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 Il prato delle magnolie
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luisa camponesco
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Il prato delle magnolie

La tenuta nelle vicinanze di Charlotte era nel pieno del raccolto ma nella villa padronale si percepiva un senso di grande preoccupazione.
Seduti accanto al camino sorseggiando del rum August Deville con l’amico Alfred Boumont discutevano della difficile situazione che si era creata.
- Il momento è grave amico mio- disse August
- E’ necessario trovare un modo per eludere il blocco navale, se non riusciamo, il nostro cotone potrà marcire nei magazzini e allora sarà la rovina…
La conversazione fu interrotta dall’arrivo di Marianne la bellissima figlia di August.
- Oh scusate non volevo interrompervi…
- E’ sempre un piacere vederla signorina. – Boumont fece un inchino e il padre sorrise compiaciuto.
- Vi posso portare del tè? – chiese con grazia
- Certo figliola – rispose August dopo aver dato un’occhiata nostalgica alla bottiglia di rum.
- Hai una figlia deliziosa caro August, hai pensato al suo futuro?
- Se perdiamo la guerra non ci sarà futuro per nessuno.
Da quel maledetto 12 aprile 1861 tutto era cambiato. Si pensava ad un conflitto lampo, ma le forze in campo si fronteggiavano con alterne vicende.
Mentre August Deville osservava dalla finestra sua figlia Marianne, seduta sull’erba del prato sotto l’albero di magnolia, in compagnia della sua amica Sarabetty, figlia di Boumont, prese la sua decisione.
- Dobbiamo riuscire a passare, a tutti i costi, prima che il blocco diventi più serrato.
- Non sarà facile Welles sa il fatto suo.
Gideon Welles Ministro della Marina dell’Unione aveva saputo organizzare e potenziare la flotta, che si trovava, quasi tutta, nelle mani del Nord e Lincoln aveva fatto il resto.
- Cercherò qualcuno che abbia abbastanza fegato da provarci – con queste parole Boumont si congedò.
La pace, la serenità del giardino della tenuta e l’allegro riso di Marianne avevano il potere di cancellare le preoccupazioni almeno per un po’. La guerra sembrava lontana da quell’oasi di pace. Ma August sapeva bene che le cose sarebbero presto cambiate.

- Signor Deville! Brutte notizie – l’uomo era appena sceso da cavallo e riprese fiato per un secondo
- Che succede Edmond?
- New Orleans stà per cadere!
- Come è possibile?
- David Farragut ha raggiunto la foce del Mississippì e ha intimato la resa.
- Mio Dio cos’altro potrà succedere ancora! – August guardò verso il prato di magnolie dove la figlia, ignara, rideva felice.
Quella sera la cena fu particolarmente silenziosa e Marianne se ne accorse.
- Papà ti senti bene?
- Certo cara! – rispose mascherando la preoccupazione con un sorriso
- Ti vedo sempre così allegro…
Di nuovo Edmond arrivò trafelato, ma uno sguardo di August lo fermò.
- Caro Edmond ma che piacere siedi insieme a noi, siamo arrivati alla torta.
Con un leggero imbarazzo Edmond si sedette avendo compreso che non era certo il momento di parlare.
Alla fine della cena…
- Le signore ci perdoneranno se noi uomini andiamo a fumarci un sigaro sulla veranda.
- Naturalmente andate pure – rispose la moglie Eveline
Appena fuori i due uomini si guardarono
- Cos’altro c’è Edmond?
- E’ stata catturata una nostra corazzata nella Baia di Mobile quel porto è ormai bloccato.
August di accasciò su una poltroncina di vimini.
- E’ urgente che vada a Richmond domani stesso. Prepara tutto Edmond, prepara tutto. – ripeté
L’indomani August Deville salì sulla carrozza e dopo aver salutato moglie e figlia, giustificato la partenza come improrogabile per gli affari della tenuta, diede ordine al cocchiere di schioccare la frusta. Marianne ed Eveline stettero a guardare finché la carrozza non scomparve dalla loro vista.
- Non so mamma, ma qualcosa preoccupava papà.
- Non crucciarti cara, tua padre sa cosa fare – ma anche Eveline non si sentiva tranquilla.

Era appena iniziato giugno del 1862 e il generale McClellan si stava dirigendo proprio verso Richmond con l’intento di espugnarla. La distanza fra Washington e Richmond è breve ma percorsa da numerosi corsi d’acqua che ben si prestavano ad essere controllati e fu proprio sul Roanoke che August Deville venne catturato dai soldati dell’Unione.

Nel prato delle magnolie Marianne leggeva, quando uno strano andirivieni da una capanna della piantagione la distrasse. La sua balia, donna nera alla quale era molto affezionata, si guardava attorno furtiva, nascondendo qualcosa sotto l’ampio grembiale.
Marianne chiuse il libro e decise di indagare, la seguì di nascosto mentre entrava in una capanna. All’inizio non vide nulla, ma udì un lieve lamento, poi gli occhi si abituarono e la sagoma di un uomo sdraiato per terra divenne visibile.
- Che succede Josepha? –
- Oh signorina Marianne, lei non dovrebbe trovarsi qui!
- E quello chi è? – chiese indicando l’uomo per terra. Fu allora che si accorse che aveva la pelle era bianca.
- La prego signorina! – Josepha le si inginocchiò davanti – abbia pietà, lo faccia per amore di Dio. – ed estrasse da una tasca la piccola bibbia che Marianne le aveva regalato.
Marianne stava insegnando alla vecchia balia a leggere, di nascosto, perché era proibito insegnare a leggere e scrivere ad uno schiavo. La ragazza, però, non considerava Josepha solo una schiava, ma quell’uomo non poteva, assolutamente, rimanere lì.
Ancora un lamento, stavolta quasi un urlo, anche Marianne si chinò. Il chiarore di un lume mostrò il volto di un uomo sofferente, la fronte coperta da una benda macchiata di rosso. Tremava la febbre doveva essere alta.
- Signorina faccia un atto di carità, mi permetta di aiutarlo, farò in modo che nessuno lo veda e appena sarà in grado di camminare lascerà la tenuta.
- Perché Josepha fai tutto questo?
- Perché ogni uomo è figlio di Dio.
Era stata proprio lei ad insegnarglielo ed ora non poteva smentirsi.
- Acquaa… - una voce roca interruppe il loro dialogo, l’uomo aveva aperto gli occhi
- Eccola! – Josepha si chinò subito a porgergli una brocca, tenendogli con una mano la testa sollevata.
Anche Marianne si chinò, mettendosi un fazzoletto sul naso per mitigare il cattivo odore che il ferito emanava.
- Bisogna cambiare la fasciatura, ti porterò degli indumenti puliti e quando è possibile lavalo un po’.
- Che Dio la protegga sempre signorina. – Josepha era sollevata
- Ma quando starà meglio dovrà andarsene. - stava per rialzarsi, quando l’uomo la guardò con grandi occhi azzurri. Quello sguardo turbò Marianne, in esso c’era qualcosa di profondo ed intenso. Lasciò in fretta la capanna, ma prima di entrare in casa, la voce di sua madre rotta dal pianto la indusse ad ascoltare non vista.
- Siete proprio sicuro? Non c’è possibilità di errore?
- Non cara Eveline, fatevi forza.
- Mi dica Boumont cosa gli faranno?
- MADRE! Di cosa state parlando? – Marianne era sconvolta, il volto della madre arrossato dal pianto.
- Ditemi cosa succede?
Boumont le venne incontro.
- Oh mi spiace Marianne! Mi è giunta la notizia che vostro padre è prigioniero dei nordisti…
Marianne lanciò un urlo.
- Calmatevi Marianne, prigioniero non vuol dire morto, vedrete la cosa si chiarirà intanto state più tranquille che potete. August sapeva bene il rischio che correva ed è un uomo che sa cavarsela benissimo, credetemi.
Marianne si rinchiuse nella sua camera e a nulla valsero le proteste della madre.
Era già notte fonda e Marianne non poteva dormire, dalla finestra vide Josepha dirigersi verso la capanna del ferito. Piena di rabbia scese nello studio del padre, estrasse da una rastrelliera un fucile e con esso seguì la balia. Entrò come un fulmine nel capanno e lo puntò alla testa dell’uomo.
- Mio Dio cosa intendete fare signorina? - Josepha si protese col suo corpo a fare da scudo al ferito.
- E’ un nordista vero? Uno sporco nordista!
L’uomo aprì gli occhi, che nella penombra parevano due pozze d’acqua cristallina. Era lì inerme ma la sua espressione rimase dignitosa.
La canna del fucile puntata, non avrebbe sbagliato da quella distanza.
- Dovrete uccidere anche me! – Josepha non si mosse
- Se vuole uccidermi che lo faccia! Io ti ringrazio per quella hai fatto – era la prima volta che il ferito parlava – ti prego scostati ora io sono pronto a morire.
Josepha si alzò fra le lacrime e poi si inginocchiò in preghiera.
- Dammi un buon motivo perché non debba farlo!
- Sono un soldato dell’Unione, sono un suo nemico, è un suo diritto!
La sicurezza di Marianne incominciò a vacillare, uccidere qualcuno indifeso non era certo il suo modo di agire. La canna del fucile si abbassò lentamente.
- Ora voglio sapere chi sei? – la voce di Marianne, solitamente dolce ora era durissima
- Il mio nome è Tobias Damon ed è l’unica cosa che lei saprà – richiuse in attesa degli eventi.
- Mio padre è prigioniero dei nordisti, e tu vivrai, quel tanto che basta, per condurmi da lui. – replicò secca Marianne.
L’uomo ebbe un sussulto ma non disse nulla.
Marianne si prodigò in tutti i modi, prestando le cure migliori, pasti buoni e nutrienti. Le ferite si rimarginarono ed incominciò a riprendere forze. Aiutata dalla fedele Josepha, a notte fonda, lo facevano uscire dalla capanna e camminare sul prato di magnolie. Nessuno parlava, l’uomo sorretto dalle due donne acquisiva sempre più sicurezza, mentre il cuore di Marianne s’ induriva. Josepha sperava, in cuor suo, che la padroncina mutasse atteggiamento, l’aveva sempre vista allegra e generosa non poteva essere cambiata a tal punto, al punto di volere la morte di un uomo.
Fu una sorpresa per Tobias quella sera del 24 giugno quando Marianne si presentò nella capanna in pantaloni e giubbino, fuori due cavalli sellati.
- Preparati, partiamo! – il tono era di quelli che non ammettevano repliche
Gli lanciò degli abiti ed uscì ad attenderlo. Ancora zoppicante e sofferente Tobias salì sul cavallo.
- Se tenterai di fuggire non esiterò ad usarlo – la canna d’un fucile brillò al chiarore della luna.
- Posso sapere almeno dove diamo diretti?
- A liberare mio padre, andremo verso Richmond.

In quello stesso istante, il generale McClellan, con le sue truppe, si apprestava a sferrare la battaglia per espugnare la città ed era talmente vicino che poteva sentirne i rintocchi delle campane.


Edited by - luisa camponesco on 20/04/2005 16:19:48

luisa camponesco
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Inserito - 20/04/2005 :  16:14:53  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco

La fine di un’epoca


Cavalcarono per il resto della notte, con due brevi soste per far riposare i cavalli, ma alle prime luci dell’alba procedettero, con cautela, nascondendosi fra la vegetazione. Al chiarore del giorno Marianne si accorse che all’uomo si era riaperta la ferita alla testa, per un attimo provò un senso di pietà, ma solo per un attimo, lui era il nemico, apparteneva alla gente che voleva imporsi e spazzare via gli usi e le consuetudini del suo amato Sud. Era importante, ora, per la riuscita della sua impresa, non farsi prendere da nessuno dei due schieramenti. Tobias gli serviva per arrivare oltre le linee nemiche e sapere dove avessero portato suo padre. La compassione era, quindi, un sentimento che non poteva permettersi. Durante la notte attraversarono il Great Pee Dee per dirigersi verso Greensboro
- I cavalli sono stanchi e poi sta albeggiando – disse Tobias.
Era da molto che non parlavano e quando accadeva erano solo monosillabi, Marianne dovette ammettere che aveva ragione. Approntarono un bivacco, Marianne gli porse del cibo, Tobias lo rifiutò.
- Voglio che tu mangi! Abbiamo molta strada da percorrere e non permetterò che qualcosa mi ostacoli
- Non sono uno schiavo della sua tenuta. Quindi non mi dia ordini.
- Gli schiavi della mia tenuta sono trattati umanamente, hanno cibo, una capanna, abiti…
- Hanno tutto tranne una cosa…
- Cosa se ne farebbero della libertà? Dove potrebbero andare?
- Glielo ha mai chiesto? Si è mai preoccupata di cosa volessero? Lei pensa che la condizione di schiavitù sia una cosa normale?
- Non cercare di confondermi, voi nordisti arroganti e boriosi vi credete superiori ma in realtà siete solo invidiosi, perché noi possediamo le colture più belle e le terre più ricche.
- Non abbiamo proprio nulla da invidiarvi, noi almeno guardiamo avanti e non siamo attaccati ai privilegi dello stato sociale.
Continuarono a ribattersi senza comprendersi, due mondi a confronto così simili e così diversi.
Dopo parecchie ore la fame ebbe il sopravvento e Tobias fu costretto, suo malgrado, a nutrirsi. Marianne, fingendo di dormire, trasse un silenzioso sospiro di sollievo.
Al tramonto ripresero il cammino, nessuno dei due parlò. A notte inoltrata raggiunsero il Roanoke, cercarono un guado ma un rumore di zoccoli di cavalli li costrinsero a nascondersi.
- Non riesco a vedere il colore delle divise – sospirò Marianne
- In ogni caso meglio non mostrarsi – continuò
Tobias, intanto, cercava una via di fuga, era importante, per lui, raggiungere il generale Grant, con le informazioni, che era riuscito a raccogliere, avrebbe potuto abbreviare di gran lunga la guerra.
Furono costretti a deviare nelle vicinanze di Petersburg dove infuriava una battaglia e i soldati dell’Unione dovettero ad abbandonare il campo. La soddisfazione di Marianne era evidente come pure il disappunto di Tobias.
L’ultimo ostacolo prima di giungere a destinazione era il guado del fiume James. Aveva piovuto molto e le acque erano torbide e la corrente turbolenta. Stavano appunto cercando un passaggio, quando un rumore da un cespuglio li mise in allarme. Preso il fucile Marianne si accostò.
- Non faccia sciocchezze signorina! Se spara richiamerà l’attenzione di tutti.
- Non impicciarti yankee! Uscite di lì! – intimò
Il pianto d’un bimbo si levò, subito soffocato. Poi, lentamente, uscirono, un uomo seguito dalla donna col bimbo al collo.
- Non fateci del male vi prego. – la pelle nera come l’ebano pareva una pennellata più scura nel buio della notte.
Una espressione di stupore apparve sul viso di Marianne
- Schiavi fuggiti! – esclamò
- Vi prego – continuò l’uomo se ci prendono ci divideranno, venderanno mio figlio e la madre separatamente. Di me poco importa ma loro… - il piccolo riprese a piangere.
- La decisione è sua ora, lei ha un arma … - la voce di Tobias era quasi sprezzante.
La sicurezza di Marianne venne meno ma si dette subito un contegno.
- E’ notte fonda ne riparleremo all’alba, ma voi non allontanatevi. – si lasciò cadere sull’erba come svuotata.
- Da dove venite? – Tobias si era avvicinato alla famigliola
- Da Vicksburg signore.
- Com’è la situazione?
L’uomo parve un po’ perplesso.
- Lei non è del sud vero? – Tobias scosse il capo – lo avevo capito signore.
- E’ importante che io lo sappia – continuò Tobias
- La città sta per essere attaccata ma i confederati si sono appostati sulle alture, noi siamo fuggiti approfittando della confusione.
Il bambino riprese a piangere.
- Cos’ha? – chiese Marianne
- Sono due giorni che non mangiamo – rispose la donna
Marianne prese del pane dalla bisaccia e glielo porse
- Grazie - rispose la donna cercando di baciarle la mano. Il suo compagno si tolse la camicia per riparare il piccolo dalla frescura della notte e il chiarore della luna mostrò la sua schiena segnata da numerose cicatrici.
- Prendete questa! – Marianne tolse la coperta dal dorso del suo cavallo e la diede alla donna.
Nel silenzio della notte si udivano in lontana colpi di cannone e cavalli al galoppo, era il primo luglio del 1862 le truppe dell’Unione vennero respinte, la battaglia dei Sette Giorni era terminata, Richmond era, per il momento, salva.
Il chiarore del giorno mostrò innumerevoli corpi, di entrambe le parti, sparsi sul terreno.
Tobias si avvicinò allo schiavo
- Come ti chiami?
- Abel !
- Allora Abel attento a ciò che ti dico. Segui il fiume nella direzione dove il sole cala, dovrai fare molta strada e non sarà facile per te con una donna e un bambino. Ma … - controllò che Marianne non lo guardasse – prendi questo! – gli consegnò una medaglia – appena incontrerai le giacche blu mostrala, loro sapranno cosa vuol dire.
- Come farò signore? Quella donna è armata…
- A questo penserò io, Abel, sarai un uomo libero te lo prometto.
Gli occhi di Abel si riempirono di lacrime.
Marianne si mise a camminare nella radura nella speranza di trovare qualcuno ancora in vita, il momento era propizio, Abel con la sua compagna si allontanarono indisturbati.
La desolazione era sovrana, era la prima volta che la giovane donna si trovava di fronte alla tragedia della guerra.
- Venga via! – Tobias la prese per un braccio lei si lasciò andare in un pianto silenzioso. Tobias raccolse un fucile e si allontanò, con Marianne, da quell’orrore.
Percorsero molta strada, i cavalli erano sfiancati, si trovavano fra l’esercito dell’Unione in rotta ed i Confederati, vittoriosi, dall’altra parte.
Marianne pareva avesse perduto la sua sicurezza, gli occhi privi di espressione, si lasciava condurre senza reagire, Tobias era preoccupato. Raggiunsero dopo molti giorni un villaggio ai piedi degli Allegheny, fatto per lo più da capanne e fango, abitato da schiavi fuggiti. Alcuni erano armati e stavano per sparare quando…
- Signore! – una donna si fece avanti con un bimbo al collo e Tobias la riconobbe come la compagna di Abel
- Signore siete voi! Sia lodato il cielo siete salvi.
- Dov’è Abel ?
- Signore, ha fatto come gli avevate detto! Ora si unito agli uomini del generale Grant.
- Ma… - e indicò Marianne – cosa le è accaduto?
- E’ una lunga storia. Potete occuparvi di lei? Io ho una missione da compiere, ma verrò a prenderla appena sarà possibile.
Si consultarono e alla fine decisero.
- La terremo qui fino al vostro ritorno! Clelia ci ha detto quello che avete fatto per lei e Abel.
Tobias risalì a cavallo, Clelia aveva, nel frattempo, preso per mano Marianne e la conduceva nella sua capanna. Dopo un ultimo sguardo partì al galoppo.
La guerra durò ancora a lungo con alterne vicende. La svolta decisiva avvenne nel luglio 1863. Il generale Lee invase la Pennsylvania fino quasi a raggiungere la capitale, venne fermato a Gettysburg e dovette ripiegare sul Potomac. Lenta ma inesorabile fu l’avanzata di Grant, una dopo l’altra tutte le città del sud capitolarono.
Ai primi di luglio del 1865 ad Appomattox , in Virginia, il tenente Tobias Damon con il suo reparto bloccava la parte sud di ciò che rimaneva dell’esercito confederato e il Generale Lee fu costretto alla resa. Indescrivibile fu l’esultanza che seguì, la guerra era praticamente finita, ma Tobias non aveva dimenticato. Cercò Abel ed insieme partirono verso un villaggio ai piedi di una montagna.
Giunsero dopo parecchi giorni, attraversando zone devastate e campi bruciati, ma fra quelle capanne tutto era rimasto immutato. Abel scese da cavallo nelle sua belle uniforme blu circondato e festeggiato da tutti, ma gli occhi di Tobias cercavano altro. La vide, portava un enorme cesto colmo di panni, quasi non la riconosceva, tanto era cambiata. Le si avvicinò.
- Marianne
Lei lo guardò, le labbra tremarono, il cesto cadde a terra e lui se la ritrovò fra le braccia.
- E’ ora di tornare a casa Marianne.
- Si a casa – lei ripetè
^^^^^
La tenuta non erano più rigogliosa come un tempo e la casa mostrava qualche crepa, ma prato delle magnolie era nel pieno dello splendore, in quell’estate del 1865. Marianne seduta sotto l’albero aspirava i profumi della sua infanzia, lì vicino giocavano i figli di Abel e Clelia, Marianne li guardava sorridendo pensando che un giorno anche suo figlio avrebbe corso su quel prato e il pensiero fu subito per Tobias che aveva rifiutato un incarico importante a Washington per restare vicino lei. Sotto la veranda suo padre, con i capelli ormai bianchi, fumava il suo sigaro mentre la madre ricamava una coperta per il futuro nipotino.
La schiavitù era stata abolita, almeno sulla carta, ma la strada da percorrere era ancora molto lunga e altrettante erano le ferite da sanare.









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