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 Il profumo del glicine
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luisa camponesco
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Il profumo del glicine


Il terrazzo era ricoperto da un pergolato dove scendeva, profumatissimo, il glicine in fiore. Elvira era orgogliosa dei suoi fiori li curava con amore ed in particolare era legata a quel glicine, che gli ricordava il marito. Lo aveva piantato lui, anni prima, il suo amato Raffaele, aveva seguito la sua crescita stagione per stagione ed ora era tutta un’esplosione di rosa pallido. Il profumo era così intenso che raggiungeva la strada sottostante e i passanti si soffermavano un attimo per aspirarne la fragranza.
Anche quella mattina era sul terrazzo ed accarezzava i fiori, quando sua figlia Paola la raggiunse.
- Mamma ancora lì? Dovresti riposarti un po’.
- Oh no Paola! Voglio che tuo padre trovi tutto in ordine quando torna.
Paola rimase a bocca aperta, suo padre era morto da due anni, un terribile dubbio si insinuò nella sua mente.
- Mamma! Papà è morto da due anni…
Elvira rimase un attimo perplessa.
- Certo Paola, ma a volte mi pare non sia vero, penso che sia uscito da poco di casa e che debba tornare.
Paola sorrise alla madre e la abbracciò
- Mamma, quest’anno il glicine è più bello che mai.
- Tutto merito di tuo padre è lui che lo cura.
Paola non riusciva a credere a ciò che aveva appena udito.
- Mamma – ripetè sommessamente – papà non c’è più da due anni.
- Ah si, che sbadata me lo hai appena detto, vuoi bere un caffè cara?
Nella mente di Paola suonò una specie d’allarme mentre seguiva sua madre in cucina.
- Mamma, ti senti bene?
- Certo cara, perché me lo chiedi?
- Perché mi preoccupo per te.
- Sei una cara figliola.
Per tutto il resto della mattinata le cose andarono bene e Paola rimosse la sensazione avuta prima. Sua madre era lì davanti a lei con una tazza di caffè fumante a raccontare le storie di quando era ragazza. Certo le aveva sentite mille volte, ma era sempre un piacere riascoltarle.
Verso mezzogiorno Paola lasciò sua madre per tornare a casa, suo marito sarebbe tornato per il pranzo e poi doveva andare a prendere Filippo a scuola, ma le ritornò quella sensazione di disagio.
Alla sera ne parlò col marito, durante la cena, Sergio assunse un’espressione accigliata.
- Non dovresti sottovalutare questi sintomi Paola.
Sergio era medico e questa affermazione andava presa sul serio.
- Cosa mi consigli?
- Falla vedere da uno specialista, se vuoi ti prendo io l’appuntamento.
- Ci penserò io, tu hai già troppi impegni.

Paola pensava alla sua infanzia vissuta accanto ad una donna splendida, sempre pronta a dare consigli ma senza imporsi. Una donna intelligente e creativa, era stata maestra elementare, aveva cresciuto generazioni di bambini e nonostante fossero trascorsi tanti anni si ricordavano ancora di lei, con cartoline o telefonate.
Si sentiva fortunata Paola, aveva avuto una vita felice accanto a due genitori meravigliosi ed ora anche lei aveva una bella famiglia, un marito affettuoso e un figlio studioso.
Il giorno seguente tornò a far visita alla madre, la trovò in cucina aveva in mano una tazza da te ed era ferma incerta, si guardava attorno.
- Mamma che succede?
- Ciao Paola, che cosa strana, non ricordo dove ho preso questa tazza.
A Paola si chiuse la gola ma si riprese subito e delicatamente prese la tazza dalle mani della mamma.
- Non preoccuparti ci penso io.
Ripose la tazza nell’armadietto, sentiva un peso nel petto, un dolore nuovo, mai sentito.
- Mamma vorrei portarti a fare una visita di controllo. E' un po’ che non ti fai vedere da un medico.
- Non ne ho bisogno sto benissimo.
- Un motivo in più per fare un controllo, per continuare a stare bene. - Lo disse sorridendo, senza far trasparire la sua preoccupazione.
Quel giorno stesso prese un appuntamento con uno specialista e poiché era anche un amico, organizzò un pranzo a casa della mamma con tutta la famiglia, in questo modo non avrebbe avuto la sensazione di una vera e propria visita.
Il pranzo andò a meraviglia e alla fine Paola suggerì alla mamma di mostrare il glicine all’amico Edoardo.
- Ma certo! Venga Edoardo le mostro l’orgoglio di mio marito.
Paola spiava da dietro la tenda, vergognandosi quasi, era sua madre le doveva tutto, aveva imparato molto ed ora temeva di perdere la possibilità di rivolgersi a lei nei momenti di difficoltà, il suo sostegno morale era stato fondamentale in passato. Edoardo e sua madre erano seduti sotto il pergolato e parlavano, questo, si disse, era positivo.
- Eccoci Paola! Io e tua mamma abbiamo fatto una bella chiacchierata. Ora però devo scappare ho parecchi appuntamenti.
- Ti aspetto oggi nel mio studio Paola. – le disse in un orecchio mentre usciva.
Era come se un macinio le fosse cascato addosso, i suoi più oscuri timori prendevano forma, non vedeva l’ora di conoscere la diagnosi dell’amico.
Giunse nello studio medico con notevole anticipo, non riusciva a stare a casa, prese alcune riviste ma senza concentrarsi nella lettura.
Finalmente Edoardo apparve sulla porta.
- Vieni Paola accomodati.
- Edoardo sono in ansia e non sai quanto.
Si sedettero, Edoardo preso foglio e penna incominciò.
- Purtroppo Paola non ci sono dubbi, tua madre presenta un principio di alzheimer
Ecco materializzarsi il suo incubo
- Cosa si può fare? – chiese con un sospiro
- Possiamo rallentare, solo rallentare ma non fermare. Questa malattia degenerativa è progressiva. Ora tua madre è nella fase della amnesia, poi passerà ai cambiamenti d’umore. Preparati Paola il peggio arriverà quando inizierà ad avere problemi di linguaggio.
- Quanto tempo?
- Difficile dirlo, può durare dagli otto ai quindici anni o molto meno, dipende dai casi . Non sarai in grado di gestirla da sola, ti servirà un aiuto, ma potrai sempre contare su di me.
- Grazie Edoardo, sei un amico.
Quella sera ne parlò col marito.
- Vedrai Paola ce la caveremo. - Sergio la abbracciò e lei scoppio in lacrime.
Qualche giorno dopo sua madre le telefonò
- Paola non so cosa mi succede! – la voce era incrinata ma interruppe subito la comunicazione.
Paola si precipitò a casa della madre, la trovò sotto il glicine, parlava da sola, con un paio di forbici in mano tagliava i fiori.
- Mamma stai bene?
- Paola! Cosa ci fa qui! Dovresti essere a casa a prenderti cura della tua famiglia.
- Mi hai telefonato e mi sono preoccupata.
- Non ti ho telefonato, non farmi passare per scema!
Paola restò interdetta, mai sua madre aveva usato quel tono e soprattutto certi termini. Poi ignorandola del tutto continuò a tagliare i fiori e canticchiare vecchie canzoni.
Purtroppo si stava avverando ciò che Edoardo le aveva detto. Vedere una persona, con una bella mente come quella che aveva sua madre, perdere ogni giorno mattoni di memoria e di saggezza per divenire qualcuno di assolutamente sconosciuto.
Nessuno può comprendere il dramma di chi vive accanto a queste persone se non lo prova, quel dolore sordo e costante che può causare la consapevolezza di perdere qualcuno che ami.

La donna dolce che era stata Elvira scomparve il suo posto lo prese una donna sempre arrabbiata, insultava le persone che volevano aiutarla, ed in particolare sfogava la sua ira su Paola, unica eccezione per Filippo il nipote, con lui si calmava anzi lo coccolava e nel frattempo distruggeva il glicine a colpi di forbice.

Passarono le stagioni e venne l’inverno con le sue nebbie e la neve. La chiamarono una mattina presto, Elvira era sparita, Paola corse a casa della mamma, chiese a tutti, poi qualcuno le disse di averla vista aggirarsi nel parco vicino.
Il freddo era intenso, Evira era scalza ed in camicia da notte, Paola la vide seduta sulla panchina mentre parlava con un invisibile amico.
Quella uscita le provocò una polmonite e la costrinse a letto per tutto l’inverno.
La febbre le passò e si riprese lentamente.
- Ciao mamma come va oggi?
- Meglio cara. – rispose e a Paola parve un miracolo era la prima volta dopo mesi che la chiamava per nome.
- Mamma ti ho portato un dolce, ho fatto una torta al cioccolato proprio come piace a te.
- Grazie crata.. malaco…sera…ba ba.
- Mamma hai detto qualcosa?
- Certa co..vola…la la - frasi incomprensibili, la torta cadde dalle mani di Paola.

L’inizio dell’afasia segnò anche il periodo di maggior progresso della malattia, con l’incapacità di mangiare da sola, seguita dall’agnosia. Elvira, ora era una donna con lo sguardo perso nel nulla.

Non ci sono parole per spiegare cosa si prova nel vedere una persona amata e stimata vegetare, Paola si sentì orfana ma si fece coraggio e continuò ad accudire la madre con amore fino a che fu costretta a sistemarla in una struttura specializzata.
Una decisione, alquanto sofferta e non facile, ma il marito e il figlio le furono accanto e la sostennero.

Una mattina di primavera, mentre la spingeva con la carrozzella e le parlava del figlio, dei suoi progressi negli studi, Elvira sollevò improvvisamente il capo, lo sguardo si fece più attento, Paola, che non aveva mai smesso di sperare si fermò in attesa di qualcosa, poi Elvira alzò il braccio e indicò qualcosa, solo allora Paola percepì il profumo antico ed intenso del glicine in fiore, la sola cosa rimasta nella mente di sua madre.
La condusse sotto il pergolato, Elvira con la bocca socchiusa fissava i rosei fiori.
- Si mamma è proprio come quello di papà - Paola le si sedette accanto, appoggiò la testa in
grembo alla madre e sentì la sua mano accarezzarle il capo.

^^^^^^^

Non esiste un test semplice per diagnosticare questa malattia, la speranza è nella ricerca e nella possibile prevenzione, ma soprattutto nel preparare coloro che assistono questo genere di ammalati.

“ Nessuno deve accettare come spiegazione il fatto che sta invecchiando”
questo è solo il primo passo.

   
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