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 I copti, voci nella tempesta
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Roberto Mahlab
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Inserito - 25/05/2011 :  17:43:38  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Il 21 maggio si è svolta a Milano la manifestazione "Salviamo i Cristiani", organizzata dalla comunità copta per commemorare le vittime di una delle tante stragi terroristiche contro i cristiani copti in Egitto, quella del 7 maggio al Cairo che ha provocato 15 morti e 250 feriti.

A margine dell'evento ho avuto il piacere di incontrare Malak Mankarious, membro della comunità copta di Milano, insegnante di musica in Egitto, arrivato in Italia nel 2000 alla ricerca di un miglioramento lavorativo e per sfuggire alla discriminazione che in Egitto penalizza i cristiani.

"In Italia ho ritrovato la democrazia e la libertà e soprattutto la libertà religiosa", mi spiega.

Malak mi racconta come la comunità copta sia sorta a Milano già negli anni 70 e la diocesi della chiesa copta è stata stabilita a Milano all'inizio degli anni 90, parte dell'esodo è avvenuto per ragioni lavorative, ma la maggior parte dei copti sono emigrati dall'Egitto a causa della situazione religiosa, a Milano sono 15.000, in Italia 200.000. Nel nostro paese i copti sono perfettamente integrati nelle professioni, nella cultura e nelle leggi, nei valori comuni con l'occidente quali il diritto alla vita, senza per questo trascurare la tradizione che li unisce.

In Egitto, continua Malak, i copti, contrariamente alle statistiche ufficiali che li contano come il dieci percento della popolazione, circa otto milioni, sono con molta probabilità almeno il doppio. Chiedo a Malak di raccontarmi le particolarità della religione copta, l'amico sorride e mi corregge, il termine "copto" non indica una religione, ma significa letteralmente "egiziano", i copti, cattolici, ortodossi per l'ottanta percento, evangelici e protestanti, sono i discendenti degli antichi egizi. Nell'anno 641 l'Egitto fu conquistato dagli arabi di religione musulmana e i quattordici secoli successivi sono stati caratterizzati dalla discriminazione, dal tributo della jeziah, imposto ai non musulmani e, seppure siano sempre stati patrioti per la loro gloriosa e storica Terra, i copti si sono trovati nella condizione di stranieri in casa propria.

Sono affascinato dal racconto di Malak che mi trasporta da un secolo all'altro, fino alla data fatidica del 1928, l'anno in cui Hassan El Banna fonda l'organizzazione integralista islamica dei "fratelli musulmani", la situazione precipita per la monarchia, gli attentati e le rivolte si succedono e i cristiani ne sono tra le vittime principali.

Nel 1952 il presidente egiziano Nasser decide di isolare i "fratelli musulmani", incarcerandone molti, eppure il regime non alleggerisce la pressione sulla parte di popolazione copta e sugli ebrei, nel tentativo di sequestrarne i risparmi. Poi, all'improvviso, rinasce il dialogo tra il governo e i copti, un evento che ha origine dalla guarigione ritenuta miracolosa della figlia di Nasser, i rapporti con la chiesa ortodossa copta migliorano a tal punto che il terreno della sede del patriarcato viene comprato con l'offerta di denaro degli altri figli del presidente Nasser. Le cronache storiche parlano di un presidente Nasser deceduto per un improvviso infarto nel 1970, ma Malak mi riferisce delle voci insistenti che la morte del rais sia stata dovuta ad un avvelenamento ad opera dei "fratelli musulmani".

Il successore, Anwar El Sadat, cambia alleanze interne, incarcera i nasseriani e apre all'organizzazione dei "fratelli musulmani", le vittime dell'accordo sono i cristiani che iniziano a subire i primi sanguinosi massacri ad opera degli integralisti islamici.
Faccio notare a Malak che Sadat è passato alla Storia come un pacificatore, per la firma del trattato di pace con Israele, eppure si scopre la sua doppia faccia, pacifica verso la comunità internazionale e oppressiva verso i cristiani all'interno, una situazione che curiosamente si sta ripetendo in queste settimane in Egitto, come Malak mi spiegherà poco dopo. Anche se Sadat, osservo, non aveva concesso abbastanza agli integralisti, visto che non si salvò dalla loro vendetta riguardo alla pace.

E' la volta della presidenza di Mubarak, il quale organizza elezioni parzialmente libere che portano l'organizzazione dei "fratelli musulmani" ad avere una sensibile partecipazione al parlamento, alle elezioni seguenti, quelle del novembre del 2010, Mubarak estromette i "fratelli musulmani" dalla competizione elettorale. Chiedo a Malak se esiste il collegamento tra questa scelta e la rivoluzione di poche settimane dopo e Malak mi chiarisce che il presidente egiziano consentì la partecipazione parziale degli estremisti islamici alle elezioni precedenti proprio per dimostrare agli osservatori occidentali la loro pericolosità, "se li ho lasciati fare e hanno preso subito il venti percento dei voti, vi immaginate che cosa accadrebbe se poi avessi lasciato loro la porta completamente aperta?", era il messaggio di Mubarak all'occidente.

Il dogma dei "fratelli musulmani" è sempre stato la trasformazione dell'Egitto in paese totalmente islamico e la costituzione del califfato, ribadisce Malak.

Dopo la rivoluzione dello scorso gennaio, l'esercito depose Mubarak e, sulla spinta della piazza, indisse un referendum per il cambiamento parziale della costituzione del 1971, veniva richiesta la conferma dei cittadini sulla modifica di articoli riguardo a temi politici, legislativi e legali e in sole due settimane gli elettori vennero chiamati a decidere e a scegliere su un argomento di cui non c'era conoscenza e informazione diffusa.

I "no" alla modifica raggiunse solo il 30%, i voti dei cristiani e dei liberali, il "sì" alle modifica vinse con il 70% del resto degli elettori. Chiedo a Malak se la vittoria del "sì" non fosse legata al fatto che la popolazione desiderava votare contro qualsiasi cosa rappresentasse ancora il vecchio governo, ma Malak mi fa notare che il voto non prevedeva l'abolizione dell'articolo due della costituzione, che indica che l'Egitto è uno stato arabo, di lingua araba e con la sharia come fonte principale della legislazione. Questa è stata la ragione dell'opposizione dei cristiani e dei liberali alla trasformazione della carta costituzionale, "perché modificare solo alcuni articoli, senza abolire quelli che si oppongono alla trasformazione del paese in uno stato laico e aperto a tutti i suoi cittadini indipendentemente al loro credo religioso? Come si può creare tale stato laico e democratico, se non si cancella l'articolo che ne impedisce l'esistenza?", nota Malak.

Il risultato è stato il peggioramento della situazione interna in Egitto e il precipizio verso il caos. Mentre si scatena la caccia ai cristiani, i militari non intervengono, i liberali musulmani che difendono i cristiani e partecipano alle manifestazioni al loro fianco ne subiscono anch'essi le penose conseguenze, dall'altra parte il movimento integralista cresce inarrestabile.

La tremenda strage del sette maggio, 15 cristiani assassinati e 250 feriti è una delle numerose che si susseguono, il corteo di protesta dei cristiani di fronte alla sede della televisione egiziana viene attaccato dagli integralisti islamici e altri tre cristiani vengono uccisi e venti feriti, ma non c'è alcun intervento da parte delle autorità.

La drammatica esposizione di Malak evidenzia una realtà che sta evolvendo verso il peggio, è vero che i cristiani, come abbiamo visto circa il venti percento della popolazione e i musulmani liberali, un altro venti percento, si pongono ad argine contro il dilagare della violenza dell'integralismo islamico, ma il resto della popolazione, il sessanta percento, si trova in una situazione non solo di disinformazione, ma anche di lavaggio del cervello ad opera degli imam integralisti, che ne sfruttano l'ignoranza e ne manipolano la coscienza e li incitano all'odio contro i cristiani, individuando una origine coranica in tale discriminazione. E proprio gli imam integralisti hanno convinto con facilità gran parte degli elettori che hanno votato "sì" al referendum di modifica della costituzione che non ha tenuto conto dei diritti dei cittadini di fede non islamica.

Propongo a Malak la ricostruzione delle febbrili giornate della rivoluzione egiziana, coperta dai giornalisti del New York Times e dell'Herald Tribune che hanno scritto nei loro reportage che i "fratelli musulmani" si sono tenuti lontani dal primo stadio della protesta e sono intervenuti con la loro oliata organizzazione solo il 4 febbraio. Evidentemente, osserviamo Malak e io, appena hanno compreso chi stava per prevalere delle due parti.

Cosa accadrà da qui a settembre, mese in cui sono previste le elezioni parlamentari? Malak risponde con una vena di malinconico pessimismo, con l'avanzata dell'ideologia integralista, diventerà vietato costruire e riparare chiese, lo slogan "l'islam è la soluzione" impedirà la separazione tra stato e religione che è basilare in una democrazia compiuta. E le stragi rischiano di moltiplicarsi trasformandosi in un nuovo genocidio, con l'esodo dei cristiani che già adesso fuggono verso l'America e l'Australia soprattutto. Chiedo a Malak qual è lo stato d'animo prevalente nei cristiani in Egitto e la risposta è la paura, paura di uscire, di essere seguiti per strada, la paura di essere aggrediti dai gruppi salafiti che hanno organizzato pogrom utilizzando semplicemente armi bianche e molotov. Chiedo a Malak se condivide le tesi di alcuni media occidentali che differenziano tra "fratelli musulmani", quali possibili referenti democratici e "salafiti", quali unici gruppi integralisti, Malak mi risponde ricordando la tecnica della dissimulazione dei "fratelli musulmani" e in effetti a me viene in mente che uno dei vice di al qaeda apparteneva proprio all'organizzazione egiziana dei fratelli musulmani.

Shenouda III, il papa della Chiesa ortodossa copta e patriarca di Alessandria, si attiva disperatamente per quanto in suo potere per ripristinare l'equilibrio, invita i fedeli cristiani alla pazienza e alla speranza che il dramma troverà soluzione, ma non nasconde di essere addolorato e ferito, i suoi appelli alle autorità non ottengono l'azione di protezione dovuta e intanto i contadini poveri e senza istruzione, che risiedono nei villaggi più lontani dalle grandi città, vengono convinti all'odio verso i cristiani dalla inarrestabile e scientifica propaganda degli integralisti.

Chiedo a Malak delle donne copte, in un paese dove, secondo quanto riportato dalla stampa americana, l'integralismo non risparmia l'umiliazione della riduzione dei diritti alle donne musulmane, Malak mi racconta che le donne cristiane, come le loro famiglie, sono aperte alla modernità e al dialogo e godono di tutti i diritti parificati con gli uomini, anche se nel sud del paese gli integralisti islamici stanno cercando di obbligare pure le donne copte ad indossare il velo, in una campagna propagandistica di demonizzazione generalizzata in cui diffondono il mito che il cibo cristiano sia impuro e che addirittura lo sia la verdura, tesi assurda, ma gli argini della razionalità sono caduti.

Riporto a Malak alcune osservazioni critiche comparse sui media occidentali, secondo i quali la rivoluzione egiziana è mancata di leader trascinatori, persone del calibro dei Mandela o Gandhi, l'amico copto mi rivela che in realtà i leader carismatici ci sono, ma fanno fatica ad emergere perché si trovano minacciati e chiusi tra l'incudine dei militari e il martello degli integralisti. In effetti mi viene in mente che i leader di rivoluzioni famose non avevano contro una parte degli organizzatori stessi, come avviene nei paesi arabi a causa della presenza dei movimenti integralisti.

Eppure Malak si ricorda di quando, in Egitto, fu maltrattato dal suo barbiere, divenuto integralista e i suoi amici musulmani intervennero a difenderlo. Raccolgo la nostalgia di Malak e gli chiedo quanto potranno incidere i musulmani liberali che si sono messi al fianco dei cristiani per evitare che l'Egitto cada nelle mani degli integralisti islamici e Malak mi risponde con una correzione molto importante, siamo noi in occidente ad insistere sulla differenza tra integralisti e musulmani, ma gli integralisti non riconoscono tale differenza, essi ritengono che l'unico e vero islam sia quello che deriva dalla loro lettura coranica e si identificano solo come musulmani e non come integralisti, la lettura coranica fedele al testo letterale non è discutibile e non ne è ammessa ufficialmente una diversa.

Chiedo a Malak che cosa possiamo fare in occidente di fronte ad una situazione che coinvolge la stabilità del mondo intero, l'amico copto mi risponde che la prima opera deve essere quella di informare l'opinione pubblica della situazione reale, rispondo di condividere perché penso che tale informazione corretta sia necessaria anche per contrastare la disinformazione che gli integralisti stanno artatamente diffondendo e per contrastare la pretesa che venga adottata la sharia anche in Europa.

Malak continua proponendo che l'occidente debba cercare di comprendere la psicologia araba e poi comprendere che il peso dell'integralismo non si scatena solo nell'oppressione delle donne e delle ragazze, ma che esiste anche il problema dei ragazzi, oppressi psicologicamente dalle famiglie che vogliono imporre loro modi di comportamento che non si conciliano con la libertà personale e condannano così anche i figli maschi all'emarginazione nelle società occidentali. Il problema quindi da affrontare riguarda l'intera nuova generazione nata in Europa dall'immigrazione.

Chiedo a Malak che cosa pensa delle scuole di arabo che si appoggiano alle moschee e ai centri islamici in Italia, gli riferisco che agli studenti vengono talvolta fatti apprendere a memoria i versetti coranici, come se per imparare la lingua araba si debba per forza imparare pure il Corano e Malak mi risponde che sarebbe il caso di spezzare l'equivoco di considerare una lingua collegata ad una religione e che sarebbe l'ora che chi vuole imparare l'arabo si rivolga ad insegnanti cristiani, l'arabo è una lingua, che c'entra con la religione musulmana?

Mentre proseguiamo nell'intervista, altre notizie si susseguono nelle parole di Malak, dimostranti davanti all'ambasciata di Israele al Cairo arrestati per non compromettere i rapporti internazionali dell'Egitto e nello stesso tempo una corte egiziana toglie il passaporto ad un cittadino egiziano che dagli Stati Uniti chiede la protezione per i cristiani, come ai tempi di Sadat, una facciata di apertura verso l'estero, con contemporanea repressione all'interno.

L'occidente, conclude Malak, deve impegnarsi politicamente ad essere fermo con il governo egiziano per invitarlo alla protezione della stessa popolazione egiziana di fede cristiana, è necessaria una mobilitazione internazionale e dobbiamo tutti insieme superare l'indifferenza verso quanto accade, la comunità internazionale deve anche appoggiare gli intellettuali e i liberali musulmani che si attivano per la protezione dei cristiani che hanno il diritto di vivere sicuri in Egitto, nazione che hanno difeso e per la quale hanno lottato, con la garanzia della libertà religiosa.

Concludiamo l'avvincente e drammatico incontro con la definizione di democrazia che ne diede il dissidente Nathan Sharanski, non sono sufficienti elezioni apparentemente libere per trasformare un paese in democrazia, un governo è democratico solo quando pratica il rispetto verso il pieno e totale diritto delle minoranze, altrimenti, anche se ottiene la maggioranza dei voti, non lo è. Questo è l'auspicio per le prossime elezioni e per il futuro dell'Egitto.

Grazie a Malak per la straordinaria testimonianza che ci ha proposto.

Roberto Mahlab

Nell'immagine tratta dal sito ufficiale, la chiesa copta ortodossa di St. Takla ad Alessandria d'Egitto.

   
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