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 Elogio della follia
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emofione
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Inserito - 22/03/2004 :  15:50:16  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a emofione
Elogio della follia


“Che cos’è la follia? E’ l’incapacità di comunicare le proprie idee”
In questo senso sono folle, non perché impulsivo, non perché nervoso,
non perché scostante o poco propenso a portare pazienza.
Ma se il folle è colui che non riesce a farsi capire dalla collettività,
da chi gli sta intorno, forse sarebbe il caso di domandarsi se sia lui a mancare
di capacità comunicativa, o chi lo ascolta o fa finta di ascoltarlo a non recepire
quel messaggio di fondo.
Che è messaggio di pace e di apertura, talmente accorato, così profondamente sentito,
che quando si perde nel vuoto induce ad una sorta di disperazione, di scoramento,
che porta ad una reazione forse spropositata, più probabilmente considerata eccessiva
e scellerata perché non se ne coglie a pieno il senso.
Provare affetto, in maniera forse non tradizionale ed irrazionale, ma assolutamente pura, vera, innamorarsi di una persona in quanto tale e perché capace di offrirti le sue esperienze, di farti conoscere il suo io, e di chiedersi il perché del tuo.
Per sempre.
Senza che si possa tornare indietro, neanche di un passo.
Uomo, donna, certo è differente, sono rapporti diversi che possono arricchirti, però,
alla stessa maniera.
Un flash improvviso, che sembra non entrarci molto, ma forse…
Mi trovavo in un locale ieri sera, ho visto un’amica, in un angolo.
Parlava beatamente, non l’ho voluta disturbare, so che l’avrei messa in soggezione, non la conosco benissimo, ma è chiaro che è fatta così.
Sensibile e intelligente, forse troppo di entrambi.
Eppure mi sono sentito vile e svilito allo stesso tempo, lei mi ha visto, chissà se non ha ragionato alla stessa maniera…o se al contrario c'è passata sopra volontariamente...eppure qualcosa mi dice che non doveva andare così. Io mi ero appassionato indirettamente anche a lei, sarà follia?Bah...
E' una leggerezza, forse, pesante però.
Altro flash, del tutto diverso…sto guardando il TG5, penso alla giornata della pace, mi interrogo su quale sia la strada giusta, quella migliore per raggiungerla.
Perché tutti, spero, o almeno i più, quelli che costituiscono la moltitudine, la gente,
il giornalaio dove compro il Tirreno, il barista dove faccio colazione, il tabaccaio dove
prendo le sigarette commentando i risultati del Livorno, il manager con cui mi trovo a dialogare su questioni di lavoro, la ragazza che mi aiuta a tenere in ordine quella casina
così piccola ma così ostinatamente polverosa, la mia mamma, i miei amici, e tutti quelli, la stragrande maggioranza delle persone, che non ho mai visto e non conoscerò mai, tutti loro vorranno, più o meno, che si smetta di “combattere”, dovunque, a qualsiasi livello, nel quotidiano e in senso molto più generale, qualunque sia il motivo del contendere.
E vorranno serenità, e amore cristallino, chi in modo più passionale e contorto, come il sottoscritto, chi in maniera diversa ma parimenti significativa.
In questo senso non capisco certi comportamenti, per questo mi riesce difficile sopportare che qualcuno mi fraintenda, o peggio sia convinto di cogliere aprioristicamente il senso delle mie parole, “perché ti conosco”, “perché sei sempre lo stesso, Emi”, “perché non sei mai contento, vuoi tutto come ti pare”.
Così i migliori amici, così le ormai ex donne, così i familiari.
Ma io non credo che sia così, lo pensavo fino a poco tempo fa, ed era motivo di una profonda autocritica che mi induceva ad odiarmi, in certi momenti.
Ritengo, invece, allo stato attuale, di mancare, semmai, proprio nella capacità di esplicitare quello che sento.
Potrebbe sembrare il classico discorso del depresso che si rovina di “elucubrazioni mentali” fino ad impazzire, appunto, e che si complica la vita quando potrebbe essere contento, soddisfatto. Quello convinto di non essere capito. Il patetico piantagrane insomma.
Ma è tutto il contrario.
Io voglio stare bene, e ci riesco spesso, per mia fortuna.
Certo c’è un senso di amarezza di fondo, ma quello è indipendente dalla serotonina, risiede nella non completa demenza del mio cervello.
“E’ necessario avere il coraggio di essere folli” però, in certe situazioni, ecco quello che penso, anche se è scontato che saremo fraintesi, se davvero siamo convinti di aver saputo leggere prima, magari per puro caso, la verità di certe relazioni, l’importanza di certi accadimenti.
Poi, è ovvio, ci sono i problemi, le discussioni, le diverse interpretazioni, le gelosie, i tradimenti, i tormenti, le arrabbiature, gli stress, le “diverse angolazioni”.
Ma, vi assicuro, non è un discorso così semplicistico, così scontato, banale.
Non è il fare l’amore e non la guerra, è invece l’accettare che esistano contrasti continui e che si possano superare dialogando, anche all’infinito se è necessario, perdendo una, dieci, mille ore del nostro tempo per raggiungere lo scopo.
Vada in malora l’orologio al polso e quello naturale, io sono disposto a dormire tra una settimana, se questo significa che ho passato le giornate ad aprirmi, ad aprire, a darmi ed a ricevere.
Il mio orologio si è fermato di botto dopo tre anni di perfetto funzionamento, basterebbe cambiargli la pila, invece l’ho riposto in una scatolina, in bella vista ma come soprammobile.
E’ un segnale, o forse io lo voglio interpretare così. Eppure fino al giorno della laurea non l’avevo mai portato, e sinceramente vivevo parecchio meglio.
Con tutti, con me stesso.
Si, d’accordo, esistono altre relazioni, esistono responsabilità che non possono passare in secondo piano. Ma provate un secondino a riflettere, chiedetevi se l’amico che non siete riusciti a salutare avrebbe meritato di essere ascoltato un po’ di più, o semplicemente se tornando indietro avreste deciso di condividere con lui almeno il doppio delle esperienze vissute insieme.
Chiedetevi se dietro alle poche parole del familiare che “ha una mentalità del tutto diversa dalla mia, siamo di due generazioni diverse”, non si nasconda un pensiero comune, un qualcosa di fondo che non è mai troppo tardi da recuperare.
Domandatevi se sia il caso di lasciare che tutto scorra, di essere fatalisti, come sono stato anch’io convintamente fino a poco tempo fa, se non sia necessario lottare, sì sì, avete capito bene, combattere con coraggio e con passione per liberarsi da stupidi freni inibitori impostici da chi arbitrariamente ha deciso prima quanti figli dovremo avere, che cosa dovremo fare per guadagnarci da vivere, quale sia il nucleo familiare perfetto, la maniera più saggia e razionale di andare avanti, quali siano le responsabilità e i compiti che dovremo sobbarcarci.
Tutto ciò fino a quando ci guarderemo indietro e saremo contenti per aver lasciato un segno del nostro passaggio, forse, ma ci chiederemo inesorabilmente, tutti, uno per uno, se ne sia valsa davvero la pena, se possiamo dirci paghi di quello che siamo stati, anzi di quello che abbiamo dimostrato agli altri di essere.
Perché, probabilmente, volevamo un altro mondo, desideravamo darci al 100% ed esprimerci ciascuno a seconda della propria indole, aldilà dei compromessi e dei guadagni.
Non ci saremo mai riusciti, intendo la maggior parte di noi, e non avremo neanche avuto il coraggio di urlarlo, di gridare la nostra “mattana”, la nostra follia che sarebbe erroneamente letta come debolezza, come incapacità di tirar fuori gli attributi, di vivere nel “caos”.
Non so come andrà a finire, parlo di me, ovviamente.
Ma mi piace pensare “che esiste sempre qualcuno che ci ama, c’è fin dalla nascita, c’è prima di noi”.
Debolezza? Discorso terra terra? Populismo?
No No no, questo, gente, è coraggio allo stato puro.
Provate ad ammetterlo a voi stessi per una volta…

   
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