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 Tempo di swing
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luisa camponesco
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Inserito - 11/05/2005 :  12:59:27  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Tempo di swing

C’era bisogno di nuovo, lo si sentiva nell’aria, il dixieland e le orchestrine di New Orleans non soddisfacevano più il gusto del pubblico, in quell’America del proibizionismo, però, qualcosa stava cambiando.


Kansas City, dicembre 1930

Il locale era fumoso e nelle tazzine da tè si beveva del pessimo whisky, Johnny strimpellava il suo piano, nessuno lo ascoltava, tutti intenti a parlare della situazione politica del momento, qualcuno aveva bevuto un po’ troppo e a voce alta insultava il vicino di tavolo, incominciarono a volare sedie e poi pugni, la solita rissa era iniziata.
Johnny, come di consueto iniziò a suonare con più vigore, pestava i tasti, semplicemente senza seguire nessuno spartito.
- Cosa stai suonando Johnny?
- Non so Lester , voglio solo coprire il rumore della rissa.
Lester si fece più vicino per sentire meglio.
- Qualunque cosa tu stia suonando mi piace Johnny
La polizia intervenne a sedare gli animi, qualcuno fu arrestato, le tazze da “tè” fatte sparire come d’incanto.
Stava albeggiando e Johnny chiuse il piano si mise la giacca, ormai nel locale non c’era più nessuno. Si stirò le membra intorpidite.
- Ciao Lester vado a dormire.
- Ciao Johnny a stasera!

Quell’inverno era particolarmente freddo, Johnny strinse a sé la corta giacchetta, che però non lo riparava dal vento, il cappello calato sulla testa con passo veloce si diresse verso casa.
Era tutto diverso dal luogo dov’era nato, a New Orleans, in quella baracca di legno sulla riva del Mississipi, ma era stato felice con la sua famiglia.
Sollevò il bavero della giacca e con la mente rivedeva i grandi battelli risalire il fiume. Alla sera quando l’aria era più fresca suo padre suonava con la sua cornetta i blues. Le note si spargevano tutt’intono e pareva che il mondo intero si fermasse per ascoltare. Aveva imparato ad amare la musica, quella musica che scaturiva dal profondo dell’anima della sua gente.
In quasi tutte le strade di New Orleans si udivano le note del dixieland e Johnny imparò a suonare la cornetta. Imparò talmente bene che all’età di dieci anni accompagnò il padre nei fumosi bar di Royal Street suonando con lo zio e il fratello maggiore Ben.
Non guadagnavano molto, ma bastava per vivere. Passavano gli anni Johnny imparò a suonare anche il pianoforte, veniva chiamato a rallegrare feste, matrimoni e anche a funerali. Poi un giorno un amico del padre gli chiese di sostituirlo, per un breve periodo di tempo, in un club di Kansas City. Lasciò la sua città con la speranza di tornare presto e invece erano passati altri quindici anni. La sua famiglia non viveva più sul fiume, suo fratello si era trasferito a New York, il padre era morto da tempo e nella baracca ora viveva un’altra famiglia. Si sentiva un uomo senza più radici la sola cosa rimastagli era la musica.

Le seggiole tutte suoi tavoli, la cameriera puliva diligentemente il pavimento dalle tazzine rotte e dai vetri di alcune lampade, cose ormai usuali a quei tempi, quando la gente si stordiva per non pensare al futuro, allora una bella zuffa aiutava a scaricare le tensioni.

- Salve Johnny
- Ciao Annette
Si avvicinò al bancone del bar.
- Avresti un caffè? Ho bisogno di scaldarmi.
- Tra un po’ ti scalderai ugualmente - Lester sghignazzò pensando alla rissa della sera precedente.
Johnny bevve d’un fiato il caffè scaldandosi le mani con la tazza, poi si diresse al pianoforte.
- Johnny!
- Si Lester!
- Vorrei tu riprovassi a suonare come ieri sera.
- E come ho suonato ieri sera? – chiese Johnny, per lui tutte le sera erano uguali.
- Senti Johnny! – disse Lester avvicinandosi
- Supponi che in questo momento ci sia una rissa, tu cosa faresti?
- Cercherei di fare più rumore, così! – Incominciò a suonare senza seguire uno schema, suonò d’instinto.
Un battere di mani interruppe l’esecuzione, Lester e Johnny si voltarono. Due uomini emersero dalla penombra, uno di loro era Bob Duncan il proprietario del locale e l’altro uno sconosciuto.
- Cosa stavi suonando? – chiese Bob Duncan
- Mi scusi ero solo uno scherzo.
- Uno scherzo? – intervenne lo sconosciuto
- Ho sentito qualcosa di simile a New York al Cotton Club lo suonava un tale credo si chiamasse Ellington detto il Duca. Credetemi quel locale è pieno zeppo tutte le sere.
- Ma dici davvero?- chiese Duncan stupito
- Mai detto nulla di più vero! – rispose mostrando denti anneriti dal tabacco.
I due si allontanarono per discutere di affari, Johnny e Lester si interrogarono con lo sguardo poi ognuno si concentrò sul proprio lavoro, Lester al bar, Johnny al piano.

La serata incominciò come sempre, le solite chiacchiere, le solite battute e… la solita musica.
Bob Duncan si avvicinò al piano.
- Prova un po’ quel nuovo modo di suonare – disse dopo aver osservato i clienti.
- Non penso sia una buona idea – rispose Johnny
- Non ti pago per pensare – ribadì Bob
- Come vuole – Johnny sospirò
Bevve un bicchiere d’acqua, la gola si era improvvisamente seccata, fece un breve pausa poi posò le mani sui tasti e le lasciò semplicemente andare.
Nessuno parve accorgersi del cambiamento, ma Johnny continuò. Accadde, allora, qualcosa di strano e misterioso, le sue mani volavano e ne uscivano note in un ritmo crescente, un misto di blues e di dixieland.
Johnny era nuovamente sulle sponde del Mississipi a guardare i grandi battelli, lui uomo nero dall’anima candida era tornato a casa, fra il rumore della gente, gli odori di spezie e il suono del clarinetto di suo padre.
Non si accorse, Johnny, dell’improvviso silenzio che si era creato nell’ambiente, lui continuava a suonare e le sue dita correvano veloci per rincorrere i sogni di un ragazzo del profondo sud.
Alla fine, quasi esausto, lasciò cadere le braccia lungo il corpo, mentre gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Il silenzio durò solo un attimo, poi uno scroscio di applausi esplose all’improvviso come un uragano.
Incredulo si girò, erano tutti in piedi a battere freneticamente le mani. Applaudivano proprio lui, Johnny Delhor di New Orleans, allora, alcune lacrime gli scesero sulle gote scure… se solo suo padre avesse potuto vederlo.
Chinò leggermente il capo al pubblico poi si sedette nuovamente al pianoforte, dopo aver respirato profondamente, iniziò con una nuova melodia.

Da quella sera in poi non ci furono più risse, la gente accorreva solo per ascoltarlo. Col locale stracolmo, Johnny, ogni sera si esibiva al ritmo dello swing.

^^^^^^

Johnny Delhor non è mai esisto oppure si, ma stà di fatto che lo swing di Kansas City subì fortemente l’influenza del blues, mentre quello di New York fu molto più sinfonico. Nacquero le Big Bands composte da molti elementi ed è in questo panorama, divenuto un’importante fonte di guadagno, per alcuni, che Benny Goodman riuscì a portare il jazz ad Hollywood, scandendo, così, la vita degli americani, sino all’inizio degli anni ’40.

In Europa, però, si stava preparando una musica molto diversa e suonata con ben altri strumenti.

   
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