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Riccardo Celani
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Inserito - 09/06/2005 :  11:20:36  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a Riccardo Celani
C'è un antico quartiere a Livorno che prende il nome di "Venezia".
Proprio in quel luogo, sul finire di via Borra s'arcua un ponte che scavalca i fossi medicei e s'allarga su una piccola piazzetta di forma strana, piantonata dalla chiesa dei Domenicani da una parte e da una vecchia casa sede della locale loggia massonica dall’altra. Dietro alla chiesa stava il fosco carcere appunto detto dei "Domenicani" per decenni in città simbolo di come migliorare gli uomini.
Avevo appena terminato il mio mal pagato lavoro di professore di italiano alla scuola serale quando decisi di passare dal tabaccaio in fondo a Via Borra prima di rincasare. Ero contento per essere riuscito a comprare l'ultima scatola di sigari toscani in vendita e quando uscii da quello scalcinato negozio affrettai il passo per raggiungere casa mia dove mia moglie m'aspettava con i bambini. Nell'incerta luce che si diffonde sulle cose appena dopo il tramonto m'affacciai dall'apice della spalletta del ponte e fui attratto da una pietra che sporgeva in modo strano vicino alla base dell’arco.
Scesi fino a raggiungere la pietra e la toccai. Con mia grande sorpresa la pietra si mosse e faticai non poco prima di riuscire a smuoverla dal suo incastro. Era quasi notte prima di veder biancheggiare qualcosa nel buco.
Trovai un taccuino senza copertina con poche pagine ingiallite dove erano state vergate, con mano malferma, delle frasi a prima vista senza senso.
Ritornai lentamente sul ponte ed incuriosito iniziai a leggere. Quello che sembrava un taccuino dimenticato o forse nascosto volutamente si tramutò in una fantastica storia a lungo perduta. Niente, tuttavia, che potesse competere con le antiche carte ritrovate a suo tempo dal Manzoni e dalle quali, colui che fu più grande in fama che come scrittore, trasse l'acclamazione della provvidenza divina.
Tutto in quei pochi fogli faceva pensare ad un ubriaco recidivo o ai folli sogni di qualche uomo ignoto, ma quello che mi colpì maggiormente fu l'evidente emozione con la quale erano stati vergati quegli appunti. Segno inequivocabile di una esperienza vissuta intensamente.
Questa felice considerazione mi spinse a non gettare quel taccuino nella acque del fosso e ad assecondare colui che aveva nascosto e poi dimenticato, forse volutamente, quei fogli dietro la pietra del ponte.
Non compresi immediatamente che quel taccuino era stato lasciato per me. Pochi attimi dopo afferrai che, quello che la razionalità umana vorrebbe misurare e confutare, in realtà doveva essere visto con gli occhi della fantasia, la quale non conosce la ragione.
Ero proprio nel bel mezzo del ponte e leggevo avidamente quei fogli, quando, volgendo distrattamente lo sguardo al fosso sottostante, intravidi nel buio una nebbiolina strana che emanava riflessi multicolori. Mi fermai incuriosito e scrutai meglio e... nessuno potrà mai descrivere la scena, la mia paura e il mio stupore quando la nebbiolina colorata s'avvicinò velocemente per materializzarsi nell'inconfondibile figura di Peter Pan.
Vorrei precisare, perché ogni dubbio sia subito dissipato, che non ho mai bevuto più di un bicchiere di vino a pasto. Pensai sul momento di essere vittima di una allucinazione a causa del troppo lavoro e già pensavo di chiedere un permesso a scuola quando Peter Pan mi sorrise.
Non potevo sbagliarmi. Era la sua slanciata figurina quella che vedevo, dagli occhi grandi, dai capelli rossi, rivestita di foglie verdi, il tutto coronato dallo spadino minuscolo e dal berretto con la piuma. Era il Peter Pan protagonista della commedia del Barrie che, come ben sapevo, era stata messa in scena per la prima volta nel Natale del 1904 al Duke of York's Theatre di Londra.
Peter Pan mi guardò di traverso e rise di cuore vedendo la mia faccia stravolta.
"Adulto che ti prende? Il gatto ti ha mangiato la lingua oppure sono stati i pochi pesci grigi che popolano queste acque putride a portartela via?".
Non aveva ancora finito di parlare che si librò in aria, fece una piroetta e si mise comodamente seduto sulla spalletta del ponte con le gambe divaricate che muoveva con impazienza. Ormai mi ero quasi del tutto ripreso dallo sbigottimento iniziale e riuscii a farfugliare: "Che cosa vuoi da me?"
Una risata argentina uscì da quella grande bocca da bambino e subito dopo Peter Pan disse: "Ti ho cercato perché voglio proporti uno scambio. Adesso ti spiego." continuò in fretta con gli occhi luccicanti di gioia "Sono stufo di vivere nel 'Paese che non c'è' dove vengono portati tutti i bambini smarriti. Non sopporto più di svolazzare, di combattere contro i pirati e di perdermi in mille altre avventure tutte uguali le une alle altre...insomma ho deciso di crescere: voglio diventare un adulto come te!"
"Non capisco ancora cosa posso fare per te" risposi di getto, sorpreso dalle sue parole.
"Ma allora sei proprio duro di comprendonio adulto!" mi urlo in faccia Peter Pan in tono irriverente mentre con un balzo istantaneo si mise in piedi sulla spalletta del ponte con le gambe unite e i pugni stretti sui fianchi.
"Ti ho detto che voglio fare cambio con te. Tu diventi il Signore del 'Paese che non c'è' e io crescerò nel tuo mondo mortale".
"Perché vuoi farlo?" dissi sconcertato.
"Ma come perché!" sbottò di nuovo rabbioso Peter Pan "Ho deciso che la mia più grande avventura sarà quella di essere un bambino normale e poi un uomo. Quale altra meravigliosa avventura mi manca se non questa?".
Il mio cervello aveva ripreso a funzionare bene dopo lo stordimento iniziale e questa volta dissi con decisione: "Ma tu sai che cosa significa vivere come un adulto?".
"Ah! ma allora sei proprio un asino!" disse Peter Pan spazientito "Dovresti parlare con il vecchio Salomone Gracchia che sa tutto. Ti ho già detto che voglio vivere una nuova avventura, la più bella, ma se sapessi prima che cosa troverò che avventura sarebbe? Certo che non so che cosa vuol dire vivere come un adulto. Non ho mai voluto crescere!"
Rimasi senza parole di fronte alla logica delle parole di Peter Pan e per una volta, abituato ad essere professore, mi sentì come il più stupido dei miei allievi. Lo guardai e ormai sulla difensiva dissi a Peter Pan: "Non voglio diventare il Signore del 'Paese che non c'è'... sono un professore...ho il mio lavoro... la mia famiglia."
Peter Pan prese il volo e si fermò sospeso a mezz'aria, con i suoi grandi occhi sgranati fissi e allineati sui miei e disse. "Tu quello che hai detto non lo pensi veramente. Ricordo ancora i tuoi occhi quella sera, quando, bambino, leggevi avidamente le mie storie sul quel bel libro che la nonna ti aveva regalato per Natale. I tuoi occhi non sono cambiati. Hai ancora quello sguardo che sogna un mondo fatato nel quale non ti è mai stato fino ad oggi permesso di entrare. Tu come me sei 'un tra l'uno e l'altro': io bambino e uccello e tu uomo e bambino."
Questa rivelazione mi scosse profondamente e fece crollare ogni mia più intima difesa. Quello che Peter Pan diceva era vero.
"Allora che cosa hai deciso?" disse con voce sferzante Peter Pan interrompendo villanamente i miei pensieri e aggiunse con tono più dolce: "Vedrai come sarà bello volare quando ti spizzicherò addosso la polverina magica delle Fate che abitano il giardino di Kensington. Lascia il tuo odiato mondo d'adulto e diventa il Signore del 'Paese che non c'è'. Ma sbrigati a decidere perché ho una fretta terribile di cominciare a vivere la tua vita."
"Perché non puoi farti uomo senza che io debba diventare un bambino?" dissi aggrappandomi a questo ultimo, estremo argomento, prima di cedere. Vidi allora per la prima volta sul volto di Peter Pan un sorriso serio e anche la sua voce si turbò per un attimo quando parlò: "Una Fata mi ha detto che qualcuno nel mio mondo fantastico deve rimanere perché il tuo mondo non muoia di realtà."
Peter Pan mi sorrise, allungò la sua piccola mano e dolcemente toccò la mia. "Non hai più bisogno di questi fogli" disse Peter Pan togliendomi delicatamente il taccuino dalla mano e aggiunse: "In un altro tempo un altro uomo diventò me. Adesso è il tuo tempo. Lasciamo qui questi fogli dove anche la tua storia è adesso scritta. Un giorno sarà la storia di qualcuno uguale a noi".
La vecchia Livorno, che fino a pochi istanti prima mi era così familiare, svanì e un altro mondo misterioso e affascinante apparve.

Riccardo Celani


   
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