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 I brividi di concerto/"Halloween Masquerade"
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Roberto Mahlab
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Inserito - 24/12/2006 :  09:13:28  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

Quante volte vi capita di ritrovarvi in fila in auto al semaforo e di ascoltare un suono furioso di clakson alle vostre spalle perchè non siete schizzati via a tutta velocità all'apparire del verde e poi lanciate il vostro sorriso ironico all'indirizzo del guidatore che vi supera sgommando.

Oppure il commento sarcastico che non riuscite a trattenere rivolto alla persona che sgomita per superarvi nella coda all'ufficio postale.

O la risata di scherno che dedicate a chi vi appare aver appena proferito un discorso che non sta nè in cielo nè in terra.

Il guidatore, la persona che sgomita, quella che parla a vanvera, in comune hanno la caratteristica di esservi tutti degli sconosciuti.

Qualcosa mi dice che, dopo aver letto il racconto che segue, questi atteggiamenti verso il prossimo che non conoscete, non li ripeterete mai più...

Roberto Mahlab
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Inserito - 24/12/2006 :  09:14:42  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab

Frank Stein si era perso, accostò l'auto al marciapiede ed estrasse una mappa della città dal portaoggetti laterale. Il pomeriggio era ormai tardo e si accorse di avere gli occhi stanchi, sacrificio ad una dura giornata di lavoro. Decise di scendere dalla macchina per chiedere ad un passante la direzione. Facile a dirsi, ma pressochè impossibile a farsi. Era una zona periferica ed era festa, famiglie e amici erano già riuniti nelle loro case a celebrare Halloween, davanti a succulenti portate o intenti a divertirsi con feste in maschera. Il quartiere era elegante e residenziale, un lungo vialone di tigli e ai lati casette a tre piani immerse in giardini e il cui lusso era magistralmente nascosto agli sguardi indiscreti grazie a verdi pini che ne ricoprivano la vista fino al tetto.

Sconsolato, si allentò la cravatta e attraversò il viale, decise di fare un ultimo tentativo di trovare un'anima viva, in caso contrario se ne sarebbe tornato a casa, deluso, ma così imparava a cambiare il cellulare senza ricopiarci i numeri di telefono degli amici, si immaginava gli sguardi ironici che l'indomani i suoi colleghi di ufficio gli avrebbero lanciato e il sarcasmo :"Frank non aveva la maschera, per questo non è venuto!".
Sapevano che lui avrebbe risposto con una risata di cuore, era conosciuto per il suo spirito e la sua disponibilità.

Deserto, nessuno in vista. Si rassegnò e tornò verso la macchina, stava per salirci quando avvertì una presenza alle spalle, sudò freddo e si voltò, lentamente. Un fagotto abbarbicato ad un cancello, per forza non l'aveva visto prima, pareva un sacco di stracci abbandonati come spazzatura, lo mise a fuoco e riconobbe i tratti di un corpo umano, lunghe gambe rattrappite, il viso ripiegato dentro un giaccone, per proteggersi dal freddo della sera, pensò. Una speranza improvvisa, gli avrebbe dato qualche banconota e in cambio forse il senzatetto gli avrebbe potuto quantomeno indicare la direzione.

"Mi scusi, scusi...", sussurrò Frank rivolto all'uomo misterioso, "ecco io... mi sono perso... oh lo so bene che può sembrare strano che chieda a lei... non so neppure... ebbene, ecco, questi sono cinque dollari, mi rendo conto che non è molto, ma forse potrà rifocillarsi un poco...", gli tese il denaro, ma il fagotto non si mosse, :"mi scusi ancora, io non volevo offenderla, volevo solo chiedere, se possibile, il suo aiuto, lei vive... bè si fa per dire... lei vive qui e magari può indicarmi la direzione e..."

Se c'era una cosa, una sola cosa che i colleghi di ufficio e gli amici rimproveravano al buon Frank, era la prolissità dei suoi discorsi e la sua incredibile capacità di costruire argomenti dai quali non riusciva più ad uscire. Voci che, per sua fortuna, non aveva sentito, raccontavano come una volta una ragazza che aveva invitato a cena si fosse addormentata a tavola dopo aver rinunciato a seguire le sue elucubrazioni.

Fino a che gli accadeva di comportarsi così con le persone che conosceva, poco male, ma la sua sfortuna quella sera fu di insistere con una persona che non conosceva per nulla.
"Ecco, io sto cercando la casa di amici, ma mi creda, riuscirei a perdermi in un bicchier d'acqua e...", continuò, si scusò, il fagotto non rispondeva, e così continuò e si riscusò. Fino a che l'essere rattrappito si alzò emettendo un urlo esasperato :"ma basta, basta, basta!".

Fu il viso di quell'uomo a pietrificare Frank. Per il resto era alto come lui, avevano all'incirca la stessa corporatura, ma il viso, ammesso che potesse chiamarsi viso. Frank gridò spaventato, appoggiò un piede sull'orlo del marciapiede stortandoselo e cadde battendo la testa. E non seppe mai chi aveva incontrato.

Jack Hill ansava dalla rabbia, tanto che gli girava la testa, poi riuscì a controllare il respiro e si avvicinò al corpo esanime sul selciato. Gli osservò il viso, le sue mani si soffermarono sui lineamenti del volto, come se volesse appropriarsene.

Era un fuggiasco, gli davano la caccia tutte le agenzie governative, dalla notte prima, quando aveva sfondato il portone della clinica in cui era custodito ed era scomparso nel nulla. Era un esperimento di laboratorio, cosa che non era di per sè negativa, dato che tentavano di farlo reinserire nella società dopo l'incendio che gli era costato la faccia, ma l'accanimento degli scienziati nascondeva una seconda verità, lo sviluppo di una sostanza particolare che permettesse di modificare i lineamenti dei volti degli agenti segreti che così avrebbero potuto infiltrarsi, sotto mentite spoglie, dovunque fosse necessario. Le fattezze di Jack assunsero la consistenza della plastilina, con un lavoro di dita di fronte ad uno specchio poteva trasformare la sua pelle in quella di chiunque. Quando si accorse che i medici non avevano nessuna intenzione di farlo tornare alla vita normale, il pessimo carattere che lo aveva trascinato nella rissa finita nell'incendio del locale, riesplose. Mise a soqquadro il laboratorio e lo fece saltare in aria insieme a tutti gli occupanti utilizzando una miscela esplosiva contenuta in alcuni fusti di combustibile che serviva ad alimentare i macchinari.

Si nascondeva, braccato, con un viso che non poteva mostrare a nessuno che non inorridisse. E poi quell'uomo : Frank Stein dicevano i suoi documenti. Utilizzando lo specchietto retrovisore, le sue dita esperte trasformarono la sostanza attaccata alle ossa del volto fino ad assomigliargli come una goccia d'acqua. Si mise i suoi abiti e ne trascinò il corpo dietro gli alberi e lo ricoprì con un tappeto di foglie autunnali. Prese le chiavi dell'auto e la mise in moto, con le fattezze e i documenti di Frank Stein avrebbe potuto attraversare indisturbato il confine con il Canada e poi sparire, con altri volti magari.

Squillò un cellulare e Jack si gelò, si cercò nelle tasche e lo trovò, pensò rapidamente e decise di rispondere, per evitare che, chiunque fosse a chiamare, si insospettisse sulla sorte del povero Frank.
"Ehi amico! ma dove sei?", gridò una voce con il sottofondo di una musica rock, "ti stiamo aspettando da un'ora, coraggio, muoviti, al sette di Hide Street, non ti sei ricordato?".
Jack non disse nulla, spostò lo sguardo sul cartello indicante la strada, c'era scritto proprio "Hide Street", Frank si era davvero perso in un bicchier d'acqua. Avvertì i morsi della fame, non aveva messo nulla sotto i denti dal giorno prima, il Canada poteva aspettare almeno un buon pasto caldo e poi adesso aveva la faccia di Frank, perchè no?

Parcheggiò di fronte alla casa, si sentiva la musica ad alto volume proveniente dall'ultimo piano, un finestrone aperto a cui erano affacciate alcune persone che ridevano, bevevano. C'era un foglietto attaccato al cancello di ingresso, indicava agli ospiti quale citofono premere e a quale piano salire e si raccomandava di non disturbare i vicini degli altri piani.
Si osservò nello specchio dell'ascensore, il pallore del materiale gli dava un'aria malaticcia, ma nel complesso poteva tranquillamente passare per un Frank forse un poco raffreddato.

Si accorse subito che non c'era problema, c'era tanta di quella gente che a stento lo notarono, da lontano ascoltò voci che gli gridavano un saluto, gli amici di Frank evidentemente. Una giovane gli porse un bicchiere di vino frizzante, un ragazzo gli mise nelle mani un paio di salatini, ogni metro quadrato del salone era occupato da gruppi di persone, in ogni angolo coppiette che si sussurravano, un buffet assalito come se nessuno avesse mangiato da settimane. E Frank approfittò e sospirò di piacere alla sensazione meravigliosa del cibo che gli scendeva nello stomaco.

La porta di ingresso non smetteva di far entrare torme di ospiti, la maggiorparte erano vestiti con costumi, chi di cavernicolo, chi di fantasma, chi di guerriero Sioux, chi di regina d'Egitto. Jack cominciò ben presto a sudare e si diresse verso la grande cucina, c'era una donna che si stava levando in punta di piedi per aprire un'anta di un armadio, appena lo vide gli si rivolse con tono biascicato, da ubriaca, e gli chiese di aiutarla a trovare dove erano nascoste le bottiglie di whisky, lui scosse la testa e lei gli lanciò contro parole poco gentili, costringendolo a tornare precipitosamente nel salone. Fu avvinghiato da un gruppo di ballerini scatenati che lo trascinarono in una indiavolata danza della pioggia al ritmo di un cd di musica indiana, la stanza era invasa dal fumo, un corpo che indossava una tuta nera con disegnato uno scheletro gli si strusciò addosso, "Frank, sei venuto finalmente, però non hai la maschera!".

E si mise a ridere di lui e chiamò gli astanti :"ehi, venite a vedere, è arrivato Frank, ma non ha la maschera!".

"Frank non ha la maschera! Frank non ha la maschera!", era circondato, gli urlavano contro, lo sbeffeggiavano, certo pensavano che fosse il loro vecchio amico Frank, sempre pronto a ridersi addosso, sempre disponibile allo scherzo.

Cominciarono a spintonarlo, la donna vestita da scheletro gli soffiò l'alito di sigaretta in faccia, la testa cominciò a girargli, lo toccavano, lo infastidivano, ancora, anche lì, non lo lasciavano in pace, dovunque andasse, voleva uscire, andarsene, ma la frenesia delle grida non aveva sosta :"Frank non ha la maschera! Frank non ha la maschera!". Il respiro gli si fece pesante, ansante, dai denti un ringhio animalesco, con la mano si strappò via lo strato di plastilina, e ruggì :"io ho la maschera!".

Come un sasso che colpisce l'acqua di uno stagno, le onde dell'orrore si espansero rapidamente in tutto il salone gremito di persone. Il silenzio attonito di chi gli stava addosso, poi di chi gli stava vicino, poi di tutta la sala, poi della musica. Alcuni bicchieri tintinnarono cadendo in frantumi sul pavimento, una donna si mise a piangere, un uomo si inginocchiò a pregare, sconvolto. Jack aveva perso il controllo. I vicini sentirono alcuni urli, poi più nulla, un silenzio sepolcrale di voci che non ripresero più, come testimoniarono il giorno successivo alla polizia.

Jack corse giù per le scale, spalancò il cancello e si gettò nell'auto e premette l'acceleratore a tavoletta.

Soffici brandelli di un costume cadevano lentamente dalla finestra del terzo piano della casa, volteggiarono al soffio del venticello autunnale, insieme alle foglie cadute dagli alberi, sul tessuto si riconosceva il disegno di uno scheletro.

Roberto Mahlab - I brividi di Concerto

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