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 Un confine sottile (Giovanni)
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leda cossu
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Un confine sottile (Giovanni)

Davvero non vuole l’antidolorifico Giovanni? Come mai non stasera? Chiede la collega del turno di notte sulla porta della stanza.
La luce dell’abatjour crea un cerchio di luce sui nostri volti, sul parlare fitto, sottovoce, intenso….
Forse più tardi…forse. Giovanni non ha fretta. Non vuole dormire. Il dolore busserà dopo, in momenti più noiosi. La piacevolezza lascia meno spazio al dolore.
Racconta, mi chiede, si ferma soprappensiero.
Sembriamo due ragazzi di sera sul muretto di quartiere. I suoi occhi scuri sondano le mie verità.
Fra una parola e l’altra lo sollevo, lo curo. Il corpo è importante. La pelle sa riconoscere una mano leggera. L’anima è subito lì, si risveglia presente.
La piacevole intensità fra di noi è diventata palpabile nella stanza, siamo distesi, sereni, complici. Si espande nei corridoi, accoglie come un confine chi entra nella stanza: Entra, ma con rispetto, ci siamo.
Non devo chiedergli: Vuole? Me lo chiede con gli occhi: una pausa, il sudore, un po’ d’acqua, ancora una parola.
Quando torna? Mi chiede. Io rispondo: Ci sono. Torno certamente. Se c’è qualcosa mi chiami.
Si è girato su un fianco alle 5,30 di mattina. E’ partito guardandomi, senza una parola. Credevo dormisse. L’ultimo saluto negli occhi.
Il mio sguardo lo accompagna. Ed anche una preghiera. E un abbraccio ai suoi cari.
Non piangiamolo ora. Non rendiamolo triste. Lui c’era, lui c’è.
La morte non esiste, è un sottile confine.
Non aspettiamola prima del tempo, il malato è una persona che c’è.
Vuole ancora sapere, piacere, capire, cogliere un altro incontro.

Leda


Leda

   
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