Angelica Edna Calò Livnè, ebrea residente in Galilea, ha 'inventato' una compagnia teatrale i cui attori sono ragazzi ebrei ed arabi che insieme parlano della loro voglia di pace.
Dopo aver assistito allo spettacolo, intitolato "Bereshit, In Principio", abbiamo chiesto ad Angelica di aiutarci a capire la radice di quest''avventura' che porta avanti nel suo piccolo un vero miracolo, il miracolo della pace.

Io sono ebrea, la mia famiglia é ebrea da tantissime generazioni, non sappiamo se siamo originari della Spagna, se il mio cognome, Calò, derivi dallo spagnolo o dal greco… Forse la mia famiglia dopo la diaspora del '70 d.c., dopo la distruzione del secondo Tempio é passata per la Grecia e successivamente é arrivata in Italia e da allora ha sempre coperto ruoli importanti nell'ambiente ebraico. Ho studiato al collegio rabbinico, sono andata a vivere in Israele, e in questi ultimi 3 anni si sono creati dei legami fortissimi anche con il mondo cristiano e con il mondo arabo. In Italia - ho ricamato dei legami profondi con amici del Movimento di Comunione e Liberazione - sono stata accolta con un tale affetto, con un tale rispetto, con un tale amore che mi hanno dato coraggio ed energia per approfondire il discorso della differenza come ricchezza. Il valore del dialogo é divenuto parte fondamentale della mia vita e ho sentito con chiarezza che ognuno é un ponte che può unire ebrei, cristiani, religiosi e laici e persone di culture e provenienze diverse.
Insegno già da 28 anni, penso che educare sia risvegliare nella persona che ho davanti tutta la parte positiva, la parte più bella. Uno dei miei ragazzi, dopo un giro per Torino, mi ha detto: "La bellezza è qualcosa che ci fa star bene dentro. Ti tranquillizza, in un certo senso ti fa sentire più bello". Nel settembre del 2002 ho deciso di creare una compagnia teatrale di ragazzi ebrei ed arabi: è nato così a Kerem Ben Zimra, un moshav a 15 km da Sasa - il mio kibbuz in Galilea - il Teatro dell'Arcobaleno, "Teatron Keshet".
La Galilea, con la sua aria cristallina é di per sé teatro di storie, leggende, drammi e incontri di culture differenti. Ora più che mai, in questo periodo cosi difficile della storia del M.O, c'é bisogno di questa armonia, di questo incontro tra gente simile e diversa allo stesso tempo, lontana anni luce ma vicina nei cuori, per aiutare a scoprire e cercare di salvaguardare un equilibrio che sembra divenire ogni giorno più fragile.
Il Teatron Keshet oggi è gestito dalla Compagnia dell'Arcobaleno, con 25 attori in erba: ragazzi religiosi del moshav Dalton, ragazzi arabi del villaggio di Fassouta e del villaggio di Jish, ragazzi dai villaggi ebraici circostanti, una ragazza cirkassa del villaggio di Rehaniya. Non è stato facile far dire ai ragazzi cosa sentivano veramente. La paura e la rabbia sono due sentimenti da nascondere in Israele. Una ragazza ha iniziato, quasi gridando, un monologo struggente in cui ha raccontato la sua esperienza nell'ultima "vacanza" a Mombasa, in Kenya, con suo padre e i suoi fratellini, quando il meraviglioso albergo in cui si trovava é diventato teatro di morte ed orrore dopo un attentato contro i cittadini israeliani (vedi N.P. gennaio 2003).
Ciò che é seguito è stato un sorta di viaggio attraverso i loro sogni e le loro paure: è nato così lo spettacolo "Bereshit", che significa in "In Principio". Perché questo titolo?

"Ho saputo che tra alcuni ragazzi di Fassouta e di Elquosh (il villaggio ebraico vicino) c'é stata una rissa. Sono volate minacce pesanti, parole dure e intimidazioni. Qualche giorno fa, dopo uno dei nostri spettacoli, ci eravamo divisi in gruppi per il dibattito, tra il pubblico c'era anche Ofri, un ragazzo della mia età di Elquosh con il quale poi avevo anche giocato a basket. Mi aveva detto che "Bereshit" l'aveva toccato e che era rimasto impressionato dal nostro modo di dire le cose. Ho deciso, nonostante le rimostranze insistenti dei miei amici di Fassouta, di andare ad Elquosh e di cercarlo, per parlare di questa rissa e convincerlo ad aiutarmi a porvi fine. Viviamo un villaggio accanto all'altro da 50 anni… Quando sono arrivato erano là sulla piazza, sui trattori, c'erano una cinquantina di ragazzi, pronti alla battaglia, come i ragazzi da noi. Mi hanno detto di non provare nemmeno ad avvicinarmi. Ho cercato Ofri. Era su uno dei trattori. Sono uscito dalla mia auto scrollandomi dalla presa dei miei compagni che mi intimavano a rimanere seduto.

"Ofri! Non ti ricordi di me? Non ti ricordi che mi hai detto che non ti aspettavi di poterti commuovere fino a quel punto? Non ti ricordi che poi siamo scesi insieme nel campo da basket?". Ofri ha guardato tutti intorno, é sceso dal trattore, poi ha detto: "Lasciatelo, é un amico!". Dopo tre giorni c'é stata la "Sulcha", la pace tra i due villaggi. Capisci? Ormai abbiamo un compito! Dobbiamo andare avanti!".
Davanti a fatti di questo genere, come si può non sperare?

Angelica Edna Calò Livnè