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Renato Attolini
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Inserito - 26/06/2006 :  23:06:02  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
La casetta nel Maine sorgeva in un’aerea periferica, lontano non solo dai grandi agglomerati urbani ma anche dai centri minori. L’abitazione era invero assi modesta e Dustin O’Neal, era riuscito ad accaparrarsela a prezzo d’enormi sacrifici anche se il prezzo richiesto, in virtù dell’ubicazione e dello stato generale in cui versava era tutto sommato abbordabile. L’uomo, figlio d’immigrati irlandesi come il suo cognome chiaramente lasciava intendere, guardò sua moglie Laureen e sua figlia Jennifer di 10 anni, teneramente abbracciate ed addormentate nel grande lettone che dividevano in tre, tutte le notti. Una lacrima di commozione gli scese lungo le guance: quelle donne erano tutta la sua vita ma nonostante le amasse profondamente non riuscì a scacciare il senso di rimorso che ormai da troppo tempo lo tormentava. Avrebbe voluto offrire loro una vita migliore di quella che stavano facendo, infondere tranquillità, serenità ed agiatezza economica ma si sentiva un vero fallito. Il lavoro di magazziniere presso l’unica concessionaria auto della zona gli permetteva a malapena di far fronte alle spese e di assicurare i pranzi quotidiani alla propria famiglia. La moglie, lavorava a ore presso qualche famiglia e quantomeno riuscivano a garantire a Jennifer il prosieguo degli studi. “Màs que nada” come diceva la famosa canzone, meglio di niente d’accordo, ma era ancora troppo poco. Dustin si sedette al tavolo della cucina, versandosi un bicchiere di bourbon , il primo della serata e come ogni volta cominciò ad imprecare con colui che riteneva l’unico responsabile di quella situazione: se stesso. Non cercava, nella sua assoluta sincerità e un pizzico di autocommiserazione, attenuanti di alcun genere. Si rimproverava la sua pigrizia, la sua mancanza d’ambizione, di quel po’ di aggressività che gli avrebbero consentito di fare strada nella vita cosa che a causa della sua indole esageratamente mansueta non gli era stato possibile. Aveva tentato di cambiare ma senza successo, la sua natura era quella e non gli restava che accettarla. Uscì fuori sul terrazzo accendendosi una sigaretta che respirò voluttuosamente. Laureen lo rimproverava sempre, dicendogli che i soldi sprecati per l’alcool ed il fumo sarebbero potuti servire per qualcosa di più utile, ma egli non voleva rinunciare agli ultimi piaceri che gli erano rimasti. Fissò il cielo stellato e come tute le notti formulò la sua preghiera, sempre la stessa..
“C’è qualcuno nell’universo, Dio o qualcun altro, di un altro mondo, pianeta che mi può aiutare? Voglio essere diverso, voglio avere un’altra personalità, voglio aiutare i miei cari!”.
Come ogni volta, stava per ritornare dentro e buttarsi sul letto attento a non far male alle sue donne, quando qualcosa lo fece fermare. Udì uno strano rumore in lontananza e intravide una luce, all’inizio tenue poi sempre più vivida fino diventare accecante. Tento di ripararsi gli occhi ma inutilmente. Il bagliore era troppo violento. La sua casa era tutta illuminata e nonostante gli occhi fossero serrati intuì una presenza sopra di sé. Era sicuramente qualcosa di molto grande, di enorme. Poi un vortice d’aria lo avvolse e un attimo dopo si sentì trasportare in alto, molto in alto ad una velocità impressionante, mille volte superiore alle discese delle montagne russe del luna park dove portava Jennifer ad ogni suo compleanno. Tentò di urlare ma il terrore gli aveva bloccato le mascelle. All’improvviso tutto si calmò. Si ritrovò in una sala molto spaziosa, illuminata a giorno, senza nessun arredo se non una strana poltrona posta proprio al centro. Cercò di svegliarsi perché era convinto si trattasse di un brutto sogno ma i pizzicotti che si diede alle braccia non sortirono alcun effetto. Sempre più paralizzato dalla paura e completamente ignaro di dove si trovasse si rannicchiò tutto se stesso nel tentativo di un’improbabile difesa. Una voce metallica possente lo costrinse ad alzare lo sguardo ma non vide nessuno. Proveniva dall’alto e rimbombava per tutto il locale.
“Non temere, terrestre. Non ti sarà fatto alcun male. Se sei qui e perché tu ci hai chiamato. Abbiamo ascoltato le tue suppliche ed abbiamo deciso d’aiutarti. In fondo a noi non costa nulla. Proveniamo dal pianeta “Kosmos” ed apparteniamo ad una specie che è infinitamente superiore alla vostra. Se volessimo conquistarvi e soggiogarvi lo faremmo nel giro di poche ore, ma non c’interessate. Siete troppo selvaggi ed ignoranti ed il vostro pianeta, grazie alla vostra stupidità, non offre più nulla d’interessante. Nondimeno siamo in grado di ascoltarvi e come nel tuo caso possiamo anche intervenire singolarmente. Che cosa ti serve, dunque, terrestre?”
Ancora frastornato e un po’ più rassicurato, Dustin parlò con voce tremante:
“Davvero siete in grado d’aiutarmi? Se ciò è possibile, io vorrei cambiare tutto me stesso. Non mi piaccio più, anzi non mi sono mai piaciuto. Voglio essere un’altra persona, più sicura, decisa, più volenterosa, voglio aiutare me e la mia famiglia. Voglio crearmi un avvenire sicuro e non vivere mai più avendo paura della mia ombra.”
Ci fu un attimo di silenzio. Poi la voce parlò.
“Sei disposto a restare un intero giorno su questo pianeta?”
Dustin ci pensò su. Laureen e Jennifer si sarebbero preoccupate tanto, ma una giornata passa in fretta ed al ritorno avrebbe fornito delle spiegazioni sufficienti a rassicurarle. Dopodichè sarebbe iniziata un’altra vita per tutti loro.
“D’accordo, cosa devo fare?”
“Vedi quella poltrona in mezzo alla sala? Vai e siediti.”
Dustin così fece e non appena si sedette, delle cinture uscite da sotto lo legarono allo schienale impedendogli alcun movimento ed un casco sbucato dal nulla gli coprì la testa.
“Non devi fare nulla. Questa macchina già sintonizzata su un determinato programma ti modificherà completamente la tua personalità. Ti addormenterai ed al tuo risveglio ti ritroverai sulla tua terra. Addio!”
Dustin balbettò: “Grazie, grazie. Perché fate questo per me?”
“Perché ce l’hai chiesto, no? E perché siamo superiori!”
Nonostante il tono metallico Dustin percepì una nota d’ironica supponenza.
Chiuse gli occhi e sentì dentro di se uno strano formicolio. Dopodichè s’addormentò. Non si rese conto di quanto tempo passò. Quando si svegliò si trovò davanti alla sua casa. Strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Era sicuramente la sua casa ma quanto era diversa! Sembrava l’avessero restaurata ed addirittura alzata d’un piano. Poi intorno era tutto cambiato. Dove c’era solo la campagna una miriade di case aveva fatto la sua comparsa. Che cosa era cambiato? Era perplesso, ma si sentiva forte e coraggioso, come se una nuova linfa vitale fosse penetrata nel sue viscere. La cura quindi aveva fatto effetto. Bussò alla sua casa ed una donna sui cinquant’anni gli aprì.
“Si, desidera?” lo guardò interrogativamente.
Aveva un che di familiare che lasciò Dustin, sconcertato.
“Scusi sto cercando la famiglia di O’Neal, mi sembrava abitassero qui.”
“Infatti, abitavano qui! O perlomeno io ci abito ancora. Io sono Jennifer O’Neal..e lei chi è?”
Dustin quasi svenne.
“Jennifer,…mio Dio non è possibile!”
La donna lo guardò in modo indagatorio.
“Scusi, glielo ripeto, lei chi è”
“Io…..io sono” nonostante la nuova personalità non se la sentì di dire la verità.
“Io sono un amico di Dustin O’ Neal”
“Un amico di mio padre? Ma che, era appena nato, quando l’ha conosciuto? Cosa mi sta dicendo, mio padre è scomparso quarant’anni fa!”
“Scomparso? Non è possibile!” Dustin più che disorientato era atterrito.
“Senta, ma lei sa dire solo “Non è possibile”? Come fa a conoscere la mia famiglia?”
“Mi ascolti Jennifer, non glielo posso dire, non mi crederebbe. Mi dica solo che fine hanno fatto suo padre e sua madre Laureen.”
“Ah, sa anche il nome di mamma. Lei m’inquieta molto. Comunque di mio padre non ho più notizie da quarant’anni. Si è volatilizzato nel nulla una notte e nessuno sa che fine abbia fatto o dove sia andato a finire. Io e mia madre siamo rimaste sole. All’inizio è stata durissima, io ho dovuto abbandonare gli studi e mettermi a lavorare. Lei si è spezzata la schiena e Dio solo sa cosa abbia dovuto inventarsi per tirare avanti. Ma ce l’abbiamo fatta, siamo rimaste in questa casa e l’abbiamo anche sistemata. Io mi sono sposata, ma la mamma non l’ho abbandonata, è rimasta a vivere con me. Come avrei potuto con tutto quello che ha sofferto? Poi due anni fa….” gli occhi della donna si riempirono di lacrime “due anni fa la mamma è mancata. E questo è tutto.”
Dustin era combattuto dal desiderio di abbracciare forte sua figlia, anche se in quel momento non riusciva a capacitarsi di trovarsi di fronte una cinquantenne quando solo il giorno prima, o così almeno credeva, l’aveva lasciata che aveva poco più di dieci anni. Si fece forza e le fece la domanda che da un po’ gli ronzava freneticamente nella testa.
“Mi scusi, Signora..” e qui dovette ingoiare un po’ di saliva. “Ma in che anno siamo?”
“Lo dicevo io che lei era un tipo un po’ strano.” rispose la donna che cominciava ad allarmarsi “Lei mi mette paura. Non so chi sia, sa delle cose della mia famiglia, dice d’essere amico di mio padre, ma vista l’età che ha doveva essere nella culla quando l’ha conosciuto. Siamo nel 2046 signore e adesso per favore se ne vada prima che chiami qualcuno.”
Dustin era esterrefatto. Gli sembrava di essere stato via solo un giorno ma probabilmente la dimensione temporale su Kosmos era completamente diversa da quella della terra ed alla luce degli eventi non era difficile ipotizzare che un giorno di vita di un abitante di quel pianeta corrispondesse a 40 anni di un essere umano. Dustin era un uomo nuovo, come aveva sempre desiderato, forte, coraggioso ed assolutamente pronto a sfidare il mondo. Ciò nonostante si sedette sui gradini di quella che un giorno era la sua casa e cominciò a piangere.


   
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