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 14 Concerto di Gola
 Sawadee al peperoncino
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Roberto Mahlab
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Inserito - 03/10/2004 :  19:02:24  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
I miei amici tailandesi difficilmente mi lasciano andare in giro da solo quando mi reco a Bangkok e la ragione e' la speziata cucina.
Sbiancano in volto ogni volta che ordino un piatto qualsiasi e si affrettano a dare istruzioni al cuoco di non portare in tavola gli ingredienti usuali e, prima che io metta in bocca qualsiasi boccone, mi sequestrano il piatto e me ne fanno assaggiare una briciola, pronti a reagire alle conseguenze.

Il motivo di tale ossessiva attenzione verso l'ospite e' il peperoncino, re di ogni salsa e comprimario di ogni pietanza.

Il peperoncino, originario del Sud America, fu introdotto in Asia dai portoghesi nel sedicesimo secolo e si sparse rapidamente in tutto il continente tanto che il suo sapore bruciante e' ora alla base di molti stili culinari. La cucina tailandese impiega piu' di 40 varieta' di peperoncino, da quelli grossi e dolci alle piccole vere e proprie bombe chiamate prik-kee-nu che, tradotto, significa : "il pepe che fa cascare il topo", tutto un programma.

Le ricette di tipiche salse, per carni, anatra e pesce, sono simili nei componenti, si mescolano almeno otto peperoncini finemente spezzettati che si aggiungono ai semi di cumino e cioriandolo precedentemente fritti e dorati per un paio di minuti.
Comprenderete che se accade che un ignaro ospite capiti senza guida nella piu' tradizionale cucina tailandese, sono guai, ecco svelato il perche' i miei amici non mi lasciano andare in giro da solo all'ora dei pasti.

Ma nulla puo' modificare la prima legge di Murphy :"se qualcosa puo' andare storto, state pur certi che accadra'" e l'ultima sera della mia permanenza a Bangkok, circa un mese fa, accadde l'inevitabile, i miei amici mi salutarono convinti che sarei andato presto a dormire perche' il giorno dopo il mio volo partiva all'alba e mi salutarono prima dell'ora di cena.

Non avevano preso in considerazione le dolcissime notti temperate che "la citta' degli angeli" offre dopo le calde giornate sotto il sole tropicale, il venticello fresco sulla riva del Chao Praya, "il fiume dei re", la miriade di pontili illuminati da cui si staccano ogni pochi minuti i piroscafi carichi di persone che si spostano da un lato all'altro della citta', i barconi a motore che sbarcano i turisti presso i templi dalle enormi statue di Buddah che sorgono sulle rive, le arrancanti imbarcazioni che trasportano le merci per i mercati che a Bangkok sono gia' presi d'assalto dai compratori alle sei del mattino successivo.
I locali sulla riva del fiume sono numerosi e sempre pieni di avventori, lunghissimi buffet con decine e decine di piatti diversi, anche se le targhette che permettono al cliente di identificarne il contenuto hanno come dicitura fissa "... ai peperoncini".
Ma non potei resistere ed entrai, attirato dal tavolino quasi a picco sul fiume con la vista sui grattacieli che schiarivano la notte.

"Sawadee", mi accolsero i gestori, con il tipico gesto di benvenuto tailandese, portando le mani giunte al volto e con un leggero inchino, un improvviso flash nella mente, le raccomandazioni dei miei amici, ma era troppo tardi, non e' possibile ritirarsi dopo aver ricevuto il caldo e sincero benvenuto di un popolo orientale.

Fui in breve abbracciato dalla musica e dall'allegria delle decine di avventori delle altre tavole, era tutto troppo bello e persi le redini della mia esistenza. "Ecco il menu", mi porsero la carta dei cibi e per circa dieci minuti mi immersi nella lettura di decine di nomi di pietanze di cui non riuscii a comprendere gli ingredienti ne' la preparazione. Alzai gli occhi e mi accorsi che sia i gestori che i camerieri del ristorante mi osservavano pensosi, tristi, presero a cuore la mia situazione e il mio imbarazzo e con timido coraggio mi indicarono a mezza voce un piatto composto di carne e agnello in salsa tanduri. Annuii, chi non ha sentito parlare anche in Europa della salsa tanduri, tipico condimento indiano, mi spiegarono che la loro ricetta pero' proveniva direttamente da quella originale nepalese e io chiesi se era molto piccante, scossero la testa tutti contemporaneamente :"tra tutti i nostri piatti e' assolutamente il meno piccante!".
Accettai e quasi mi abbracciarono per la gioia, ci volevano venti minuti per la preparazione e nel frattempo mi portatono un enorme bicchiere di spremuta di cocomero, una delle tante delizie di quelle latitudini.

Potete immaginare che momento, seduto al venticello fresco sui bordi del Chao Praya, nella notte di Bangkok, le luci dei barconi e dei grattacieli, il suono delle onde del fiume che si infrangevano sui pontili, sono gli istanti in cui si e' in completa armonia con il mistero della vita. Mi immaginavo con gusto gia' l'indomani, avrei telefonato ai miei amici e raccontato che me l'ero cavata da solo e che avevo fatto tesoro dei loro suggerimenti di prudenza.

Il gestore del ristorante pareva commosso quando mi pose di fronte un enorme piatto fumante, spiedini di agnello, di pollo e di carne e ai lati foglie di insalata e poi una brocca contenente la salsa, aveva un colore verde pistacchio e, con un gesto artistico che mi ricordo' il movimento della bacchetta di un direttore di orchestra, me ne verso' un filo sulla pietanza.

Assaggiai, per un lungo attimo il mondo sospese il suo moto, fu come quando una temperatura di cento gradi sotto zero vi toglie all'istante ogni sensazione, l'unica differenza era che la temperatura a cui il mio corpo venne portato fu di cento gradi sopra lo zero.
Volsi gli occhi verso il gestore e vidi che lui li aveva lucidi, si aspettava i complimenti, li pregustava, anche dai miei occhi iniziarono a sgorgare lacrime, mancava solo che ci lanciassimo uno verso l'altro e sarebbe stato il finale di un film strappalacrime :"Buono?", mi chiese con un inizio di sorriso, "oh", risposi, la mia mano corse verso il bicchiere di spremuta di cocomero e ne bevvi una buona meta'. "Buono?", tutta la famiglia del gestore e tutti i camerieri mi guardavano ora, i battiti dei loro cuori sospesi in attesa del mio responso, non potevo fuggire ne' chiedere che cosa mi avrebbero servito se avessi ordinato un piatto appena appena piccante secondo gli standard del paese. Inghiottii un altro boccone, ad occhio e croce ce n'erano ancora una decina, potevo farcela.
Sorrisi socchiudendo le labbra e portando due dita alla bocca nel segno del bacio e ricevetti calorose e grate pacche sulle spalle, la musica accellero' e anche le gocce di sudore scesero a ritmo, sempre piu' veloci e piu' numerose. Spesso, molto spesso feci segno che desideravo un altro bicchiere di spremuta di cocomero, ammetto che era un trucco per sopravvivere annaffiando l'incendio del mio apparato digerente e avvolgendo ogni boccone ustionante di una patina fresca.

Duro' dieci minuti, ma ce la feci e con un gesto orgoglioso da supereroe che ha appena attraversato l'oceano inseguito dagli squali, indicai platealmente il piatto vuoto. Ricordo che non riuscivo piu' a concentrarmi sul venticello fresco della notte tailandese e che le luci delle imbarcazioni che solcavano il Chao Praya mi davano l'impressione di incendi lontani.

Ma dentro di me sorridevo, perche' io, da buon originario dell'oriente mediterraneo, sapevo forse qualche cosa che i gestori del ristorante non sapevano, il te', la cura di ogni abuso dei peccati di gola. Me ne portarono una caraffa, attorniata da vaschette in ceramica contenenti diversi tipi di zucchero e poi piccole caramelle dal color ambrato. Zucchero, ingoiai un cucchiaio di quello di canna, ma anch'esso era bollente sulla mia lingua e cosi' fu per lo zucchero bianco, bevvi avidamente tutto il te', ero convinto che il bruciore mi sarebbe presto passato e tutto sarebbe divenuto un divertente ricordo da raccontare come aneddoto di viaggio. Ma anche il te' mi pareva bruciare. Le caramelle, ne scartai una e la succhiai, quasi urlai, era piccantissima. Pagato il conto e assicurato il gestore che sarei certamente tornato prima della fine del mondo, mi accorsi che anche il vento del fiume non mi rinfrescava. Sentivo la febbre salire, tornai in albergo per la buona dormita che tutto avrebbe guarito, ma invece seguirono ore in cui mi sentii parte di una grigliata, dalla parte della bistecca sul carbone.

Il mio organismo ci mise giorni a riprendersi, la storia del navigatore portoghese che nel sedicesimo secolo attraverso' oceani e continenti per trasportare dall'America del Sud all'Asia i primi peperoncini, era giunta all'epilogo, chissa', forse un mio antenato lo aveva sconfitto durante un abbordaggio pirata e dopo quattro lunghi secoli, sulle rive del Chao Praya, la piccante vendetta fu consumata.

Roberto


   
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