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luisa camponesco
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Inserito - 26/01/2006 :  20:34:56  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco

Solo quindici parole

Seduto su di uno sgabello, fatto da lui con dei mezzi di fortuna e appoggiato alla sua branda, Attilio scriveva a casa. Sulla porta della baracca, a grandi lettere si leggeva:

nicht mehr als funfzehn worter schreiben

( non scrivere più di 15 parole)

la nostalgia della famiglia si faceva sentire ogni giorno più forte, come più forte era la determinazione di farcela. Si toccò il taschino, estrasse un paio di fotografie, gli unici ricordi che lo tenevano ancorato alla famiglia e all’Italia.
Posò la matita e con la mano accarezzò i volti sorridenti che vi erano ritratti, parevano appartenere ad un’altra vita. Ecco, Giancarlo, Osvaldo, Luigi, e lui Attilio, in una serata al Gianicolo, davanti a loro Roma, bella come non l’avevano mai vista. Salutavano Luigi che partiva per imbarcarsi sulla Vittorio Veneto.
Si erano messi tutti a cantare….

…della marina ce ne freghiamo con un sol colpo noi l’affondiamo …..e gira, gira l’elica romba il motor questa è la bella vita, la bella vita dell’aviator……

E poi ancora per le strade della città, come ragazzini in vacanza, per celare la preoccupazione del futuro, mentre il ponentino accarezzava i loro volti. Dopo quella sera non aveva più rivisto l’amico Luigi.
Ritornò alla sua lettera dopo aver contato le parole scritte, erano nove, ancora sei, non sarebbero bastate seimila per descrivere l’orrore del luogo in cui si trovava. Un brontolio allo stomaco, gli ricordò di quanto poco cibo era costretto a nutrirsi, patate, patate e ancora patate, pane nero solo una fetta e, qualche carota che galleggiava un “brodo” scuro. Ad un tratto gli venne l’idea, di camuffare la lingua tedesca, giocando sulla somiglianza fonetica, di alcune parole con il dialetto della sua città, in questo modo, forse, avrebbe potuto trasmettere alcune notizie a casa.
Ci pensò tutta la notte e il giorno dopo sulla busta scrisse l’indirizzo del mittente in questo modo:

“ go na fam de lader”
(ho una fame da ladro)


Consegnò la lettera al capo-baracca prima dell’appello poi si recò nell’officina a riparare i motori dei mezzi blindati e delle auto dei gerarchi nazisti. Questa abilità, lo aveva salvato da una sorte ben peggiore, ma pensava sempre al giorno in cui tutto era cominciato.

Era l’8 settembre si trovava in sala mensa e giocava a carte con Franz, nulla lasciava presagire quanto sarebbe accaduto poco dopo. Stava vincendo a scopa quando, dagli altoparlanti della caserma, la voce del maresciallo Badoglio annunciò di aver chiesto al generale Eisenhower ed ottenuto, l’armistizio. Il fiasco di vino, un Frascati d’annata, posato sul tavolo, si rovesciò macchiando le carte e Attilio si trovò con una mauser puntata in mezzo alla fronte. Ora lui era il nemico. Alcuni commilitoni riuscirono a fuggire ma Attilio dovette scegliere fra l’aderire alla Repubblica di Salò o la deportazione e così si aprirono, per lui, le porte di Mathausen.

Stava armeggiando attorno ad un carburatore quando l’ombra di una guardia si profilò all’ingresso.
- Seguimi!- ordinò
Il cuore si fermò, la bocca divenne arida, prosciugata, ma si dette un contegno e lo seguì.
- Nell’ufficio, un ufficiale di grado superiore gli girava le spalle, dietro alla scrivania una enorme svastica occupava quasi tutta la parete. Al loro ingresso, annunciato da un attendente, si girò, fra le mani aveva la sua lettera. Attilio incominciò a tremare. Dopo un istante, che parve un’eternità, l’ufficiale sbottò in una sonora risata.
- Tu sei l’italiano che vuole scrivere in tedesco. Bravo! Ma non scomodarti, lascia fare a noi. – mostrò la scritta anche ad altri e tutti risero sonoramente – almeno lagher potevi scriverlo giusto e non lader.
Parlarono fra loro, ogni tanto lo guardavano e ridevano.
- Vai italiano, vai a sistemare macchine che è meglio.
Tremava ancora quando uscì ma l’aria che respirò gli riempì i polmoni e lo calmò, l’aveva passata liscia. Solo a guerra finita seppe che quella frase gliela avevano lasciata a dimostrazione della sua ignoranza, a casa , però, avevano capito.

Solo quindici parole, non una in più questo era quanto potevano scrivere dal quel campo. Le contava ad una ad una cercando i vocaboli che meglio rendessero il pensiero. Doveva risparmiare anche in quello.
Nella baracca d’estate si coceva ed in inverno si gelava, molti si ammalavano, ma la cosa peggiore era il non avere notizie da casa, e le poche che giungevano erano, per la maggior parte, censurate.
Fu nuovamente convocato in ufficio.
- Pensa italiano, se giuri fedeltà al tuo Duce potrai tornare a casa subito!
- Grazie ma mi piace fare il meccanico. – il calcio di un mitra lo colpì al mento. Sanguinò per un po’
Nessuno degli italiani lasciò il campo e la loro prigionia si fece ancora più dura, le già scarse razioni di cibo furono dimezzate. Non tutti ce la fecero, ma Attilio tenne duro.
Un giorno Piero Andreani, suo vicino di branda, tornò nella baracca con un piccolo rigonfiamento sotto la camicia. Dopo essersi guardato attorno estrasse alcune radici di patate e semi d’insalata.
Andreani faceva parte di un gruppo di prigionieri che lavoravano all’esterno del campo, nelle campagne dei dintorni, arando e dissodando terreni con le sole mani.
- Che intendi fare? - Chiese Attilio
- Domani mi procurerò un poco di terra e la nasconderò dietro la baracca degli attrezzi.
- Vuoi seminare?- proseguì Attilio
- Potremmo avere maggior quantità di cibo e così integrare quello che ci hanno tolto.
Ebbe inizio, in questo molto, la coltivazione clandestina di patate, insalata e altri legumi. Tutti gli appartenenti alla baracca si prestarono ad aiutare Piero, ciascuno ravvisava in questa impresa, una speranza in più per sopravvivere.
Giorno dopo giorno, nonostante le umilianti fatiche, gli italiani internati resistevano con tenacia come quell' orticello nascosto, che ora produceva i suoi frutti.
Un giorno Andreani, di ritorno dal lavoro agricolo, portò la notizia.
- Saremo tutti trasferiti in un altro campo di lavoro!
- Vuoi dire che ci mandano via? Ma dove?
- Questo non lo so. Ma ho sentito dire che hanno bisogno delle nostre baracche. Sono in arrivo altri prigionieri.
Nessuno di loro aveva notizie sull’andamento della guerra, ma l’arrivo di nuovi prigionieri non faceva presagire nulla buono.
Il via e vai di automezzi blindati si intensificò in quei giorni, ufficiali delle SS andavano e venivano, nessuno più aveva il coraggio di parlare.
In un mattino nebbioso, la porta della baracca si spalancò, una guardia del campo ed un altro ufficiale apparvero con l’ordine di farli uscire tutti in pochi minuti.
Si trovarono tremanti nel piazzale, chiamati, uno per uno, furono fatti salire su dei camion per destinazione ancora ignota.

Mentre uscivano dal lagher incrociarono un nutrito gruppo di uomini, donne e bambini spauriti, col volto emaciato e una stella gialla appuntata sul petto. Compresero, allora, il motivo del loro trasferimento.

Attilio riuscì, a guerra finita, a tornare a casa, ma il ricordo di quella prigionia lo segnò per tutta la sua vita.


Luisa Camponesco

Edited by - luisa camponesco on 26/01/2006 22:18:32

   
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