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Roberto Mahlab
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Milano, 27 ottobre 2008, Sala Affreschi della Provincia di Milano

"La vita è un invito a cena", recita il motivo di Concerto di Sogni e così, quando gli editori della nostra rivista vengono invitati ad occasioni interessantissime, non ci tiriamo indietro e andiamo a gustare il menu della conoscenza. E non solo perchè gli organizzatori hanno promesso anche un ricco buffet, ai margini della serata di studio.

In occasione del primo anniversario della fondazione di DARI, l'associazione Donne Arabe d'Italia, la presidente, signora Dounia Ettaib, amica ricambiata del nostro Concerto di Sogni, ha organizzato una conferenza con ospiti particolari e la serata è stata di interesse avvincente e foriera di importanti conseguenze per il nostro paese, "Donna : formazione e integrazione", era il titolo.

Le autorità della Provincia di Milano, Daniela Benelli e Adriana Censi, hanno introdotto l'argomento dell'importanza della formazione delle donne come metodo di integrazione nella nostra società modificata nella sua struttura da un velocissimo processo di immigrazione che richiede di predisporre iniziative altrettanto veloci, specialmente in una delle aree più interessate, come i 189 comuni della cintura milanese.
Il fenomeno è stato così rapido da comprendere già i figli della generazione immigrata, con le classi scolastiche che sono divenute lo specchio di una diversità dal punto di vista culturale.

Diventa fondamentale porsi la questione della libertà delle donne che rischiano di essere schiacciate tre due realtà : le differenti condizioni della sfera privata e di quella lavorativa. La questione si dipana tra domande e risposte, i diversi relatori avanzano il dubbio che il tema sia veramente di interesse sociale, dibattono se il problema è davvero sentito, se è davvero esistente, avvertono che a volte la ragione della mancanza di interlocuzione sia causata dal fatto che le donne non possono parlare liberamente, indicano il momento storico di crescente difficoltà economica, la povertà che conta tra i primi bersagli le donne e bambini di origine straniera.

Eppure è anche un dato di fatto il fenomeno delle donne imprenditrici straniere e diventa dovere delle istituzioni cercare un rapporto con le diverse associazioni che le rappresentano.

Fino qui, devo dire da cronista, i discorsi delle autorità sono stati cautamente interrogativi e a volte hanno sconfinato nell'ideologia e nel tentativo improbabile di identificare i problemi degli immigrati con alcune tendenze politiche italiane.

E' stata una ospite straordinaria che ha iniziato a fare chiarezza sull'argomento, la dottoressa Yasmina El Filali, presidente della fondazione Orient Occident.

La sua storia è coinvolgente, parte dalla presa di coscienza in Francia che l'immigrazione è un processo indotto, lei stessa si sentiva divisa tra le sue due identità, francese di adozione e marocchina di origine, creò la fondazione "Orient Occident" nel 1996 dopo una visita in Marocco che le consentì di ritrovare la pace dell'animo e di accettare la propria dualità.

Con il tempo si rende conto del problema psicologico che è quello di superare lo sguardo degli altri, che ci si sente sempre addosso, torna nuovamente in Marocco sei anni fa, decisa a restituire al suo paese un dono grande come il precedente rifiuto.
La fondazione apre cinque centri nel paese nordafricano. Manda i collaboratori nei quartieri poveri, per ascoltare i bisogni della gente. Scopre che la soluzione è quella di creare dei centri per formazione professionale, per le donne, per bambini e per la migrazione subsahariana, straordinaria è l'esperienza che quello che può essere l'Europa per gli immigrati nordafricani, è il Marocco per gli immigrati dell'area subsahariana. Si accorge dell'importanza dell'ascolto psicologico delle donne, si rende conto della povertà diffusa e che i bambini e le donne sono i primi ad esserne colpiti. La fondazione si occupa della formazione professionale a cui seguono i contratti con le imprese.


Chi apprende un mestiere, non ha bisogno di emigrare e rimane nel paese, chi è emigrato e, grazie ai centri di formazione ha appreso un mestiere, torna al paese di origine.

Per capire un problema, afferma la signora Filali, bisogna tornare al suo luogo origine, per comprenderne l'origine. La gente non vuole emigrare volontariamente, è una condanna.

Anche la Spagna inizia a collaborare con l'iniziativa di Yasmina Filali, investe nella formazione professionale e nell'integrazione dei possibili immigrati nelle imprese dei paesi di origine, così essi non partono più per la penisola iberica.
Di solito, ci spiega la signora Filali, chi parte dal suo paese volentieri è un intellettuale oppure un artista, le persone comuni non vorrebbero andarsene, anche considerando che costa 7.000 euro attraversare il Mediterraneo.

Grazie ai centri di formazione ristrutturati con i fondi spagnoli, il risultato è che cinquecento possibili emigranti non sono più partiti dal Marocco.
Anche a Parigi viene aperto un centro, nella banlieu, con la collaborazione delle autorità e della polizia, qui il problema è acuito dal passare delle generazioni, la seconda generazione si trova addosso lo sguardo sia dei genitori, sia dei francesi autoctoni.

Altri dati : centomila subsahariani sono affuiti in Marocco, la fondazione Orient Occident ottiene la collaborazione delle Nazioni Unite per aprire un centro di formazione a loro dedicato.
Cinquata africani neri sono tornati a casa loro, nei paesi al sud del Marocco, dove, a seguito della formazione professionale ottenuta, sono riusciti ad aprire piccole imprese utilizzando il microcredito.

Il concetto della Dottoressa Filali è : chi è partito, lo ha fatto come condannato a partire e la soluzione è farlo tornare con dignità al suo paese.

A questo punto prende la parola il professor Habous, di origine marocchina e docente all'università Orientale di Napoli. Parla del potenziale umano sprecato nel suo Marocco, confessa il suo rapporto di amore-odio con la patria d'origine. Racconta dei problemi ancora insoluti, quali far studiare i giovani, portare l'acqua dei paesi, diffondere l'istruzione.
Afferma che mentre la società può trasformarsi grazie al contributo fondamentale delle associazioni femminili, in Marocco e nel mondo arabo i diritti donne non sono ancora acquisiti e la donna è costretta a giocare con lo spirito e la ragione per adattarsi al sistema.
Conclude che il problema del Marocco è la scuola, non obbligatoria. Anche la donna che lavora non è indipendente, il lavoro è solo uno spazio di libertà, a casa sulle donne viene usata violenza.

E' la volta di Dounia Ettaib che riporta l'attenzione sul suo lavoro in Italia e spiega che il problema delle donne immigrate è quello di condividere il vissuto. La prima difficoltà è la lingua, la scolarità insufficiente, ricorda che l'immigrazione è rurale e analfabeta, le donne sono analfabete anche per quanto riguarda l'arabo, ci si può immaginare in che difficoltà si ritroverebbero nella scuola italiana.
Anche in Italia siamo già alla seconda generazione, i figli saranno italiani e sarà loro il delicato compito di fare da mediatori con i genitori. Ma quali figli? Solo i figli maschi, riferisce Dounia Ettaib, le bambine vengono escluse dalle loro famiglie, costrette al velo, ritirate dalla scuola, forzate ai matrimoni, mentre le autorità accettano come normale la pratica della poligamia.

Il punto di Dounia è che la donna va salvata prima di tutto dall'ignoranza. Non capiscono la lingua italiana, rimangono a casa a guardare la tv araba tutto il giorno. La priorità è la comunicazione con persone che non sanno non solo l'italiano, ma addirittura neppure l'arabo per alfabetizzarsi.
Le donne non riescono ad accedere ai servizi sociali, non sanno compilare i moduli, si vergognano perchè non sanno parlare.
Il problema è duplice, capire come avvicinarle e comprendere se esse stesse sono interessate ad avvicinarsi.

La serata si scalda, interviene una donna del pubblico, che narra di essere insegnante di un gruppo di donne islamiche in un garage e chiede ragione alle autorità del mancato aiuto per ottenere una sede più consona, la polemica tra la donna e i relatori si fa animanta, è lo scontro che cova tra la visione fondamentalista dell'islam e quella liberale, quella di appropriazione delle regole della società ospitante e quella che pone avanti a tutto l'integrazione nel diritto e la libertà di scelta e il rifiuto del fondamentalismo.

Una donna di origine somala suggerisce di porre attenzione alla seconda generazione degli immigrati, arrabbiata con la società perchè considera che la prima generazione abbia abbassato la testa.

Quale semplice cronista, non posso che avvertire anche in questo caso l'espressione di uno scontro, anzichè di un confronto, l'obiettivo è vivere in una società liberale per accettarla o per modificarla?
L'obiettivo da raggiungere è cambiare la società dall'esterno, oppure è quello di arricchirsi a vicenda con l'accettazione delle regole della società ospitante?

Parte una discussione tra i relatori italiani e stranieri sulle proposte di classi differenziate per i bambini stranieri in Italia, si giunge alla conclusione che appare un metodo approccio errato e che i bambini non ne hanno bisogno, proprio perchè la loro mente non è del tutto libera, data l'età.

Il professor Habous e alcune signore del pubblico a questo punto innalzano lodi a Barack Obama, visto come la speranza per riparare i torti degli immigrati di tutto il mondo.
Pareri che mi fanno riflettere sul fatto che sarebbe meglio considerare che gli Stati Uniti hanno delle particolarità rispetto al resto del mondo, Barack Obama è un uomo che ha potuto emergere grazie ad una società meritrocratica come quella americana. In Europa, e purtroppo ancora di più in Italia, è piuttosto improbabile che una persona, di qualsiasi colore della pelle, giunga dove desidera in base al merito, visto che da noi imperversa lo strano concetto di una uguaglianza come punto di arrivo, anzichè solamente come punto di partenza.

La serata è stata avvincente non solo per le straordinarie intuizioni e realizzazioni delle signore El Filali e Dounia Ettaib, per le riflessioni del professor Habous, ma anche per le questioni poste dalle donne del pubblico, perchè mostrano la necessità di un dibattito aperto, anche uno scontro verbale, che diventa, prima di tutto e finalmente, un momento di mutua conoscenza all'interno della nostra stessa società.

Mi viene in mente una esperienza : un giorno in un teatro di New York, prima dello spettacolo, dallo schermo partì l'inno nazionale, l'intero pubblico, composto da decine di origini e di colori della pelle diversi, si alzò con la mano sul cuore. La soluzione americana è l'accento sull'identità nazionale comune, che prevale sulla diversità, nei diritti e nei doveri. Un punto di possibile approdo anche per il dibattito che in Italia è solo all'inizio.

La Concerto News System continuerà a seguire l'interessante argomento e non mancheremo di riportarne l'evoluzione.

Roberto Mahlab - Concerto News System - @2008

... dove c'è la notizia, Concerto c'è...

* Nell'immagine in alto la dedica a Concerto di Sogni della dottoressa Yasmina El Filali sull'opuscolo della Fondazione Orient-Occident :
"Concerto di Sogni. Un pensiero tra oriente e occidente, tra 2 rive così diverse che tendono ad ascoltare..."


   
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