jim a rapporto!-
Il sacerdote si sentì uno stupido e disse che poteva venire quando voleva.
Ma un giorno notò che Jim non era venuto. Chiese informazioni e seppe che era ricoverato. In ospedale però egli era sempre sorridente, rideva e la sua allegria era contagiosa.
La caposala non riusciva a capire perché Jim fosse tanto felice dato che non riceveva mai né visite né telefonate.
- Nessun amico è venuto a trovarlo. Non ha nessuno.-
Sorpreso, Jim disse: - L’infermiera si sbaglia. Però non può sapere che tutti i giorni, a mezzogiorno, un mio amico viene, si siede sul letto, mi prende le mani, si china su di me e dice: ‘Sono venuto, Jim, per dirti quanto sia felice da quando ho la tua amicizia. Mi piace ascoltare le tue preghiere. Ti penso ogni giorno. Beh Jim, qui c’è Gesù a rapporto.’-
Quando Pierina aveva concluso quel racconto, Carlo si era ritrovato con le lacrime agli occhi.


Gabriella Cuscinà

   
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