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 L'Observateur du Maroc - l'inferno delle donne
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Roberto Mahlab
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Per gentile concessione del periodico L'Observateur du Maroc, pubblichiamo l'inchiesta apparsa sul numero del 24-29 settembre 2010 a cura dell'inviata speciale Mouna Izddine con di seguito la traduzione in italiano.



Roberto Mahlab
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Marocchine d'Italia
L'eden integralista, l'inferno delle donne

Taciuta dalle vittime, denunciata da un pugno di militanti femministe, strumentalizzata dai politici e ignorata dalla maggioranza dell'opinione pubblica italiana, l'oppressione sulle donne marocchine in Italia è semplicemente fuori dal tempo. Inchiesta nel paese dello stivale.

dalla nostra inviata speciale a Milano Mouna Izddine

Infibulate all'età di cinque anni da anonime mutilatrici, con un rasoio e senza anestesia. Violentate con la forza dalla testa ai piedi. Violentate e picchiate a morte dai mariti. Sequestrate con i loro neonati, abbandonate morenti sui loro letti di ospedale. Fatte sposare a forza dalle loro madri a sconosciuti di quaranta anni più anziani. Costrette ad accettare la presenza di una seconda donna sposata clandestinamente in moschea e a lavorare per essa. Bruciacchiate dai fratelli per aver osato indossare gonne e tacchi alti. Sgozzate dal padre per essersi innamorate di un non musulmano. Schiave del sesso per la loro vecchia zia o semplicemente schiave, misere serve sfruttate notte e giorno, affamate e poi gettate in cantine fredde e oscure... afgane, yemenite, sudanesi? Africane dei secoli scorsi? No. Per inverosimile che possa sembrare, si tratta di donne e ragazze marocchine nel 2010. Ancora più incredibile è che queste vicende anacronistiche, rarissime in Marocco, accadono ogni giorno sotto il cielo d'Italia. Taciute dalle vittime, denunciate da un pugno di militanti femministe, strumentalizzate dai politici opportunisti e ignorate dalla maggioranza dell'opinione pubblica italiana. Inchiesta su una aberrazione marocchina in terra europea.

Misoginia mortale
Comune di Milano. Aggredita in due riprese, nel maggio 2007 e poi nel giugno 2009 da parte degli islamisti radicali, Dounia Ettaib, presidente dell'Associazione "Dari, Donne arabe d'Italia", vive sotto scorta della polizia. Le sue guardie del corpo non la lasciano mai, così come il suo caldo sorriso e la sua avversione contro l'ingiustizia. Oggetto di una fatwa, questa psicologa nativa di Casablanca, ha visto le sue fotografie in evidenza nelle moschee fondamentaliste della città e sulle prime pagine di tutti i giornali milanesi. Nella sua lotta contro l'oppressione delle donne in nome della religione e delle tradizioni, questa giovane madre ha perduto il privilegio di una vita ordinaria e tranquilla, ma certamente non la volontà di continuare a lottare per restituire la loro dignità alle marocchine e a tutte le donne arabe, musulmane e africane d'Italia :"Le donne rappresentano il 48 percento della comunità marocchina in Italia, stimata in 350.000 persone (circa il 10 percento del totale degli stranieri regolari in tutto il paese). Per darvi un ordine di grandezza del fenomeno di oppressione di cui esse sono vittime, nella sola città di Milano, tra il giugno 2009 e il giugno 2010, 624 hanno subito violenze domestiche e 54 violenze sessuali", precisa Dounia. Altre statistiche testimoniano l'orrore vissuto da queste migliaia di donne immigrate. La poligamia è stata imposta a 1.700 donne in Italia nel solo anno 2007 e ogni anno 1.500 ragazze vengono infibulate. Tra esse, decine di piccole marocchine, i cui genitori sono stati "ispirati" dagli usi dei vicini ambienti egiziani, dato che tale barbara mutilazione è inesistente in Marocco. "Le donne marocchine hanno un reale problema di integrazione, legato ad un cultura patriarcale molto forte. Pur vivendo in un paese liberale e laico, esse rimangono rinchiuse in una stretta camicia di forza socio-religiosa, fatto che rende difficoltoso il loro inserimento. Ed è così molto difficile per una famiglia accettare che la figlia frequenti un non musulmano", rimarca Giampaolo Landi di Chiavenna, assessore alla salute del comune di Milano. Recentemente a Brescia una adolescente marocchina è stata sgozzata da suo padre perchè usciva con un italiano, un atto approvato dalla madre.

Fatima, 32 anni, sfuggita alla schiavitù
"Per 3 anni ho lavorato senza salario vicino a Castel San Pietro, notte e giorno, presso Samira M., la figlia della famiglia di Casablanca che mi aveva assunto in Marocco da quando avevo 10 anni. Ero picchiata e bruciacchiata, mi era impedito di uscire, di avere vestiti, cibo e medicine. Facevo tutti i mestieri di casa e scaricavo camion interi di mattoni e di olio d'argan sulle mie spalle per le necessità dell'azienda di Samira e di suo marito Lucas. Ho indossato lo stesso paio di mutande per tre anni e mi lavavo con l'acqua del bucato d'inverno come d'estate. Affamata, rubavo della farina che mescolavo all'acqua sporca che colava nella cantina in cui dormivo. Il giorno in cui sono riuscita a scappare, la mia pelle odorava di muffa e avevo perduto la metà dei miei denti e dei miei capelli. Oggi soffro di gravi reumatismi, di anoressia e di una seria infezione intestinale. Il mio solo desiderio è quello di rimanere in Italia per poter lavorare e mandare del denaro ai miei genitori e sette fratelli e sorelle, che abitano vicino a Fqih Ben Salah".

Analfabetismo e dipendenza economica, radici del male
Angariate nelle loro libertà fondamentali, la scelta del proprio abbigliamento, le relazioni di amicizia e di amore, di lavorare, di trasferirsi, di vivere liberamente, queste marocchine in cerca di fortuna in un eldorado ben presto divenuto un inferno, sono di fatto per la maggior parte poco alfabetizzate e senza qualifiche, l'analfabetismo riguarda il 65 percento dei marocchini residenti in Italia. Giunte durante gli anni 90 dal "triangolo della morte" (Khouribga, Béni Mellal, Oued Zem e anche Fqih Ben Salah o Béni Meskine) per raggiungere i loro mariti, operai nelle imprese di costruzioni, lavoratori agricoli o autotrasportatori nel nord del paese, venditori ambulanti, camerieri o manovalanza per la mafia nel sud. Le donne sono ingaggiate essenzialmente come bambinaie, badanti per le persone anziane o donne di servizio. Quelle che non hanno "la fortuna" di percepire un salario minimo (circa 800 euro) o avere un modesto posto in nero, quando non sono costrette a battere il marciapiede per il profitto di una "mamma marocchina", non hanno altra scelta che rimanere in casa, sotto il controllo del padre, fratello, zio o marito. Solo il 26 percento di esse ha un lavoro, contro un 84 percento dei compatrioti uomini. Ora dire dipendenza economica significa dire vulnerabilità psico-sociale :"diverse marocchine subiscono maltrattamenti intollerabili. La maggior parte di esse sbarca in Italia nella condizione di essere analfabete o illetterate, senza parlare una parola di italiano, senza saper neppure comporre un numero di telefono. Si fanno picchiare, sequestrare, si vedono imporre il velo, il burqa, il matrimonio forzato, la poligamia o anche l'infibulazione delle loro figlie da parte di uomini radicalizzati, impauriti di perdere il controllo sulla loro "proprietà" in un occidente "empio e dissoluto". Questa situazione e tanto più inamissibile dato che le donne sono molto più libere in Marocco", si indigna Daniela Santanché, sottosegretario nel governo Berlusconi e autrice del libro "Le donne violate".

Ghizlaine, 27 anni, "Attaliana", alla follia
Sposata illegalmente da sua zia in una moschea di Bologna ad un operaio occasionale tunisino più anziano di sette anni, con il quale ha avuto Younes, 5 mesi, Ghizlaine soffre di problemi psichici dalla morte di suo padre, quando aveva 19 anni e viveva ancora a Oued Zem. Senza impiego fisso e senza casa, suo marito l'ha costretta ad abitare in una catapecchia insieme a sette altri uomini, prima di rinchiuderla nella casa di uno dei suoi amici a Varese. Luogo in cui l'ha violentata quando, sofferente di forti dolori alla schiena, gli si era rifiutata. In seguito l'ha tenuta sequestrata per quattro giorni insieme al suo neonato, fino al soccorso da parte di una vicina. Scaduto il suo permesso di soggiorno dal 2008, la giovane madre vive al centro di Limona da cui talvolta fugge per, dice, raggiungere "il suo bel tunisino". Ci sono forti probabilità che Ghizlaine sia internata in un istituto e suo figlio mandato in adozione.

Discriminazione... in nome della tolleranza
Ma quali diritti e quale attenzione esistono per le donne immigrate in una società italiana che si autoconsidera essa stessa tra le più conservatrici e religiose d'Europa?
Limona, a tre ore da Milano. Centro Interculturale delle donne "trama di terre". Tiziana Dal Pra, la fondatrice di questo rifugio non governativo di aiuto alle immigrate, fondato 13 anni fa, accoglie ogni anno più di 600 donne che necessitano di soccorso, di 14 nazionalità differenti. Sui muri esterni i resti delle locandine con la copertina di "Femmes du Maroc" con l'immagine di Nadia Larguet nuda e incinta, strappate dagli islamisti. Si tratta dei folli della Sharia che accusano l'associazione Trama di pervertire le donne musulmane incoraggiandole a divorziare e abortire. Tra le ospiti del centro, un buon numero di marocchine da 18 a 26 anni, che vi trovano assistenza giuridica, amministrativa e psicologica, corsi di lingua o aiuto nella ricerca di lavoro. "Le marocchine pensano, a torto, che qui da noi la legge le protegga in tutte le situazioni. Invece è sufficiente che un uomo in condizione regolare ripudi la moglie e chiami la polizia perché le sia automaticamente ritirato il titolo di soggiorno provvisorio, senza possibilità di rinnovo. In altri casi, come quello di una madre sola a lungo, disoccupata e senza entrate, i servizi sociali le portano via i figli per affidarli ad una famiglia adottiva. Più grave ancora : in nome del rispetto dei costumi e della protezione delle tradizioni del paese di origine, diversi giudici decretano in sfavore delle danneggiate, come quel magistrato che ha rifiutato di condannare un marito che picchiava la moglie perchè non recitava il Corano prima di dormire", spiega Tiziana Dal Pra. O ancora il caso di quell'ospedale della Toscana che praticava apertamente l'infibulazione prima che tale operazione fosse vietata dalle autorità nel 2006.

Khadija, 40 anni, i mariti l'abbandonano per il suo cancro
Khadija ha raggiunto suo marito, che viveva già nella penisola, nel 2002. Un anno dopo, le hanno diagnosticato un grave tumore al collo. All'uscita dall'ospedale è rientrata a casa, ma non ha trovato nessuno. Abbandonata, senza denaro, senza lavoro e senza conoscenze, ha girovagato a lungo prima di incontrare un'altra marocchina che ha deciso di darle accoglienza. Grazie al suo aiuto, ha potuto ottenere il permesso di soggiorno. Oggi, dopo 8 anni di vita da resclusa in Italia, Khadija ha infine un tetto e un impiego.

Femministe, destra e sinistra contro l'idra integralista
"La lobby islamista in Italia, rappresentata in particolare dall'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), vicina ai Fratelli Musulmani egiziani, è molto potente. I suoi membri, comprese le donne, giungono a accusarci di essere islamofobi e a difendere il velo, la poligamia e il matrimonio dei minori con la pretesa che tali sono le regole in Marocco come altrove nel mondo arabo-musulmano. E' per questo che ci rechiamo in Marocco, per riportare le prove che le loro asserzioni sono delle menzogne, moudouwana (diritto di famiglia) e stampa locale alla mano", racconta Tiziana Dal Pra. L'obiettivo di questa ONG di sinistra è aiutare tutte queste donne ad uscire dalla letargia legata al loro basso livello di educazione scolastica, a divenire autonome e responsabili, affinchè possano ritagliarsi una propria posizione nella società italiana indipendentemente dagli uomini ed essere in grado anche di seguire l'istruzione e l'educazione dei loro figli. Stessa campana dal lato della destra italiana :"Chiedo alle musulmane d'Italia di trovare il coraggio di allearsi a noi nella lotta contro l'oscurantismo, perchè tutte le rivoluzioni partono dalle donne. Insieme, noi dobbiamo far cessare l'umiliazione, la mutilazione e l'assassinio delle donne in nome della religione, di tutte le religioni. Ma anche, da parte italiana, cessare la discriminazione delle donne immigrate con la scusa dell'accettazione dei costumi del paese di origine e assicurare ad esse gli stessi diritti e la stessa protezione accordata a tutte le donne del nostro paese. Affinchè un domani, questo triste periodo nella storia delle donne in Italia non sia che un cattivo ricordo per le nostre figlie", conclude con lo stesso proposito Daniela Santanché. Una lotta comune per un'Italia oramai multicolore.

Mouna Izddine
http://81.192.52.83/fr/images/stories/YMD/LObserv_Enquet.pdf
http://www.lobservateur.info/


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